Campidoglio con vista Quirinale. E Palazzo Chigi

Se i Democrat vincono le amministrative e il segretario sbarca in Parlamento, si apre una fase nuova. Con Enrico Letta che potrebbe provare a cambiare radicalmente l’impostazione del Partito. Ma c’è un problema. A Roma è in campo il modello di Nicola Zingaretti. Che non è proprio la stessa cosa. E la Capitale pesa più di tutto il resto messo insieme.

Campidoglio con vista sul Quirinale. E magari anche su Palazzo Chigi. Vuol dire che se il Pd dovesse vincere a Roma, allora avrebbe la potenzialità politica di portare un suo uomo al Quirinale (il favorito è Dario Franceschini) e potrebbe perfino opzionare il dopo Draghi. Ma c’è un elemento che va tenuto presente. Quale Pd? Quello di Enrico Letta oppure quello di Nicola Zingaretti?

La continuità nell’impostazione della Segreteria non c’è. I due hanno, giustamente, visioni differenti. Enrico Letta, specialmente se dovesse essere eletto deputato nel collegio di Siena, avrebbe la forza di provare a mettere in campo la sua Segreteria politica per cercare di cambiare la rotta del Partito. Una rotta che si fonda sul recupero dell’identità e dei valori del Pd.

Nicola Zingaretti e Roberto Gualtieri (Foto: Carlo Lannutti / Imagoeconomica)

Certamente una vittoria del Pd a Milano, Napoli, Torino e Bologna rappresenterebbe una forte spinta. Pur tuttavia ci sono altre considerazioni da fare. Un successo a Roma varrebbe dieci volte di più di tutti gli altri messi insieme e moltiplicati per tre. A Roma è in campo Roberto Gualtieri, fortemente voluto da Claudio Mancini, Bruno Astorre e Goffredo Bettini. Con il placet di Nicola Zingaretti e con l’impegno sul campo di Albino Ruberti.

A Roma è in campo il modello Piazza Grande. Non solo. A Roma c’è un paradosso enorme: Virginia Raggi va per conto proprio e attacca il Pd, ma Roberta Lombardi ha preso le distanze. A conferma che la parte attualmente maggioritaria dei pentastellati vuole l’intesa con i Democrat. (Leggi qui Lombardi affonda Raggi: “Roma l’ha governata lei”).

E questo è un altro tema ancora. Nel senso che ci sono Comuni dove Pd e Cinque Stelle si presentano unitariamente e altri dove potrebbero trovare una convergenza al ballottaggio. In questi Comuni Enrico Letta ha dato la sua “benedizione”. Ma l’operazione Pd-Cinque Stelle è stata pensata, attuata e voluta da Nicola Zingaretti.

Il pallino in mano al Pd

Nicola Zingaretti, Dario Franceschini, Enrico Letta

I Democrat, nel caso di vittoria a Roma, avranno in mano il pallino anche per la partita del Quirinale. Bisognerà decidere su chi puntare. Il discorso fatto la settimana scorsa durante l’assemblea di Confindustria sembra dissipare ogni dubbio su Mario Draghi: logica vuole che il premier non sia disponibile per il Quirinale. I nomi di garanzia non mancano. Bisogna allora decidere se fare asse con i Cinque Stelle o con Renzi. L’operazione è delicata ma il Pd ha l’onere e l’onore della prima mossa. Potrebbe esserci l’opzione del Mattarella bis. Poi ci sono esponenti come Dario Franceschini ma anche Pierferdinando Casini.

La volta scorsa l’elezione di Sergio Mattarella al Quirinale determinò la fine del patto del Nazareno tra i Dem di Renzi e gli “azzurri” di Berlusconi. Dando il via ad una nuova stagione politica. Stavolta può verificarsi lo stesso scenario. Ma attenzione: Matteo Renzi (che in Parlamento non ha il 2%) ha un margine di manovra ampio. Potrebbe perfino fare asse con una parte del centrodestra, Forza Italia e Lega.

Nel caso di un 5-0 nei grandi centri (Roma, Milano, Torino, Napoli e Bologna) il Partito Democratico avrebbe la forza per una controffensiva potente. Ma la Capitale avrebbe un effetto moltiplicatore enorme. Quindi tutto si riduce ad una domanda: modello Letta o modello Zingaretti? Oppure una sintesi? Questo è il dilemma.