L’emergenza al potere. Il falso tabù delle elezioni

L'emergenza è diventata un pretesto con cui governare in modo diverso. Elevandola a ragione del potere. Intanto il virus galoppa. E nessuno decide. Mentre il Paese reale aspetta risposte, soluzioni ma soprattutto prospettive

Corrado Trento

Ciociaria Editoriale Oggi

Crisi di governo ai tempi della pandemia. È l’unica realtà che il virus non ha stravolto. Perché sentiamo parlare di “responsabili”, di “costruttori”, di bene superiore del Paese. Sempre le stesse cose. Certamente l’emergenza sanitaria ed economica richiederebbe un Governo forte oltre che stabile. Ma il punto è proprio questo: da anni in Italia non esiste un esecutivo sostenuto da una maggioranza politica.

Non l’aveva il Governo gialloverde, con Matteo Salvini (Lega) e Luigi Di Maio (Cinque Stelle), costretti ad inventarsi il “contratto”. Con i due vicepremier che marcavano a uomo il presidente del consiglio Giuseppe Conte. Non ce l’ha mai avuta il Conte bis, peraltro primo caso nella storia repubblicana in cui un presidente del Consiglio si trova a guidare maggioranze completamente diverse, una con la Lega, l’altra con il Pd.

Giuseppe Conte

Questo esecutivo è nato grazie all’intesa tra Matteo Renzi, allora nei Democrat, e Beppe Grillo, fondatore e leader vero dei Cinque Stelle. I due sul piano politico si erano sempre detestati e si detestano ancora. L’obiettivo era mandare a casa Salvini, ma appariva evidente dall’inizio che il Partito Democratico di Nicola Zingaretti, i Cinque Stelle di Luigi Di Maio e Italia Viva di Matteo Renzi non avevano nulla in comune. Si è andati avanti facendo finta di nulla e rimandando sempre le decisioni più spinose.

Poi è scoppiata la pandemia e tutto è cambiato, perché la logica dell’emergenza è stata applicata soprattutto alla politica. Dai Dpcm a tutto il resto. Ma davvero in un Paese democratico non c’è altra alternativa se non quella della stabilità fine a sé stessa che inevitabilmente diventa immobilismo? Evidentemente no, anche perché c’è un altro aspetto da considerare: per quanto riguarda il Covid non si può parlare più di emergenza dopo un anno. Eppure la situazione non è affatto sotto controllo.

Il popolo sovrano in lockdown e l’ipocrisia dilagante

Non si capisce per quale motivo tra le alternative possibili sia da escludere quella delle elezioni anticipate. Certo bisognerà vedere l’andamento della curva dei contagi e l’evolversi della campagna di vaccinazione. Ma il Paese in primavera ha già degli appuntamenti elettorali non di poco conto. Si voterà alle amministrative, in città come Roma, Milano, Torino, Napoli. Si voterà anche in provincia di Frosinone. Ma per le politiche no. Giammai. Il che sarebbe normale se ci fosse una maggioranza vera. Invece non esiste e non è soltanto un duello tra Giuseppe Conte e Matteo Renzi.

Il Pd chiede un nuovo patto di legislatura, mentre nel Palazzo sono tutti con il pallottoliere per cercare di capire come vincere la “conta”. Solo questo interessa. Fra l’altro, più questa legislatura dura, più in là si sposterà l’entrata in vigore della riforma costituzionale approvata con il referendum dello scorso settembre. Ricordiamolo sempre: 345 seggi in meno. Meno poltrone per tutti.

Il virus galoppa nell’emergenza
(Foto: Vince Paolo Gerace / Imagoeconomica)

Nel frattempo, però, il virus non si ferma. Anzi. I contagi continuano, Rt (l’indice di trasmissibilità) aumenta, l’Italia si colora di arancione e rosso, con pochissimi sprazzi di giallo. Sul fronte del vaccino, emergono problemi e ritardi.

Intanto il Paese reale resta “chiuso” nella sostanza: dalla scuola a tutto il resto. Non è vero che “andrà tutto bene”, non è vero che l’Italia ha retto meglio di altri l’urto della pandemia.

L’effetto domino della crisi si è verificato ad ogni livello, anche sul piano locale. Oltre l’annuncio non si va. Nel Pd tutti ripetono di voler ricostruire il centrosinistra in provincia di Frosinone. E di provare a cercare un’intesa anche con i Cinque Stelle. Poi però non succede mai niente. Il centrodestra si è riunito l’altra sera, su iniziativa del senatore Massimo Ruspandini (Fratelli d’Italia). E ciò ha indubbiamente rappresentato una novità reale. Ma la coalizione è ancora in alto mare per quanto riguarda strategie e candidature a sindaco condivise alle prossime comunali. (Leggi qui Elezioni: Alatri verso la quadra, a Sora il re è nudo).

Ad ogni livello è l’immobilismo la condizione predominante. Il Paese reale è un’altra cosa: lavoratori, famiglie, imprenditori, artigiani, commercianti, professori, studenti aspettano soluzioni che non arrivano. Ma la sensazione forte è che quando si arriverà a votare, per qualunque tipo di contesto, i cittadini ricorderanno la gestione della pandemia. Nel bene e nel male.

La lezione lasciata dal senatore Romano Misserville
Romano Misserville

Qualche giorno fa è morto il senatore Romano Misserville, uno dei maggiori politici che questo territorio abbia mai espresso. Con lui davvero è andato via un pezzo di storia della Ciociaria.

Ha attraversato decenni della vita politica italiana, da protagonista. Non soltanto perché ha raggiunto traguardi importanti come la vicepresidenza dell’aula di Palazzo Madama. Non soltanto per l’amicizia con Giulio Andreotti e Francesco Cossiga e per i rapporti con Silvio Berlusconi, Gianfranco Fini e Massimo D’Alema.

Il fatto è che Misserville ha affrontato la vita con quel disincanto e quell’ironia che si rivelano indispensabili per dare il giusto valore ad ogni cosa. Dalla più piccola a quella più grande. Si è divertito perché non si è mai preso troppo sul serio. E men che meno ha considerato le tante cariche ricoperte come traguardi irrinunciabili.

Certamente oggi la politica non è quella di un tempo, ma ad essere cambiato è anche il concetto stesso di democrazia rappresentativa. E di vita all’interno dei partiti. Romano Misserville ha fatto spesso scelte impopolari, pagandone il prezzo ma riuscendo a raggiungere dei traguardi proprio per il coraggio di osare. Sapendo distinguere tra purosangue e asini. Non solo negli ippodromi.

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