Il dolore di Flora, un velo sull’anima della mamma di Esperia

Tre colpi e poi le tenebre ad Esperia. Per due figli che ti hanno portato via. Per il compagno di una vita che ha deciso di andarsene e portare via tutto. Per chi è rimasto. Per molti, poco alla volta, la vita riprenderà. Per mamma Flora un velo eterno sull'anima.

Un dolore che non può essere raccontato quello che avvolge Esperia. Un paese di 4000 anime che non riesce a rassegnarsi a quanto accaduto dietro quel portoncino marrone di corso Vittorio martedì mattina.

Questa mattina, i funerali di Giovanni, Mariano e Isabella Paliotta. Il padre ‘carnefice‘ e i suoi figli uccisi a bruciapelo nel letto a castello.

Lui in una bara scura e loro in bare bianche.

È rimasta solo lei, Flora: la madre delle vittime, la moglie dell”assassino’. Come può una donna riprendersi? Come può una comunità superare tutto questo?

 

Il tempo lenisce tutto, tra qualche settimana se ne parlerà ancora un po’, poi sempre meno, finchè un giorno quella dei Paliotta resterà la storia assurda di un padre che ha ucciso i figli per poi suicidarsi una mattina di fine agosto.

Non è stata la morte in sé dei ragazzi o il suicidio del padre: è stato l’insieme degli avvenimenti ad aver creato una voragine. Un orrore così grande, un padre che toglie la vita ai suoi figli, che decide di uccidersi e di lasciare sola la sua donna. E lei, la madre, che rientrando a casa pensa che il silenzio sia quello di un profondo sonno e non quello della morte.

Un vita passata ad “essere famiglia” per poi accorgersi che c’era qualcosa che non andava, che tutti i sacrifici e l’amore vissuto tra quelle quattro mura di pietra sono finite in pochi secondi, con tre colpi secchi.

 

La gente presente oggi ai funerali, migliaia di persone, si è ritrovata per condividere quel dolore, ma anche perchè ormai il germe della morbosità supera quello dell’umanità. Come se vedere quella donna avvolta in abiti neri che gridava straziata i nomi dei figli potesse confermare la giustezza della loro presenza in piazza Consalvo.

Tante se ne sono dette, tante se ne diranno. Quando si muore si diventa santi, le persone più buone del mondo. E si scopre di avere tanti amici, molti di più di quanti ne possa contenere una vita.

 

Cosa resta di martedì ventuno agosto? Un futuro rubato, dei sogni infranti, degli errori che non saranno mai commessi, delle lezioni che non saranno mai imparate, sorrisi e risate inespresse, amori mai vissuti. E un vuoto, quello che Flora inconsapevole ha cercato di riempire con le sue urla, con il suo desiderio di vedere i suoi figli svegliarsi, come da un bruttissimo incubo. La voglia di poterli baciare ancora, di poterli rimproverare e di fare con loro le cose più banali.

Ma anche il vuoto lasciato da quell’uomo, un compagno di vita da trent’anni che ha deciso di portare via con se tutto senza possibilità di recupero.

La parola fine, una sentenza di morte per chi è morto sotto i suoi colpi, ma anche, soprattutto, per chi è rimasto.

 

Il silenzio del paese si riempirà di nuovo, le pagine di cronaca offriranno altri casi di cui parlare, amici e parenti andranno avanti, perchè la vita è bella ma è anche un po’ stronza e ti costringe a continuare a camminare.

Il tempo resterà immobile per lei, Flora, che continuerà a chiamare i nomi dei figli, a gridare il suo dolore, non al mondo, ma al suo cuore.

Un velo sull’anima, lo sguardo offuscato di chi dalla luce è passata al buio più scuro. Tre colpi, poi le tenebre.