Tre parole nel giusto ordine… (di P. Alviti)

Tutti parlano dei giovani, in questo periodo. Ma non li considerano... Insomma possono starsene per conto loro, con le loro feste, i loro balli, le loro pazzie, le loro scemenze… so’ ragazzi. Ci sono tre parole, invece, che nel giusto ordine ci fanno capire tutto

Pietro Alviti

Insegnante e Giornalista

Gesù lo guardò, lo amò e gli disse…

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In questi giorni tanti parlano di giovani: lo fanno i vescovi di tutto il mondo, riuniti dal Papa per un sinodo proprio ai giovani dedicato. Ne parla il Governo, ne parlano gli educatori, i poliziotti, gli scrittori, i giornalisti, i cineasti.

Tutti ne parlano: soprattutto gli adulti, ancor di più gli anziani.

 

Eh sì, perché è sempre un problema per gli adulti tener conto seriamente dei giovani: nel nostro intimo, li consideriamo ancora in formazione, non completamente uomini, non pienamente cittadini.

Insomma possono starsene per conto loro, con le loro feste, i loro balli, le loro pazzie, le loro scemenze… so’ ragazzi.

 

Anche a me, tante volte, viene in testa questa frase, come se i ragazzi che abbiamo di fronte non siano persone a pieno titolo, con i loro desideri, le loro passioni, le loro debolezze e la loro forza, i loro successi e i loro fallimenti.

E così ci crea una frattura che non riesce mai a ricomporsi.

D’altronde il potere è degli adulti: lavorano, guadagnano, decidono mentre i giovani non lavorano, non guadagnano e perciò difficilmente decidono in maniera completamente autonoma.

 

Negli anni, noi adulti abbiamo caricato sulle spalle dei giovani un debito enorme, un ambiente problematico, una società a volte difficile da vivere.

Gesù ci suggerisce un modo per superare un tale disastroso iato fra le generazioni. Va da lui un giovane: è ricco, colto, buono. Gli chiede di sapere come avere la vita eterna. Non gli bastano i comandamenti, non gli basta di seguire le regole.

L’evangelista Marco attribuisce a Gesù tre azioni, importantissime nel giusto ordine: Gesù lo guardò, lo amò e gli disse.

Non gli fa subito la predica, non lo rimprovera, non gli dice che non capisce le sue stranezze, non lo giudica come siamo abituati a fare sempre… lo guarda, scava dentro quel giovane, ne capisce le esigenze, i drammi, i pericoli. E lo ama, ha compassione di lui, è solidale con lui, si fa carico dei suoi problemi. E soltanto a quel punto, parla con autorevolezza.

 

Ecco, se nel rapporto con i nostri ragazzi applicassimo la regola dei tre verbi nel loro ordine evangelico ci percepirebbero come adulti seri, non come amiconi subito pronti a rimangiarci i nostri impegni se qualcosa va storto.

 

Guardare, amare e, soltanto allora dire…