Internazionale. I protagonisti della settimana sulle pagine degli Esteri. Per capire meglio cosa accade nel mondo
TOP
KUNO
Nel 2019 riuscì a neutralizzare un combattente di Al Quaeda che aveva messo il suo compagno nel mirino del Kalashnikov. È la caratteristica principale delle unità dello SBS britannico: si muove con micro nuclei di due, massimo tre operatori. Il tutto con un plotone di copertura arretrato di 20 metri, la distanza utile per un disimpegno veloce o un’avanzata scattista. Agile, preciso, letale. Lo Special Boat Service è l’omologo marittimo del SAS, lo Special Air Service di Sua Maestà Britannica, ed è considerato uno dei corpi speciali più micidiali del pianeta.
Il suo top di gamma è la MEDEVAC, l’evacuazione medica dei feriti sul campo con esfiltrazione veloce su vie d’acqua. Per quell’azione a Kuno toccherà la PSDA Dickin Medal. La cerimonia è stata fissata a novembre e sarà da remoto a causa del Covid.
Nella sua categoria la Dickin è l’onoreficenza più alta del Regno Unito. Ma quale categoria? Basta vedere una foto di Kuno per capire. O basterebbe anche intervistarlo per chiedergli come si sente ad essere un eroe. Perché a quel punto lui abbaierebbe e si capirebbe tutto. Che cioè Kuno è un cane, un belgian Malinois di 3 anni arruolato nello SBS a tutti gli effetti come cane da attacco, interdizione ed anti esplosivo.
Durante l’assalto era stato colpito da un proiettile di calibro maggiorato, un ormai obsoleto 7,62. Aveva perso una zampa posteriore e l’altra era stata compromessa irrimediabilmente. Ben Wallace, Segretario alla Difesa, questa settimana ha detto al Guardian che «senza Kuno e verbali alla mano, quell’attacco avrebbe avuto ben altro esito».
I malinois sono probabilmente i cani più nevrili, attivi e fisicamente vocati al cimento della galassia. Ma sono anche recettivi all’addestramento estremo. Ergo, un conduttore armato ed il suo pastore color fulvo-carbone e muso nero sono coppia da evitare, altrimenti il passo fra invocare Allah ed incontrarlo è brevissimo.
Perché il cane blocca e l’uomo spara con un margine di successo altissimo. Kuno è l’animale numero 72 a ricevere la medaglia Dickin. Fa parte di una decoratissima brigata ‘Doolittle’ che lo vede in compagnia di altri 33 cani, di 4 cavalli, di un gatto e di 32 piccioni. Questi ultimi furono impiegati come portatori di messaggi soprattutto durante i due conflitti mondiali. Ad uno di essi, l’irlandese Paddy, in forza alla Raf ed eroe del D Day in Normandia, è dedicato anche un memoriale in pubblica piazza.
Soldato Bau.
SEBASTIAN KURZ
È cancelliere austriaco, è iscritto al Partito Popolare di destra e guida una coalizione tradizionalista. Ma è anche nipote di una sveva danubiana costretta a fuggire dall’Ungheria filonazista di Horthy, e si vede.
Sebastian Kurz è la dimostrazione vivente di una cosa ovvia ma non troppo. Cioè che la destra moderna e democratica non deve inalare neanche un alito del respiro marcio con cui le destre tiranne del secolo scorso avvelenarono il pianeta.
Ma non solo, lui rappresenta quella ristrettissima cerchia di governanti che non solo sanano gli equivoci. No, loro operano attivamente per dire chiaro e tondo da che parte stanno. Come? Legiferando.
E la legge che Kurz ha tenuto a battesimo da pochi giorni dopo aver spinto il gregge intero dei Partiti conservatori austriaci dalla sua parte è da scalpellare nel marmo. I discendenti dei cittadini ebrei che fuggirono dall’Austria nazista avranno diritto, dietro richiesta, alla cittadinanza del Paese con Vienna capitale. Cioè potranno conservare la loro cittadinanza originaria, per lo più britannica come informa il Guardian, ed averne una seconda.
Nei confronti della doppia cittadinanza i governi austriaci erano stati sempre in posizione fra il vago e l’ursino. Dopo una prima apertura nel 1993 un acceso dibattito parlamentare si concluse con un laconico «è già stato fatto abbastanza per le vittime». L’allusione grezza era ai risarcimenti che il governo aveva già attribuito ai singoli ed allo stato di Israele.
Ma quello che successe in Austria dopo l’uccisione del cancelliere Dolfluss, amico di Mussolini, non poteva essere solo una questione di danè. Non dopo l’Anschluss, l’annessione horror a Berlino della patria germanicante del Fuhrer. Doveva avere l’imprinting solenne del legiferato alto. E così è stato.
E a farlo è stato un uomo di destra che sa benissimo cos’è la destra, ma soprattutto che sa cosa non deve essere. Mai più.
Walzer della civiltà.
FLOP
LA NSA
Sul pianeta Terra la National Security Agency è quanto di più vicino ci sia al Grande Fratello Definitivo. E’ l’agenzia di intelligence americana meno surfata dai media, dal cinema e dalla cultura pop. Non arruola forzuti mazzieri, non ingaggia cecchini, non stipendia G Man un tanto al chilo. Ma fa di più: spia, osserva e si intrufola praticamente in ogni anfratto del mondo che abbia come fonte una presa di corrente o un segnale. E lo fa con tanta impunita scioltezza che sette anni fa anche i suoi coccolatissimi cervelloni finirono nella bufera.
Con il Datagate l’allora presidente Barak Obama si trovò a pelare la gatta forse più irsuta del suo mandato. Ma che successe? Grazie alle dichiarazioni di Edward Snowden, un informatico assoldato dagli 007 di Fort Meade, si venne a scoprire una cosa col botto. Che cioè un programma monstre della Nsa veniva usato per captare, catalogare e classificare praticamente ogni telefonata, mail o messaggio degli americani. Non agiva su obiettivi precedentemente messi in bouquet di sospetto da azioni di polizia, ma su tutti. Su tutti gli americani che possedessero un telefono, un pc o un tablet.
Fu la Madre di Tutti i Setacci e fu pasticciaccio che innescò un bel film di Oliver Stone, che con la denuncia di malefatte e contraddizioni del suo Paese ci va a nozze da sempre. Snowden vide i sorci verdi per mesi, perché la sua crisi di coscienza non passò certo inosservata, né venne considerata faccenda di venia dai suoi ex capoccia.
Da studente prodigio a contractor per l’intelligence fino a traditore fuggito in Russia ricercato più di Philby il passo fu brevissimo. Meno breve fu il processo scaturito dalle sue dichiarazioni. Se da un lato Obama perseguì comunque Snowden come divulgatore di faccende top secret, dall’altro mise sotto inchiesta l’intero apparato spionistico a stelle e strisce.
Ad inizio mese la pronuncia dei giudici americani era stata secca ed inequivocabile. La Nsa aveva violato una legge che negli Usa è considerata Bibbia, Vangelo e Costituzione assieme. E’ il Foreign Intelligence Surveillance Act. E Snowden era stato riabilitato dopo sette anni di calvario.
Ma come tutte le faccende che hanno a che fare con le barbe finte anche questa ha una coda. Un nuovo whistelblower si è fatto vivo ed ha spifferato al Washington Post che la verve guardona della Nsa non si è affatto esaurita. Stavolta ha preso di mira con un bug pilotato tutti i software degli islamici d’America.
Una fonte Nsa ha fatto sapere che il programma di spionaggio massivo è giusto. Questo perché avrebbe permesso di arginare il «terrorismo domestico» degli jihadisti di Al Shaabab che giocano al piccolo chimico su suolo americano e in case americane. Semplificando, è come dire che: se tirando sassi alle finestre uno poi becca il cranio di un topo d’appartamento, il lanciatore non va perseguito per vandalismo.
Baco della serratura.
JOE BIDEN
«Non basta, ne voglio di più». Come Carlo Delle Piane nel meraviglioso ruolo del pokerista freddo in ‘Regalo di Natale’. Ora, è evidente che quando Joe Biden ha dato questa risposta rivolgendosi al cronista della CNN Dan Merica intendeva altro. Però è altrettanto evidente che Biden non puo’ permettersi scivoloni concettuali, non ora che ha piazzato il suo didietro saldamente a vista dello sguardo affannato di Donald Trump nella corsa alla Casa Bianca. Una corsa che è al suo rush finale e che è diventata di fatto una gara a chi ha raccolto più consensi preventivi.
E negli Usa i consensi preventivi non sono i sondaggi, quelli sono importanti ma vengono dopo. In America a dare il ritmo al balletto di chi le prende e chi le dà sono i dati sulle raccolte fondi. Per noi europei e per l’elettore italiano in particolare la libertà scollacciata che negli Usa regge il sistema dei fondi è rebus. Un qualcosa che sta a metà fra Mani Pulite e il mercato delle vacche. Ma oltre oceano hanno capito da tempo che il denaro dalla politica non lo puoi setacciare. E perciò hanno deciso di fare tutto in pubblico.
Come? Con le lobby che sono legali e con i finanziamenti ai politici che sono termometro del gradimento degli stessi. Roba tutta rigorosamente contabilizzata al millesimo. Nel mese di agosto per la sua campagna elettorale Biden ha raccolto una somma enorme: 364 milioni di dollari. Con un incremento monstre di 70 milioni di dollari durante la tre giorni della convention democratica. E una punta di ben 34 milioni nelle ore successive alla scelta di Kamala Harris come sua vice. I dati di settembre, in arrivo fra due giorni, sembrano confermare questo trend danareccio, e il candidato dem ha seccamente affermato che vuole ancora più soldi.
Attenzione: Biden ha voluto intendere altro. Che con il meccanismo delle donazioni on line lui vuole che ancora più cittadini comuni diano il loro contributo alla causa, identificandosi con essa. Insomma, lui l’ha messa sul piano dei 10 dollari che un qualunque signor Smith dona alla sua vision, investendo nel futuro suo e dei propri figli. Però la frase, decontestualizzata e rilanciata dai media vicini ai repubblicani, ha preso un altro sapore. Ed è sembrata il crasso sbavare di un politico affamato di ‘piccioli’.
Questo a poche settimane dal voto e con lo staff di Trump che lo percula con la canzone Despacito. Con l’obbligo di cesellare ogni virgola, parola o fiato emesso davanti ad un microfono, il gaffeur Biden poteva metterlo giù diverso, quel concetto. Perché gli americani ameranno pure i soldi, ma solo se frusciano in silenzio.
Statte zitto Cicalò.
MENZIONE SPECIALE
GLI SWING STATES
Nessuno si stupisca, ma se è vero che negli Usa per le Presidenziali si voterà il 3 novembre, è altrettanto vero che a votare gli americani hanno già cominciato. Da inizio settembre a dire il vero. Di persona e per posta. Restrizioni Covid ed una scelta che sta facendo più polemiche di un sex gate nella chiesa mormone sono polpa di un meccanismo che noi europei capiamo poco. Perché tradizionalmente attribuiamo all’esercizio della democrazia negli States le stesse prerogative tecniche del nostro. E non è così.
Dal “winner takes all” fino ai collegi, il meccanismo a stelle e strisce risente del gigantismo di un voto articolato. E modellato su un Paese grande, prima che su un grande paese. D’altronde la democrazia, come tutte le cose belle, è complicata. Lo è perché, pensa un po’, ha la pretesa di mandare al potere non i potenti, ma i delegati di chi potente non lo è. Poi ci sono gli swing states, e proprio lì, in queste ore, si è cominciato a votare. Dopo il North Carolina, che ha spedito i plichi già il 4 settembre, questa settimana è toccata a quattro stati in cui Trump e Biden si giocano il tutto per tutto.
Sono Pensylvania, Michigan, Florida e Minnesota. Qualcuno over millenial avrà sentito ripetere il mantra, invero un po’ barzotto, per cui “chi vince in Florida vince la Casa Bianca”?. Ecco, senso, natura e caratteristiche degli swing states stanno tutti lì, condensati. Perché quelli sono gli Stati in bilico. Dove voto elettorale e voti di collegio giocano a nascondino.
Attenzione: nel loro caso in America non si usa mai l’acronimo, perché riecheggerebbe cose che con la democrazia hanno scarsissimo comparaggio. Gli americani nelle faccende di forma sono come Jack Nicholson in Qualcosa è Cambiato: maniacali.
Gli swing sono gli stati in cui repubblicani e democratici investono più energie. Cosa che non fanno in quelli dove sono già vincitori per tradizione, tipo il Texas per gli elefantini o la California per gli asinelli. Non è un caso che si chiamino anche “battleground states”, stati campo di battaglia. Lì i raduni sono più oceanici, le amplificazioni più heavy metal e le donazioni ai comitati più ricche.
Perfino le donuts, le ciambelle per le estenuanti sessioni di stagisti ormai in precoma, da quelle parti arrivano a bancali. Perché lì Trump e Biden se le daranno come forsennati indossando i guantoni delle raccolte fondi estive. Il primo per colmare il gap e bissare, il secondo per lasciarlo così ed esordire.
Fuori i secondi.