Antonio Tajani, l’euro garante che può diventare premier

Antonio Tajani l'euro - garante. Il presidente del Parlamento Ue è stato il mediatore tra Berlusconi e Merkel dopo la rottura tra i due. A Bruxelles è visto come l'uomo giusto per tenere Berlusconi vicino all'Ue e all'Italia lontano dagli artigli degli euroscettici di Salvini e Di Maio

Fausto Carioti

per “Libero quotidiano”

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A sessantaquattro anni compiuti, gli ultimi ventiquattro dei quali trascorsi in politica, per Antonio Tajani è arrivato il momento di infilare una mano in tasca e provvedere, con l’elegante noncuranza che ha ereditato assieme ai quarti di sangue blu, al gesto apotropaico. Magari mentre ripete «Sono presidente del parlamento europeo e intendo restarlo sino alla scadenza del mandato», poesiola che recita con cadenza quotidiana da quando ha capito che stavolta il rischio è serio.

Allineato e coperto, fosse per lui non sarebbe trapelato nulla. C’è voluto Silvio Berlusconi per svelare il piano: «Tajani è una persona molto stimata a livello europeo e sarebbe una perdita per l’Ue. Ma sarebbe il premier ideale». In ogni caso, ha aggiunto il Cavaliere, «abbiamo altre due personalità in serbo, ma non le dico».

Trattasi, per la cronaca, dello stesso Berlusconi e di Gianni Letta. Insomma, se il centrodestra avrà la maggioranza dei seggi e Forza Italia sarà il primo partito della coalizione e non potrà proporre ancora una volta se stesso, il capo chiamerà uno degli altri due a guidare il governo. E l’anagrafe, lo spirito dei tempi e lo stesso Gianni Letta dicono Tajani.

 

EX MONARCHICO

Lo hanno capito pure alleati e nemici, che stavolta non è come le altre. Ieri Emma Bonino, sodale del Pd e pure lei ex commissaria europea, ha decretato il non expedit radicale: «Tajani è il presidente del Parlamento europeo e per l’Italia sarebbe un’enorme perdita di credibilità se si dimettesse adesso».

Usa parole diverse Matteo Salvini, ma la sostanza è la stessa: «Ho letto che Berlusconi ha altri due nomi a sorpresa e a me le sorprese piacciono tanto».

Significa che per il leader della Lega qualunque forzista è meglio di Tajani.

Esordio politico a destra, nel Fronte monarchico giovanile, romano con radici nella ciociara Ferentino, tifoso juventino, laurea in Giurisprudenza e quindi capo della redazione capitolina del Giornale, nel 1994 Antonio Tajani lascia la squadra di Indro Montanelli per diventare il portavoce di Berlusconi.

Quello stesso anno riesce a farsi eleggere al Parlamento europeo, ma dopo poco due incidenti lo fermano: nel 1996 soccombe nella corsa alla Camera nel collegio di Alatri, che avrebbe dovuto essere il suo feudo, e cinque anni dopo, sebbene di stretta misura, è sconfitto nella sfida per il Campidoglio con Walter Veltroni.

Sembra avere perso il treno buono. Invece nell’esilio di Strasburgo, dove continua a essere eletto, Tajani s’inventa un nuovo futuro. Studia i dossier, impara il «mestiere». Scopre di avere una grande qualità: è tenace nelle mediazioni, sa tessere rapporti. Il rapporto con Berlusconi è di ferro e lo aiuta a diventare il punto di riferimento italiano del Partito popolare europeo.

Nel 2008 è commissario ai Trasporti e due anni dopo è promosso all’Industria. Rieletto all’europarlamento, punta al bersaglio più importante: prima numero due, quindi presidente dell’aula di Strasburgo. Stringe legami forti, soprattutto con gli spagnoli: nel 2015 la città di Gijon gli dedica una strada, per ringraziarlo di avere impedito la fuga di un’azienda americana e salvato 210 posti di lavoro.

 

IL MIRACOLO

Così nel 2011, agli occhi di un Cavaliere umiliato dalle risatine del tandem Merkel-Sarkozy e rimosso da palazzo Chigi tra gli applausi delle cancellerie europee, l’addetto stampa che ha fatto carriera a Bruxelles è l’unico chirurgo capace di ricostruire i rapporti con l’élite del vecchio continente.

Tajani compie un mezzo miracolo, aiutato dalla comparsa sulla scena di Luigi Di Maio, confronto al quale l’ex impresentabile di Arcore sembra Alcide De Gasperi. Angela Merkel augura a Berlusconi di vincere le elezioni politiche e tutte le nomenclature europee si sdilinquiscono davanti a lui, come non avevano mai fatto quando era al governo. Il prezzo da pagare è l’allineamento ai trattati europei, che il leader di Forza Italia, d’ intesa con Tajani, accetta. E se per questo bisogna arrivare ai ferri corti con Salvini, tanto meglio.

Si sa come va con i «prescelti» di Berlusconi: delfini per un giorno, spiaggiati per sempre. Anche perché, appena il nome gira, volano i coltelli e si distillano veleni (ne sa qualcosa Franco Frattini). Nulla del genere succede con Tajani. Il quale si è sempre tenuto lontano dalle beghe tra correnti ed è stato attento ad invitare tutti alla kermesse che ogni settembre organizza a Fiuggi: berlusconiani ortodossi ed in odore d’eresia, democristiani, socialisti, ex camerati, forzisti in auge e caduti in disgrazia, a casa d’Antonio c’è posto per tutti.

 

IL PIÙ AMATO

Il risultato è che oggi, dentro al partito, è impossibile trovare uno che parli male di lui. I difetti che gli vengono attribuiti sono poca cosa, alcuni sconfinano nelle qualità. «Non è il classico politico capace di curarsi il territorio, non è il tipo che ti incontra e ti chiede: “Che te serve?”». Cose così. La sua vanità si limita alla collezione di riconoscimenti e onorificenze, il prossimo dei quali (il premio «Contro il Terrorismo» di una fondazione spagnola) gli sarà consegnato lunedì a Siviglia.

In queste ore spinge per candidare il suo braccio destro in Ciociaria, Mario Abbruzzese, e l’ex bomber del Milan Beppe Incocciati.

Con Salvini l’intesa non è mai sbocciata – e vista la visione diversa che hanno della Ue mai ci sarà – e con Giorgia Meloni si sta cordialmente sulle scatole: presto Roma sarà troppo piccola per loro due.

Ma sono solo ulteriori meriti, agli occhi di Berlusconi e di tutti gli altri azzurri.