Massimo Finzi, già nella Giunta della Comunità ebraica di Roma, è scampato all’Olocausto perché scambiato da piccolo per Paolo Guzzanti: poi giornalista, scrittore e politico. È medico per «restituire il dono della vita», come raccontato durante la manifestazione “La Memoria rende liberi”: organizzata da Prefettura e Comune di Frosinone con autorità e scuole. Si è detto ed è stato "diretto" come Mattarella: «La Shoah come le altre? Bestemmia storica».
«Il cammino dell’umanità è purtroppo costellato di stragi, uccisioni, genocidi. Tutte le vittime dell’odio sono uguali e meritano uguale rispetto. Ma la Shoah – per la sua micidiale combinazione di delirio razzista, volontà di sterminio, pianificazione burocratica, efficienza criminale – resta unica nella storia d’Europa».
Parole del capo dello Stato Sergio Mattarella, pronunciate nel 2018, significativamente rispolverate da Massimo Finzi durante la manifestazione frusinate “La Memoria rende liberi”: organizzata da Prefettura e Comune di Frosinone in vista della giornata internazionale dedicata alle vittime dell’Olocausto.
Il dottor Finzi venne spacciato per un bimbo italico (destinato poi alla fama), altrimenti sarebbe stato deportato e con ogni probabilità non sarebbe mai diventato assessore alla Memoria della Comunità ebraica di Roma. Il 16 ottobre 1943, quando aveva poco più di un anno e mezzo, si salvò dall’Olocausto perché fatto passare per il piccolo Paolo Guzzanti di tre anni: non è un’omonimia, venne presentato come il bambino che poi è diventato un noto giornalista, scrittore e politico, craxiano e berlusconiano. Ancor più famosi i figli, il trio della Satira: Sabina, Corrado e Caterina.
«Shoah come le altre? Bestemmia storica»
«Confondere la Shoah con qualsiasi altra tragedia, anche moderna – ritiene Massimo Finzi – non è un errore storico ma una bestemmia storica». La sua famiglia l’ha vissuta sulla propria pelle. Per colpa delle leggi razziali, «o, meglio, razziste», sua madre fu cacciata dalla scuola in cui insegnava e suo padre dalla fabbrica in cui lavorava come ingegnere. Lui si salvò quasi per un miracolo quel 16 ottobre 1943, nel corso di un maxi rastrellamento di ebrei nella Capitale.
«Questa mia salvezza ha condizionato anche la mia scelta professionale – racconta Finzi, medico di professione -. Erano tutti convinti che avrei seguito le orme paterne e mi sarei iscritto a Ingegneria. Ma avevo un pensiero ossessivo. Mi ritornava l’immagine di questa mia salvezza».
La casa della sua famiglia era situata in un complesso di quattro palazzine alle pendici del Gianicolo. C’erano due ingressi, uno da Trastevere e l’altro da Monteverde. Il destino volle che i tedeschi facessero irruzione passando per la prima entrata. Altrimenti la loro palazzina sarebbe stata la seconda e non la terza in cui rastrellare ebrei.
«È il nostro nipotino Paolo». Guzzanti
I genitori, avvisati dal portiere, fecero un fagotto del figlioletto ed erano ormai pronti alla fuga. Due anziani vicini, però, li fermarono e convinsero ad affidargli il piccolo Massimo. Quando i nazisti chiesero chi fosse, risposero: «È il nostro nipotino, Paolo Guzzanti». È stata la sua salvezza. Guzzanti, più di cinquant’anni dopo, ne ha anche parlato nel libro “I giorni contati”. Sulle copie donate all’amico fraterno Finzi ha lasciato una dedica speciale: «A mio fratello Massimo». Salvato dai suoi zii.
Stava per iscriversi a Ingegneria, ma cambiò idea. «Decisi di prendere Medicina – spiega Massimo Finzi – perché la figura del medico è quella che si erge a difesa della vita. Mi è sembrato un modo per restituire alla società, almeno in parte, il dono della vita che mi era stato fatto da bambino». Il dono di una seconda vita, non concessa a mille persone che vennero prese quel giorno.
C’era, tra queste, anche quella bimba con cui giocava sempre nel giardino davanti casa. «Sono stato salvato da un gesto di solidarietà e coraggio – ha aggiunto – ma nell’edificio vicino presero la mia compagnetta di giochi. Per lei non si è aperta nessuna porta, se non quella di Auschwitz». Inizialmente furono portati al collegio militare di via della Lungara, trattenuti per 48 ore.
«A Roma l’indifferenza totale»
«I tedeschi temevano una reazione da parte del popolo italiano, come accaduto a Napoli con la rivolta nelle Quattro Giornate – argomenta Finzi -. Ma a Roma ci fu l’indifferenza totale, a meno di un chilometro dal Vaticano. Anche il Papa rimase in silenzio e non intervenne, se non per i figli dei matrimoni misti, i “mezzi cristiani”. Gli altri sono stati lasciati al loro destino».
Lo ha detto, dopo tante altre, davanti alle scuole superiori del capoluogo ciociaro. Dove aver premesso di essere “molto diretto”. «Se non riusciamo a comprendere quello che è successo, ricadremo negli stessi errori – dice l’illustre esponente della Comunità ebraica capitolina -. Rischiamo di trasformare riunioni come queste in retorica della commemorazione».
Si stava svolgendo l’evento organizzato da Prefettura e Comune con tutte le autorità militari, civili e religiose. Da lì a poco, tra filmati dell’Olocausto e iniziative studentesche, sarebbero state consegnate le medaglie d’onore concesse dal presidente della Repubblica ai militari e civili ciociari internati e ai familiari dei deceduti.
«Ebbero il vasto consenso delle masse»
«Dobbiamo capire quali sono stati i passaggi attraverso cui Nazismo e Fascismo sono potuti arrivare al potere – va avanti il dottor Finzi -. Nonché quali meccanismi e mezzi di propaganda, figuriamoci con quelli di oggi, per ottenere il consenso vasto e convinto delle masse. Bisogna comprendere come si è arrivati ad annullare ogni diritto fino ad arrivare, grazie all’indifferenza, al genocidio». Un genocidio che, citando Mattarella, reputa drammaticamente unico nel suo genere.
«L’Italia, i conti con il suo tragico passato fascista, li ha fatti? Io qualche dubbio ce l’ho – prosegue –. Le leggi razziali, o meglio “razziste”, sono state preparate con il famoso “Manifesto della razza” sottoscritto da dieci pseudo-scienziati che hanno piegato la scienza alla dittatura. A loro, però, non è successo nulla». Lo firmarono Lino Businco, Lidio Cipriani, Arturo Donaggio, Leone Franzi, Guido Landra, Nicola Pende, Marcello Ricci, Franco Savorgnan, Sabato Visco ed Edoardo Zavattari.
«Hanno continuato tranquillamente la loro carriera – si rammarica Finzi -. Ci sono anche città con le vie intitolate a queste persone». E poi c’era il giudice Gaetano Azzariti, che guidava il tribunale della Demorazza: l’allora Dipartimento di demografia e razza. «Verificava l’applicazione delle leggi razziste in tutti i Ministeri – conclude -. A dirigerlo un giudice razzista e antisemita per sua stessa dichiarazione. Ma poi neanche lui fu processato. Anzi, è stato elevato a presidente della Corte Costituzionale».