Ecco perché a questo punto Nicola Zingaretti non si fida

La decisione di restare presidente della Regione Lazio dettata dal fatto che il segretario del Pd ha dubbi sulla linea di Luigi Di Maio ma pure sulle future mosse di Matteo Renzi. L’apertura al Conte bis non è bastata e adesso davvero potrebbe succedere di tutto.

Se Nicola Zingaretti ha deciso che in ogni caso resterà presidente della Regione Lazio, non entrando quindi nell’eventuale Governo giallorosso, lo fa perché non si fida.

Nicola Zingaretti e Andrea Orlando

In questa fase continua a non fidarsi del Movimento Cinque Stelle, con Luigi Di Maio che non soltanto alza continuamente la posta in palio (per farsi dire no?), ma che dà la sensazione netta di giocare una sua partita. Diversa da quella di Beppe Grillo che già ieri pomeriggio ha dettato la linea: lunedì pomeriggio, nel corso della riunione dello stato maggiore a 5 Stelle tenuta in casa di Pietro Dettori (uno dei soci di Rousseau) il fondatore del MoVimento era in collegamento telefonico con il tavolo al quale erano riuniti Davide Casaleggio, Luigi Di Maio, i capogruppo Stefano Patuanelli (Senato) e Francesco D’Uva (Camera) il presidente dell’Antimafia Nicola Morra (area Fico) quello che ha denunciato in Aula i segnali in codice lanciati da Salvini quando baciava il rosario in terra di Ndrangheta. Grillo ha detto con chiarezza di non perdere altro tempo e di raggiungere l’accordo con il Pd. Solo a quel punto, obtorto collo, Di Maio ha fissato l’appuntamento con Zingaretti a Palazzo Chigi.

Con molta riluttanza perché Luigi Di Maio ha ben chiaro che è la sua fine politica. E che nel nuovo disegno del MoVimento 5 Stelle delineato da Beppe Grillo sarà Giuseppe Conte l’uomo incaricato di guidare il partito dandogli spessore e credibilità internazionale.

Luigi Di Maio

Per questo la partita di Luigi Di Maio è diversa onda quella di Giuseppe Conte. Soprattutto, però, diversa da quella variegata della base del Movimento. Se c’è un momento in cui bisognerebbe far votare gli iscritti alla piattaforma Rousseau, è questo. Per capire e per sapere l’orientamento maggioritario di un popolo, quello pentastellato, abbastanza smarrito. Nel corso dello stesso vertice da Dettori, Davide Casaleggio ottiene che l’accordo passi attraverso il voto sulla piattaforma Rousseau: altro elemento di sospetto per Zingaretti. Perché Rousseau è una piattaforma che non fornisce abbastanza garanzie, nessuno sa bene chi la manovri, soprattutto Casaleggio potrebbe avere interesse a far bocciare l’accordo che collocherebbe al vertice del MoVimento persone di spessore e quindi capaci di mettere in secondo piano il computer.

Poi Nicola Zingaretti non si fida della tenuta di un Governo che, diciamolo francamente, quanto potrebbe durare? Le impostazioni di politica economica, di politica estera, perfino di gestione dell’immigrazione sono diverse. Quasi agli antipodi. Inoltre il segretario non si fida di Matteo Renzi, perché l’ex rottamatore non ha affatto rinunciato all’idea di fondare un suo Partito. Potrebbe perfino far nascere l’esecutivo e poi tra qualche mese farlo cadere. Il Pd si troverebbe ad dover affrontare una scissione stando al Governo e assumendo decisioni impopolari sulla manovra e su molto altro.

NICOLA ZINGARETTI Foto: © Imagoeconomica, Stefano Carofei

Il paradosso è che Zingaretti era quello che più di tutti diceva che non c’erano alternative al voto anticipato. E’ tornato sui suoi passi perché ha ricevuto diverse pressioni politiche: dall’interno del partito, dall’Unione Europea, dal Quirinale. Lo hanno chiamato figure eminenti come Romano Prodi e Walter Veltroni. Anche Enrico Letta gli ha chiesti di rivedere la sua visione. Segnali chiari nella stessa direzione erano arrivati già sabato dalla Cgil per voce di Maurizio Landini e dalla Cisl con Anna Maria Furlan. Per non parlare della Chiesa: Papa Francesco nei mesi scorsi è stato in trincea contro un governo sovranista accusato di seminare odio e così anche la Conferenza Episcopale Italiana si è premurata di far arrivare un messaggio a Nicola Zingaretti, assicurandolo che la Santa Sede lo ‘incoraggiava’ . Il mondo della Cultura in coro ha fatto capire di volere un governo per il Paese. Al punto che ieri sera il Governatore del Lazio ha dovuto ammettere «Mezza Italia mi ha chiesto di fare questo governo con Conte premier. Ho ascoltato tutti e ho capito che dovevo arrendermi».

Tutte sollecitazioni con un minimo comun denominatore: evitare le urne perché il Paese ha bisogno di cambiare passo adesso. Per questo sta trattando ad oltranza il segretario Zingaretti, che oggi pomeriggio riunirà la direzione. Ma il fatto che resterà Governatore è un segnale chiaro: non si fida. Di nessuno. E fa bene.