Il Gallo Nero (il Duro del weekend)

Luciano Duro

Narratore e Sognatore

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Luciano Duro
di LUCIANO DURO
Narratore e Sognatore

 

Nella grande fattoria, viveva un gallo, in verità bellissimo, aveva le piume nere e lucide come il carbone ed una cricca rosso-fiamma dritta e rigida come la ruota dentata di un ingranaggio.
Faceva parte di quella famiglia di pennuti che seppur poco propensi al volo, risultano essere vanitosi e superbi ed appaiono per la loro esteriore bellezza, colti ed intelligenti. Il suo chicchirichì era squillante come una tromba e così forte da risuonare in tutta la valle.

Il Gallo Nero leggeva “Il Corriere Alato” ed era molto informato sui fatti. Verso il tramonto con incedere regale entrava nel pollaio ed inforcando un paio di occhiali, esponeva a pulcini e pollastre, tacchini e papere, le variazioni della borsa, gli avvenimenti politici ed i fatti delittuosi più eclatanti. Solo i piccioni non prestavano orecchio al disquisire del Gallo Nero, forse perché erano più affascinati dal viaggio che interessati ad una seria informazione giornalistica.

Tuttavia più il tempo passava e ancor più forte nasceva in lui la convinzione di essere, per così dire, sprecato ed inutile, in quell’ambiente provinciale ed incolto ed il desiderio di partire, di vivere in posti più civili e consoni alla sua personalità, diveniva giorno dopo giorno più grande.

Un mattino senza dire nulla, prese la valigia, la riempì delle cose necessarie e partì. Camminò a lungo con le spalle rivolte al sole, che faceva ancor più brillare il già lucido piumaggio, percorse un lungo tratto di strada senza far fatica ed il primo incontrò fu una bianca colomba intenta a riposarsi su un olmo.

“Quale elegante bellezza, è bianco come il latte e ha occhi buoni, vispi e vigili che lasciano intravedere una spiccata predisposizione al dialogo. Credo di aver finalmente trovato un interlocutore al mio pari … Non volare via, non aver fretta, aspetta bianco pennuto, potremo percorrere parte del tragitto insieme e confrontare le nostre opinioni sull’inflazione, sulla politica economica del governo, sull’effetto serra e sull’inquinamento … ”

Gonfiò il petto ed agitò vorticosamente le ali per sottolineare il suo fisico armonioso ed atletico ma la colomba non tradì emozione alcuna e rispose con voce serena: “Sarei ben lieta di accompagnarti, mio dotto amico, sono sicura che il tuo forbito parlare sarebbe per me di buona compagnia e di grande stimolo, ma io per necessità vado di fretta, porto il mio messaggio di pace ad un popolo in guerra, è probabile che gli uomini non vorranno ascoltare, mi poserò allora sulla spalla di un bambino, gli canterò una melodiosa ninnananna affinché sogni un mondo senza guerre ed ingiustizie.”

“Certo è un bell’esempio di volatile questa colomba – pensò il Gallo Nero – Parte per la guerra quasi fosse un caccia bombardiere e non un piccolo e delicato uccello. La guerra è per soggetti forti, imponenti e maestosi come l’aquila che irride la preda volteggiando dall’alto e planando con l’apparente pesantezza di un masso, la cattura con artigli saldi e presa rapida o rapaci più piccoli come il falco, efficace con bersagli d’aria e di terra che, con la tenacia di un cecchino, osserva nascosto e tende l’imboscata.”

La Colomba – parve leggere nel pensiero – “Cosa vai fantasticando Gallo Nero? Credi di conoscere il mondo leggendo libri e giornali o pensi sia sufficiente ascoltare dalla televisione il tuono dei cannoni per capire le atrocità della guerra? Addio, ho urgenza di andare e volare è spesso più rapido e meno faticoso del camminare”.

E’ a tutti gli scienziati noto che, in tempi assai lontani, il gallo e la gallina possedessero la facoltà di volare ma che, per innata pigrizia, nel susseguirsi dei secoli avessero progressivamente perso tale predisposizione. Il Gallo Nero perplesso, pensò che in fondo se a volare fosse un uccello, grazioso ma così poco prestante come la colomba, a maggior ragione potesse decollare un aitante e potente esemplare come lui. Agitò le ali con grande forza, allungo il collo e protese il becco a fendere l’aria, ebbe per un breve attimo la magica sensazione di staccarsi dal suolo ma cadde rovinosamente in una gran nube di polvere. L’ultima cosa che vide fu all’orizzonte la colomba allontanarsi. Riavutosi dal tonfo e dalla cocente umiliazione, riprese il cammino, sicuro di imbattersi strada facendo in una compagnia più disponibile e meno frettolosa. Saltellò, con fare atletico, lungo il sentiero ma di tanto in tanto pensava alla colomba ed alla sua missione di pace. Ciò che suscitava in lui indignazione non era la figuraccia per il fallito volo ma l’idea che, nonostante avesse letto di guerre e calamità, non ne conoscesse realmente gli effetti devastanti, per questo si sentì meno dotto di quanto presumesse. E così camminando, saltellando e beccando, alla ricerca di una meta, ancora nella sua mente indefinita, sentì dall’alto una voce stridula.

“Gallo Nero, marameo ! …. Gallo Nero marameo !”

Alzò gli occhi al cielo e vide un uccello straordinario che dondolava su un ramo d’ulivo. Fu subito colpito da quella disinibita presentazione: “Che meravigliosa creatura! Non ho mai visto un uccello così bello, le sue penne hanno i colori dell’arcobaleno, quel becco giallo ricurvo ispira simpatia ed il suo corpo è snello e forte, gli occhi poi hanno una vivacità che mette a proprio agio. C’è un’armoniosa bellezza in lui, un esotico fascino che mi rende timido, forse il mio aspetto non è così eccezionale come ho sempre creduto e non immaginavo che fuori dalla fattoria vivessero pennuti così graziosi e suggestivi. Come ti chiami uccello colorato?”

“Sono Arturo il pappagallo, fuggito dalla gabbia, sono in viaggio per l’Amazzonia la mia terra d’origine. E’ un posto assai lontano pieno di verdi foreste, così fitte di alberi secolari che la luce del sole penetra a stento”.

“Ho letto di quei luoghi dalla natura incontaminata e di uomini che abbattono gli alberi, rosicchiando le foreste, così come un topo vorace divora giorno dopo giorno un’enorme forma di cacio. E’ davvero così bella la tua foresta?”

“Era Incantevole – rispose Arturo – mio nonno raccontava di mostruose macchine che distruggevano la vegetazione e del tonfo sordo e pesante di alberi altissimi che cadevano al suolo, l’esercito degli uomini avanzava senza pietà e lo spazio diveniva sempre più limitato per gli animali. Molti morirono, tanti sopravvissero, altri furono catturati. Ma la natura si ribellò a tanta violenza e modificò le stagioni: confuse la primavera con l’estate e i colori dell’autunno si sovrapposero a quelli dell’inverno”.

Pronunciate quelle parole, pesanti come macigni, il pappagallo volò via ed il Gallo Nero perplesso, riprese la strada, poco tempo era trascorso dalla sua partenza, aveva letto libri e giornali ma già il mondo gli parve diverso da come lo aveva immaginato, mentre pensoso procedeva nel suo cammino, un gracchiare da dietro una siepe attirò la sua attenzione. “Sono la gazza, sono la ladra, il brillare dell’oro e dell’argento ha per me un fascino più irresistibile della luce del sole nei caldi pomeriggi d’estate. Hai metalli preziosi con te, gallo ?”

“Accidenti! In quel nido sono ammucchiati monili d’oro e d’argento e la gazza, che li custodisce, ha nello sguardo l’avarizia di chi , estasiato, osserva il suo danaro, frutto del risparmio di una vita e lo conserva, gelosamente, convinto che per niente al mondo se ne priverebbe. Cosa te ne fai di quel tesoro uccello di male affare? Hai l’aria di una sentinella nell’avamposto di guerra, non ho intenzione di rubare nulla”.

“Lo guardo, lucido pezzo per pezzo, impazzisco di gioia al solo pensiero che sia di mia sola ed esclusiva proprietà, non potrei vivere senza il piacere di vedere il luccichio di questi anelli d’oro di queste collane colorate… bada non avvicinarti! “ Fischiava minacciosa agitando le ali, pronta a colpire chiunque avesse la sola pretesa di osservare. Non valeva la pena fermarsi, aveva conosciuto nella fattoria uomini avidi e violenti, quella gazza era una pennuta rappresentazione di essi, per questo quasi fuggi. “Nessun dialogo è possibile con quest’uccello volgare ed ignorante, e bene accelerare il passo.”

Percorse un breve tragitto quando un rumore, simile ad un trapano giunse alle sue orecchie.

Ci volle del tempo per individuare un picchio, saldamente ancorato al tronco di una quercia, che con costanza, fendendo il becco lungo ed aguzzo, cercava di estrarre dall’albero la linfa vitale per la sua sopravvivenza.

Quel piccolo uccello sudato, intento a perforare la corteccia, non parve, in vero, uno spettacolo decoroso. L’ostinata e faticosa ricerca del cibo, l’affondare il becco con tale violenza, quasi a ferire l’albero inerme, indignò il gallo che apostrofò in malo modo il povero picchio.

“Che modi sono questi “ poca miccia “ di procurarsi il cibo! Non c’è in te rispetto per la natura, eleganza nel gesto! Rivolgiti al tuo fattore e chiedi del granturco come farebbe qualsiasi pennuto educato e rispettoso di sé.”

“Cosa vuoi nero pallone gonfiato? Non ho padroni e non conosco fattori, mangio cosa voglio e quando mi pare … e poi vuoi cambiare un genuino e succoso frullato di corteccia con del granturco sofisticato ed indigesto come la plastica? E’ un pasto quello per pollame d’allevamento come te, bestie da macello che vedi oggi cantare nel pollaio… domani, sulla tavola imbandita, spennati e cotti, pensa seriamente al tuo avvenire e non scocciarmi, ho da fare !”

Il picchio con quelle parole taglienti come il suo becco, tramortì il gallo che, riposta la testa sotto l’ala, si allontanò velocemente e mentre correva il dubbio alloggiava nella sua testa come il ronzio di un moscone. Era forse anche lui, così dotto e bello, destinato a quell’orribile fine ?

Il fondamento della sua esistenza vacillò al pensiero di quelle parole: il re del pollaio, che aveva studiato per sé e per gli altri , che tanto impegno aveva profuso per elevare la sua classe sociale, ridotto a banale pasto di un umano e se la vita parve meno rosea di prima, era tuttavia contento di essere partito ed aver acquisito in così poco tempo maggiore consapevolezza di quanto difficile fosse il futuro. Si ribellò al suo destino e trovò allora una ragione più profonda per mettere tra sé e la fattoria una distanza ancora maggiore, allungò il passo e continuò spedito. Andava ormai incontro alla notte e decise di riposarsi in una capanna abbandonata.

“Riprenderò domani il mio viaggio, ho imparato così tanto oggi che farò fatica a dormire, ma cos’è questo rumore… C’è qualcuno? … Ho arrecato disturbo…non sono un ladro… Sono un gallo desideroso di apprendere… “

In un angolo buio della capanna, appena illuminata dal pallido chiarore della luna, rigida come una statua, si ergeva una grande aquila, tutto il suo corpo era bianco, anche gli occhi il becco e le zampe che muoveva a piccoli passi, prima a destra poi a sinistra, senza spostarsi di molto dalla sua posizione iniziale, parlava lentamente con voce rauca e cavernosa che pareva venire dal profondo di un’anima tormentata.

“Sei l’aquila reale, mai ne avevo visto una bianca come il sale, ma tu tremi, hai freddo! Quale orribile maleficio ha trasformato il dominatore dei cieli, il padrone delle alte vette in una fredda statua di ghiaccio?”

“Ero un re, una volta, ricco e potente con una compiacente e chiassosa corte. Quando ridevo tutti ridevano, quando ebbro di vino alzavo il calice tutti brindavano, quando danzavo, volteggiando le mie grandi ali, tutti danzavano…ma anche tra le note della più scatenata delle danze c’era sempre quella vena di malinconia che mi intristiva e toccava i sentimenti più profondi della mia anima. Mi rendevo conto di quanto ero infelice, superficiale e superbo… e quando il re piange, piange da solo . Un giorno volai alto verso il sole con la pretesa di raggiungere la felicità ma bruciai le mie ali e precipitai in un freddo vortice che mi rese di ghiaccio. Da allora vivo nel buio della notte, poiché solo un timido raggio di sole, nelle grigie giornate d’inverno, potrebbe sciogliere il mio corpo.”

Il Gallo Nero, atterrito da quella triste storia, fuggi dalla capanna e mentre era alla ricerca di un rifugio più rassicurante, il cielo s’illuminò in un susseguirsi di tuoni, notò una spessa coltre di polvere alzarsi dal suolo, grida strazianti arrivarono, uomini e donne correvano come impazziti in direzioni diverse. Non era un improvviso ciclone a portare panico e distruzione ma qualcosa di più terrificante che non riuscì a spiegarsi, per questo si fece coraggio e si avvicinò al villaggio. Dalla nube di polvere che si diradava vide un mucchio di macerie, i resti delle case sventrate ancora in fiamme, i corpi dilaniati ed ascoltò i lamenti e le grida disperate di aiuto. Non molto distante a terra, immobile, con gli occhi fissi verso il cielo, giaceva inerme un bambino, era così dolce il suo sguardo che sembrò essere vivo, vicino al piccolo riconobbe la bianca colomba, che aveva incontrato, con il petto rosso di sangue.

Tornò alla mente suo nonno, il saggio gallo della fattoria, di cui non seppe più nulla, qualcuno sospettò che fosse finito in pentola, prima che gli anni rendessero la sua carne stopposa e dura. Non volle credere allora a quelle dicerie, ma le parole del picchio lo avevano indotto a riconsiderare quella storia. “La guerra è la follia degli adulti. I bambini possono partecipare solo come vittime” Così raccontava il nonno.

Il Gallo Nero, sconvolto, cercò di allontanarsi il più possibile, senza mai voltarsi, ma due possenti braccia lo sollevarono da terra, con tutte le sue forze provò a divincolarsi da quella morsa soffocante, due uomini in divisa militare lo avevano catturato e le loro intenzioni non erano certamente buone.

“Finalmente un pasto decente, questa sera! Accenderemo un bel fuoco e lo cucineremo allo spiedo.”

Il Gallo Nero era ormai rassegnato alla sua sorte, in un rapido susseguirsi di immagini, ripercorse tutta la sua vita: apparve il volto del fattore, rivide in un attimo tutti coloro che aveva incontrato, ognuno teso alla sua meta, ognuno in preda alla dura fatica del vivere. Le immagini della colomba, del picchio, della gazza, dell’aquila, si mescolarono l’una nell’altra e pensò quanto avesse appreso e come presuntuoso ed ignorante fosse. Tuttavia un dubbio atroce lo tormentava, mentre, stretto dalla morsa dei due umani, si avviava al supplizio, una sofferenza tanto grande da far passare in secondo ordine l’idea della morte imminente. Era la sua una sorte segnata sin dalla nascita e per questo allevato nella fattoria con cura quotidiana o una vittima innocente della guerra ?