A volte ritornano: Il Consorzio degli Aurunci ed il caso dei debiti fantasma

Ex consorzio degli Aurunci: i creditori trascinano in tribunale l’ente che essendo privo di rappresentanti soccombe puntualmente. Ed i giudizi ricadono sulle casse dei comuni/soci, a cui la regione storna dai trasferimenti istituzionali quota parte dei debiti del Cara.

Marco SELLONE

per L’INCHIESTA QUOTIDIANO

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I creditori dell’ex Consorzio Acquedotti Riuniti degli Aurunci continuano a battere cassa, trascinando in tribunale il C.a.r.A. per forniture e servizi che non sarebbero stati pagati.

Ma in giudizio non si costituisce nessuno per difendere il consorzio, ente privo di organi e rappresentanti, che nel 2013, secondo la Prefettura di Frosinone, aveva debiti per 40 milioni. E così i creditori hanno vita facile: vincendo sistematicamente le cause intentate.

Il conto finisce puntualmente sui tavoli dei vari Comuni, un tempo soci del Consorzio fondato nel ‘41.

 

Un andazzo questo che una folta schiera di sindaci intende fermare, «con ogni mezzo», compattando nuovamente il fronte che si oppone, da tempo, ed abbastanza infruttuosamente, a quello stillicidio di ingiunzioni di pagamento e sentenze per i debiti che il Consorzio maturò nei confronti di una moltitudine di creditori.

A dire basta a quelle continue ingiunzioni per un Consorzio del quale fecero parte e che ormai non esiste più sono i sindaci. IL Comune di Cassino li ha riuniti per tentare di scongiurare in ogni maniera le continue rivalse sulle 51 municipalità frusinati e sulle 20 pontine (ma non sui due Comuni non laziali soci del Cara) per ripianare i debiti dell’ente, è ciò che.

 

Anche perché già alcuni trasferimenti regionali sono stati “tagliati”, proprio in forza di una operazione compensativa definita dalla Regione Lazio. Che di fatto ha sottratto dai contributi istituzionali dovuti ai Comuni, «la quota parte contabilizzata come rimborso debiti» dell’ex consorzio degli Aurunci.

Per il solo comune di Cassino ad esempio, l’ente guidato da Nicola Zingaretti ha già proceduto allo “storno” di circa 400mila euro.

Mentre i conti in sospeso per un comune come Terelle ammonterebbero a circa 10.000 euro, per Isola Liri e Pontecorvo 150.000 e ben 800.000 euro per Terracina.

Un’operazione che i 26 primi cittadini che hanno firmato 48 ore fa un documento unitario per «l’immediata liquidazione del Cara», non hanno esitato a definire «illegittima». Anche perché «la regione Lazio non ha rispettato le quote consortili avendo escluso, dal debito, i due Comuni non appartenenti alla regione Lazio» (uno casertano, l’altro isernino).

 

I sindaci, inoltre, hanno costituito un comitato operativo composto dai comuni di Cassino, Terracina, Isola del Liri, Castelforte, Santi Cosma, Sant’Ambrogio sul Garigliano, Piedimonte San Germano e Prossedi. Lo scopo è di snellire tutte le azioni future, siano esse meramente comunicative o esecutive, che si avvieranno da qui in avanti.

Al momento gli ex soci del Cara hanno chiesto l’intervento del Ministero dell’Interno, della Presidenza del Consiglio dei Ministri e del governatore del Lazio, dichiarandosi «disposti ad attivare qualunque forma di lotta politica, istituzionale e giudiziaria» nel caso in cui non venissero adottati «provvedimenti» risolutivi.

Nel frattempo, i firmatari del documento unitario, si opporranno «con ogni mezzo alle procedure giudiziarie esecutive con cui i presunti creditori del Cara inducono i giudici, sia ordinari che amministrativi, a svolgere una funzione di supplenza in nome di una presunta obbligazione solidale del patto consortile» che produce «gravissimi danni per le esauste finanze dei comuni».

 

Una presa di posizione nettissima e forte, assunta con toni mai adottati in passato, che i primi cittadini hanno giustificato in questi termini: «Lo statuto consortile, esplicitamente, stabilisce che “qualora il consorzio non possa assolvere i compiti statutari con i proventi, i comuni verseranno quote di concorso da determinarsi in misura proporzionale al numero dei rispettivi utenti”».

Ma lo stesso statuto -. hanno annotato i 26 sindaci del “nuovo” fronte anti-Cara – sancisce altresì che spetta all’assemblea generale deliberare “eventuali quote di concorso da versarsi dai comuni al consorzio”.

E di conseguenza «solo l’assemblea generale ha il potere di imporre ai comuni consorziati il versamento di eventuali quote ove per la realizzazione di un determinato servizio o investimento le entrate orginarie non siano state sufficienti».

Nessun altro soggetto dunque, tantomeno la Regione, «ha il potere di imporre tali oneri».

 

Chiarito questo aspetto “interpretativo” rispetto alle disposizioni statutarie, i primi cittadini hanno dichiarato che «non possono accettare che, dopo aver subito un “esproprio di gestione del Cara” durato ventidue anni, ora debbano pagare un conto neanche derivante da una procedura di liquidazione del consorzio, ma da procedure giudiziarie singole celebrate contro il Cara (spesso contumace perché privo di organi rappresentativi), nelle quali i comuni non sono mai stati convenuti ma delle cui sentenze ora vengono ritenuti responsabili finanziari. In altre parole si tenta, per via giudiziaria, di trasformare i comuni nei bancomat di un consorzio impossibilitato a difendersi per mancanza di propri organi – hanno evidenziato in uno dei passaggi più forti del documento – e, quindi, facilmente condannabile».

 

«Nel 2003 – hanno ricordato i sindaci – venivano trasferite d’imperio e senza alcun concorso dei comuni, tutte le funzioni, le risorse umane e strumentali e tutte le attività del Cara ad Acqua Latina e ad Acea Ato5».

In quella fase «il presidente del collegio commissarile informava tutti i sindaci che il Cara aveva crediti dper 15 milioni di euro e debiti per 4 milioni».

Ma nel «corso del 2017 i comuni sono stati aggrediti da numerosi soggetti che si qualificano come creditori con pretese di pagamento a carico dei comuni stessi e non del consorzio. Aggressioni alle risorse finanziarie comuali motivate dalla mancanza di risorse nelle casse del Cara.

In questo scenario la folta schiera di creditori o «presunti» tali come hanno voluto sottolineare a più riprese i sindaci, «rivendicano somme nei confronti di un consorzio impossibilitato a difendersi perché privo di legale rappresentante».

 

Stesso copione per i giudizi di ottemperanza che seguono le sentenze esecutive: «I presunti creditori ottengono, anche per la suddetta assenza del Cara, il riconoscimento di un credito che divenuta giuridicamente certo ed esigibile attraverso successive procedure di inottemperanza, alle quali il Cara non può che essere assente».

E ciò non può che comportare, secondo la lettura data dai primi cittadini, il trasferimento di un carico, «sui bilanci comunali, di debiti che forse lo erano del Cara ma non certo dei comuni, solo perché il consorzio deve rimanere assente nel giudizio e non ha propri organi».

Situazione questa «dovuta unicamente ad una scelta fatta dal Ministero dell’Interno che, previa interlocuzione con la Presidenza del Consiglio dei Ministri, ha deciso che spetti alla regione Lazio nominare un organo liquidatore al Cara, ritenendo insignificante il fatto che del consorzio sono soci anche comuni non laziali. Ed infatti, la stessa regione, non solo non si è fatta carico di nominare un organo di liquidazione, ma essa stessa si é posta come creditrice ed a fronte del mancato pagamento delle somme rivendicate, invece di agire nei confronti del Cara, ha attivato l’istituto della compensazione detraendo dai contributi istituzionali da essa dovuti ai comuni laziali, la quota parte contabilizzata come rimborso debiti del consorzio».

 

Ma quello che viene considerato dai sindaci «il peggior pericolo», non è solo «la faciloneria con cui vengono addebitati ai comuni i debiti del Cara», ma anche il fatto che, «mancando ogni possibilità di bloccare lo stillicidio dei presunti debiti, continueranno a sorgere sempre più creditori ai quali nessuno potrà mai contestare la esistenza o meno del presunto credito: non il Cara perché privo di organi, non i comuni perché non citati in tali giudizi».

 

Il Cara in sostanza, definito come un ente «in dissolvenza», cioè non liquidato, non funzionante e privo di organi di rappresentanza «per scelta del governo», è «al tempo stesso capace di generare sempre più debiti e far sorgere sempre più creditori».

«A fronte di tale drammatica situazione i sindaci insorgono – hanno poi concluso i 26 primi cittadini – evidenziando che l’origine di tale disastro istituzionale è ascrivibile unicamente al decreto di scioglimento degli organi consortili e la loro sostituzione con un collegio commissariale nominato nel 2006 dall’Interno e al mancato controllo sulla gestione del collegio, anche in occasione del trasferimento di tutte le funzioni consortili ai gestori del servizio idrico avvenuto nel 2003».

 

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