Invidia, superbia, ira… ecco dove si nascondono in noi (di P. Alviti)

Incipit Comœdia, quadro di Roberta Coni

Pensiamo di essere senza peccato. Perché non diamo fastidio a nessuno. E basta stare a posto con la coscienza. Invece no. C'è una cosa che si nasconde dentro di noi. Ecco cos'è, dov'è e come si affronta

Pietro Alviti

Insegnante e Giornalista

Se diciamo che siamo senza peccato, inganniamo noi stessi e la verità non è in noi

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Io non ho fatto mai male a nessuno, basta stare a posto con la coscienza, ma io che male ho fatto? Quante volte queste frasi ci hanno riempito la bocca, ci hanno corazzati contro i solenni richiami della nostra coscienza.

Ma non sono frasi di cristiani, non sono frasi da cristiani: i cristiani sanno invece che tutti siamo immersi nel male, in quel male da cui chiediamo a Dio di essere liberati… Liberaci dal male pregano i cristiani con le parole che Gesù stesso ha insegnato ai suoi discepoli.

È quel male che ci appartiene, che rischia di dominarci, di divorarci.

Molto meglio lo spiega Dante nell’incipit della Commedia: possiamo essere immersi nel male, senza saperlo. Dante si ritrova nella selva oscura, non decide di andarci: se ci pensate, è terribile, vuol dire che possiamo fare del male senza che ce ne rendiamo conto.

Possiamo fare del male alle persone quando compriamo prodotti al supermercato, quando esageriamo nei consumi, quando sprechiamo le risorse del pianeta, quando utilizziamo il sud del mondo come una gigantesca discarica, quando abbandoniamo rifiuti. Spesso lo facciamo senza rendercene conto.

Ma anche quando ce ne rendessimo conto e decidessimo di ritrovare la via giusta, magari per salvare il pianeta dalla sua distruzione, Dante ci avverte che la strada non è ancora libera. Quando vede finalmente il sole che gli indica la strada per uscire dalla selva oscura e comincia a salire, felice di aver sventato la morte, come un naufrago che finalmente ha trovato la terra, gli si parano davanti tre fiere mostruose che lo respingono ancora nella selva, gli impediscono di essere libero, lo rendono schiavo.

Quelle fiere non gli sono estranee, sono i mostri della sua personalità che lo divorano, sono l’invidia, la superbia, l’ira, nella declinazione tradizionale dei vizi capitali, chiamati così perché portano alla morte.

Da solo Dante non ce la fa: è inesorabilmente vittima dei suoi mostri se non viene liberato dalla grazia divina che sollecita la sua ragione, la sua intelligenza e gli fa prendere consapevolezza del male in cui è immerso.

Liberaci dal male… se Gesù ci ha insegnato a invocare una tale liberazione vuol dire che non siamo senza peccato, che facciamo del male spesso anche senza rendercene conto, pieni di sonno ci immergiamo in una selva oscura che ci fa perdere ogni punto di riferimento.

Libera nos a malo…