di RICCARDO AGOSTINI
Consigliere Regionale Pd del Lazio
Si è aperta una fase politica molto delicata. Referendum costituzionale, congresso del Partito Democratico e elezioni amministrative (tra cui quella per il comune di Frosinone) decideranno il futuro del Pd, della sinistra, del centrosinistra e dell’Italia. Tuttavia le modalità con le quali ci stiamo avvicinando a questi appuntamenti decisivi non sono incoraggianti.
Non si può dimenticare che la scorsa primavera abbiamo subito pesanti sconfitte, anche in provincia di Frosinone. Generate, spesso, anche da un errato approccio nella scelta dei candidati: ad un rinnovamento della classe dirigente nel solco della nostra storia e delle nostre radici, si è preferito infatti, in molti casi, la cooptazione di personale politico proveniente dal centrodestra che non solo non ha portato nuovi consensi, ma ha allontanato il nostro elettorato. Sono nate così le sconfitte in molti comuni del Lazio.
Errare è umano, ma perseverare è diabolico: non sono bastate le sconfitte, se oggi si sta cercando di utilizzare lo stesso schema. Per questo ho proposto l’individuazione dei candidati attraverso lo strumento delle primarie, ma prima ancora la definizione chiara dei confini della coalizione, intorno ad un programma chiaro e condiviso. Questo per evitare inutili marmellate, che pure si stanno cucinando in gran segreto, che spesso per i nostri elettori sono indigeste.
Questo allargamento del Partito Democratico e della coalizione di centrosinistra a elementi di ceto politico transfugo del centrodestra è incoraggiata da esempi nazionali. Non vorrei che nella costituzione dei comitati per il Si al referendum ci fosse l’embrione anacronistico del Partito della Nazione del quale tanto si parla. Perché il tema non è tanto la “governabilità”, pur importante, ma con chi si governa e per chi. In questi anni gli elettori si sono allontanati sempre di più dalla politica aumentando vertiginosamente l’astensionismo. Io credo che la missione storica della sinistra sia quello di governare con il popolo e per il popolo.
Personalmente ho valutato attentamente questa riforma costituzionale e in particolare il combinato disposto con la nuova legge elettorale, ed ho concluso che non possiamo accettarla per diversi motivi: perché non semplifica l’iter parlamentare ma a anzi in molti casi lo complica, generando una serie di conflitti di attribuzione. Non elimina il bicameralismo ma lo appesantisce, senza dunque portare a significativi risultati in termini amministrativi e nemmeno nella riduzione dei costi. Inoltre svuota le competenze di regioni e del parlamento stesso accentrando tutto il potere nel governo e nel presidente del consiglio.
Non è vero che questa riforma riduce poltrone, costi, burocrazia. Per fare questo sarebbe stato decisamente più semplice, anziché cambiare 47 articoli, dimezzare il numero dei componenti di Camera e Senato, ridare la scelta dei candidati agli elettori, differenziare nettamente i compiti delle due Camere, lasciando alla sola Camera dei Deputati la possibilità di esprimere il voto di fiducia sul governo.
Per questo, anche combinando gli effetti della riforma con la nuova legge elettorale, ho deciso di schierarmi apertamente per il no. E per gli stessi motivi fatico a capire altri posizionamenti privi di coerenza.