Addio alle armi: quelle all’Ucraina, e il modello Anagni non è in agenda

Gli aiuti a Kiev, una proroga inserita al volo in un Cdm e la "soluzione Leonardo" che non è arrivata ad alleggerire il carico

Piero Cima-Sognai

Ne elegantia abutere

Dopo l’invasione da parte della Russia di Vladimir Putin a danno dell’Ucraina di Volodymyr Zelensky in Italia erano successe molte cose che oggi sono nodi al pettine (ovviamente metaforici, non se ne abbia) di Guido Crosetto. Su tutte si era creato un meccanismo decisionale per cui si stava, a livello governativo, senza se e senza ma con Kiev. E ci si stava al punto tale da decidere di inviare armi ai combattenti ucraini.

In meno di due mesi lo Stivale si (ri)scoprì atlantista ortodosso e dovette fare i conti con una linea geopolitica che da anni potevamo permetterci di proclamare ma mai di attuare nel concreto di una guerra in Europa. Noi viviamo di bluff fin dai tempi di Cavour in Crimea, è noto.

Insomma, Washington e la Nato, come l’Arcidiavolo Belfagor di Machiavelli che testava la capacità delle mogli fiorentine di usurare il senno dei coniugi finiti all’Inferno, ci chiesero la prova provata che eravamo nel club. In quasi due anni abbiamo quindi mandato 1,4 miliardi di euro. Da quel febbraio 2022 molte cose però sono cambiate, prima fra tutte la percezione di una guerra a Mosca che consideriamo sì ancora “santa”, ma sulla quale caliamo meno benedizioni etiche e meno briscole operative.

Il logorio della nostra militanza ha due facce: una è tecnica in purezza, l’altra politica per parte.

Stiamo intaccando le nostre riserve

Guido Crosetto (Foto: Leonardo Puccini / Imagoeconomica)

E la parte tecnica è quella che per un attimo aveva fatto pensare all’esecutivo Meloni di fare come altri Paesi con gli stessi problemi. Sì, ma quali problemi? Quelli per cui alla lunga non abbiamo quasi più sistemi d’arma da inviare a Kiev, a meno di non voler sguarnire severamente il nostro parco difesa.

L’allarme c’è ed è preciso: lo ha lanciato sia pur in maniera possibilista e soft il capo di Stato Maggiore della Difesa, generale Pietro Serino. Prima di lui, la scorsa estate, con non minore autorevolezza un analogo allarme lo aveva lanciato il generale Luciano Portolano Segretario generale della Difesa. È il vertice amministrativo della nostra Difesa, soprattutto è il Direttore Nazionale degli Armamenti: in pratica il responsabile della politica degli armamenti relativamente alla produzione di materiali per la Difesa. A luglio ha detto in audizione commissione Affari Esteri e Difesa del Senato “Se non saremo in grado di assicurare un adeguato livello di disponibilità di munizioni e missili in tempi rapidi, potremmo mettere a rischio le possibilità di successo dello sforzo bellico ucraino”. Come mai? “I sistemi donati servirebbero a poco senza le necessarie munizioni“. (Leggi qui: La Difesa chiede di ‘arruolare’ il Propellenti per l’Ucraina).

Cosa avevano fatto gli altri Stati con grane simili? Semplice: avevano avviato rapporti ufficiali con le grandi fabbriche nazionali per far produrre più armi proprio per la bisogna. La nostra soluzione possibile ad esempio si chiamava Leonardo. Che ha appena firmato l’accordo con i giapponesi di Mitsubishi e gli inglesi di Bae Systems per i caccia di VI generazione alcune parti dei quali saranno fatte a Caselle. L’azienda pubblica in questione è uno dei leader mondiali del settore e conta anche un sito di eccellenza in quel di Anagni.

La soluzione Leonardo e quel che fa in Ciociaria

Leonardo Elicotteri

Quello spot è settato però su una tipologia specifica di produzione, che è quella della produzione delle pale in materiale composito per tutti gli elicotteri di Leonardo. L’Italia non invia (pare) velivoli ad ala rotante a Kiev, ma altre categorie. Il Leonardo Production System avrebbe però potuto contribuire in maniera diversa ma determinante. Come? Con il suo programma di efficientamento, sicurezza e qualità dei prodotti. Era la linea “On safety, on time e on cost” promossa dal responsabile del Centro di Eccellenza Blades & Composite Rotor Heads per gli stabilimenti di Anagni e Yeovil Oreste Cafasso.

Perché la linea di coinvolgere Leonardo non aveva prodotto risultati? Sul motivo è mistero glorioso ma il nulla di fatto è una delle cose ereditate dal governo Meloni con cui Crosetto ha fatto i conti. Li ha fatti con il Copasir, dove ha parlato dei contenuti dell’ottavo decreto ministeriale per l’invio di aiuti militari all’Ucraina. Decreto che pareva essere l’ultimo, dato che il 31 dicembre scade infatti l’atto che consente al governo di proseguire nell’invio di armi e munizioni all’Ucraina.

Il decreto è comparso nell’ultimo Cdm e in merito ai tempi il ministrone è stato sincero: “Dipende dai tempi e dall’intasamento del Parlamento. Siccome non è una cosa urgente, io vorrei passasse per il dibattito parlamentare senza scorciatoie”.

Come facciamo a “dribblare” le Camere

Calma e gesso, spieghiamo: quel decreto è una sorta di contenitore multiuso con cui Palazzo Chigi procedere di volta in volta con l’invio. Questo perché i decreti ministeriali sono atti amministrativi, vale a dire di di rango inferiore rispetto alle leggi ordinarie, e non necessitano di passare in Parlamento. Le Camere avevano sì autorizzato di anno in anno il Governo a decidere. Ma i provvedimenti ministeriali si erano affrancati dalla verifica nelle due camere salvo incaricare il Copasir di riferire ad esse. In nome della sicurezza (e della segretezza su quantità e tipologie di armi) ci eravamo quindi inventati una giostra contorta assai per lisciare la democrazia parlamentare e per restare vaghi su quel che inviavamo.

Dopo quello a guida Mario Draghi l’esecutivo condotto da Giorgia Meloni aveva dato luce verde in Consiglio dei ministri al decreto di proroga che estendeva a tutto il 2023. Decreto che venne convertito a gennaio ed ora sta per scadere: mancavano i tempi per una nuova seduta che lo prorogasse.

Il calendario di fine anno e natalizio è fittissimo e il problema dell’esaurimento delle scorte preme a ché non venga modificato. Ecco perché Crosetto ha fatto come gli incursori del Nono e lo ha infiltrato furetto nel Cdm senza Meloni.

Non c’è tempo e non c’è più “roba”

In Ucraina noi abbiamo mandato il contenuto di depositi ed arsenali spesso obsoleti, si pensi ai “famosi” obici da 155 che in primo lotto non funzionavano. Ma adesso anche quelle armi non proprio di ultima generazione stanno finendo, e l’Italia è a corto soprattutto di munizioni e granate. Lo Stabilimento di munizionamento terrestre di Baiano, nel Piacentino ad esempio, produce esattamente il materiale che serve. Tuttavia non può più reggere il doppio ritmo di provvedere alla sicurezza nazionale ed al foraggiamento della linea estera del governo.

L’Agenzia industrie difesa (AID), che lo controlla, dal 2001 fa esattamente questo: lavora cioè per un approccio commerciale ed industriale e punta al pareggio di bilancio. Ed è difficile pareggiare se si continua ad inviare non in regime di mercato. E il problema politico? Quello è il “solito” ma con tutta la recrudescenza di intensità aumentata figlia di tempi meno “empatici” con la guerra difensiva di Kiev. Ed è un problema che si chiama Lega.

La nuova carica “peace and love” della Lega

Matteo Salvini

Il partito guidato da Matteo Salvini era stato sempre scettico sull’invio di armi. Ed ultimamente, complici anche i rapporti non proprio “zuccherini” tra premier e secondo vicepremier, quello scetticismo è diventato più sfacciato. In particolare al Senato il Carroccio, come ha scritto Il Post, “ha espresso forti perplessità riguardo all’orientamento di Meloni, considerato troppo supino nell’accettare le direttive della NATO”.

Alcuni senatori in fregola da Europee imminenti ed incaricati di far trapelare quel che non può portare le impronte digitali del Capitano, sono stati più chiari ed hanno accusato l’esecutivo di essere “ostaggio della propaganda bellicista”. Una propaganda che, bellicista o meno, con la fine dell’anno non ha più molti megafoni.

Perché e come in tutte le cose, avere una posizione presuppone che si abbiano i mezzi per prenderla. E quei mezzi l’Italia li sta finendo.