Conte, Grillo, Di Maio, ma pure Zingaretti e Renzi: tutti appesi al voto su Rousseau

Foto © Benvegnu' Guaitoli, Imagoeconomica

In questa pazza crisi d’estate il fattore tempo è saltato per tutti, non soltanto per il leader della Lega Matteo Salvini. A questo punto saranno comunque gli iscritti pentastellati a dire se il Conte bis può nascere o meno. Perfino Sergio Mattarella dovrà adeguarsi

Il gioco è bello quando dura poco. La vecchia saggezza popolare non sbaglia, neppure se rapportata a questa pazza crisi politica di un’estate italiana. Matteo Salvini, leader della Lega, aveva pensato di poter risolvere tutto con un “blitz”: andare alle urne, stravincere con una maggioranza sovranista (accordo soltanto con Fratelli d’Italia di Giorgia Meloni) e governare l’Italia senza i continui compromessi con i Cinque Stelle. Aveva fatto male i suoi calcoli.

Foto © Imagoeconomica, Paolo Lo Debole

Poi è cambiato tutto, ma adesso il fattore tempo rischia di logorare sia i Cinque Stelle che, soprattutto, il Partito Democratico. Domani i pentastellati votano sulla piattaforma Rousseau, riservata agli iscritti. Impossibile ignorare l’esito del voto considerando la posta in gioco. Altissima per tutti. Per il capo politico Luigi Di Maio, per l’eterno secondo Alessandro Di Battista, per il presidente della Camera Roberto Fico, per l’ideologo Davide Casaleggio.

Per Beppe Grillo in particolar modo: il fondatore ci ha messo la  faccia, spingendo per Giuseppe Conte, accreditandosi sul piano politico perfino con l’Unione Europa, perfino con gli Stati Uniti. Perfino con il Vaticano.

Tutti, ma proprio tutti, non vedono altra opzione che quella del bis del professor Giuseppe Conte. Se Rousseau boccerà l’ipotesi di intesa con il Pd, allora anche la leadership di Beppe Grillo sarebbe fortemente compromessa. Per Conte sarebbe impossibile non rinunciare considerando le tensioni interne.

Nicola Zingaretti e Paolo Gentiloni

Il Pd a quel punto dovrebbe dare il “contrordine compagni”. Uno scenario da incubo per il segretario Nicola Zingaretti ma pure per il senatore Matteo Renzi e per tutti gli altri leader. A quel punto le possibilità sarebbero due. O un ritorno alle origini pentaleghista con un governo a guida Luigi Di Maio sostenuto da Matteo Salvini. Oppure le elezioni anticipate. Dovrebbe decidere il Capo dello Stato Sergio Mattarella, che magari proverebbe a far guidare la fase di passaggio da un esecutivo tecnico.

In ogni caso si è perso troppo tempo perché i Cinque Stelle sono frantumati al loro interno. Nonostante gli appelli di Beppe Grillo. L’ala che fa riferimento a Luigi Di Maio, Alessandro Di Battista, Davide Casaleggio, non vuole cedere il potere: uno vale uno è buono se io ho tutto il resto. Useranno il voto su Rousseau per tentare di sabotare l’accordo Pd – M5S che invece piace al fondatore Beppe Grillo con l’ala di Roberto Fico e Roberta Lombardi.

La campagna elettorale è già partita. Con il senatore Gianluigi Paragone che sta bombardando il web con messaggi per il No, lasciando intendere che in caso contrario lui e l’ala più filo leghista sarebbe pronta ad andare via e salire sul Carroccio. E con il consigliere regionale Davide Barillari che con toni meno drammatici ma altrettanto netti ha detto No in tutti i modi all’intesa eche anche quella con la Lega non è che sia stata una buona scelta.

Alessandro Di Battista e Luigi Di Maio Foto: © Imagoeconomica, Benvegnu’ Guaitoli

C’è un’aria del tutto diversa tra i Gruppi. Si sono riuniti giovedì. E più di un parlamentare a 5 Stelle ha ricordato che il movimento era e resta al di fuori degli schemi destra – sinistra «perché è post ideologico». E proprio perché va oltre le ideologie, non ne ha una, può indifferentemente allearsi con la Lega o con il Pd oppure con chiunque altro intenda condividere un tratto del percorso di riforma del Paese.

In molti hanno criticato Luigi Di Maio ed il suo attaccamento ostinato alla poltrona. Altri invece lo hanno criticato per gli ostacoli che sta opponendo. Critiche sono arrivate per le scelte opache dei collaboratori. L’intervento più efficace è stato quello Federico D’Incà questore della Camera dei Deputati. Ha ricordato l’esempio della scatoletta di tonno che il Movimento voleva aprire: «La scatoletta che volevamo aprire è quella in cui ora siamo dentro, noi siamo il tonno, varietà pinna gialla. Matteo Salvini aveva preparato la mattanza, era pronto a ucciderci. Poi un tonno più grande, che si chiama Matteo Renzi ed è un pinna rossa, ha aperto un buco nella rete, indicandoci la strada per fuggire. E allora perché dovremmo rinunciare a salvarci?». Più chiaro di così è impossibile.

Se il voto su Rousseau farà scattare il semaforo verde, a quel punto la partita starebbe nelle mani di Conte. Chiamato a decidere davvero se andare avanti sul Governo giallorosso.

Nonostante Luigi Di Maio.