Fuochi in cielo e ambiguità in terra: un anno con Giorgia tra palco e realtà

Il primo "compleanno" del governo di destra e di una leader in bilico tra sovranismo ed europeismo. E tra essere ed apparire

Piero Cima-Sognai

Ne elegantia abutere

L’Anno Primo dell’Era Meloni pareva brutto perché fa tanto richiamo scorretto, ma il clima è quello. Per domenica è stata messa in piedi in pompa magna la kermesse che celebrerà i primi 12 mesi dell’avvento della leader di Fratelli d’Italia a Palazzo Chigi. Di quello e dell’ingresso di Fratelli d’Italia nei posti dove si decide e non più dove ci si incazza per le decisioni degli altri.

Al netto dell’agiografia quella di Meloni e del suo Partito si è rivelata una posizione di certo gloriosa e da glorificare, ma scomoda. Prima bastava dire no a tutto quello che facevano gli avversari e ci si teneva gagliardi e netti nella purezza di posizioni manichee. Non lasciavano adito a dubbi, quelle comode caselle, non innescavano ambiguità e non pretendevano sconfessioni di ciò che eri stato fino al 24 settembre del 2022.

Poi era arrivato il Fardello del Potere. E, dopo i cotillon d’ordinanza si era disegnato il più grande ossimoro della destra moderna dai tempi di Fiuggi.

Sovranisti dentro ed europeisti fuori

Giorgia Meloni (Foto: Carlo Lannutti © Imagoeconomica)

Come si fa ad essere sovranisti dentro ma addestrandosi per gradi e già in corsa a fare gli europeisti fuori? E quanto è difficile capovolgere i termini in corso d’opera, mostrandosi sovranisti fuori ma senza rinunciare a lanciare messaggi che sì, state calmi amici ché siamo europeisti dentro?

Ecco, questo è capitato a Giorgia Meloni negli ultimi 12 mesi e questo dovrà essere equalizzato in un momento celebrativo che, proprio perché unico e concentrato, sarà maledettamente difficile da gestire.

Nel tempo Giorgia Meloni si è dovuta affidare alle sue ormai ex young guns per mettere a regime questa doppia narrazione. Ed ha fatto alchimie mirabili per evidenziare che (anche) la sua classe dirigente sa andare a meta.

Ciociaria, la “ciambella col buco”

Gli onorevoli Ruspandini, Pulciani e Mattia

A volte ci è riuscita, a volte meno. La provincia di Frosinone è una cartina di tornasole di quello che è in molti casi oggi il Partito sui territori. Dove c’è un nucleo storico (in Ciociaria quello del deputato Massimo Ruspandini) che ha seguito la sua metamorfosi gentile ma sempre con un occhio all’identità di un Partito che se rinuncia alle sue radici va in tilt secco. E al tempo stesso c’è un nucleo mezzeno (in Ciociaria quello del deputato Paolo Pulciani): che fa da sintesi tra le posizioni meno radicali, rappresentante dalla linfa nuova portata dagli ex forzisti come Antonello Iannarilli o gli ex Udeur come Gabriele Picano).

C’è poi il nucleo estraneo alla storia di Partito e che rappresenta la società civile prestata alla politica (in Ciociaria è il caso dell’ex direttore regionale Coldiretti Aldo Mattia). Ed in questo equilibrio trano il loro spazio figure come quella dell’assessore comunale di Frosinone Fabio Tagliaferri, delegato alla pacificazione lì dove inevitabili si accendono le scintille. Lui sta riunificando il Gruppo di Alatri riportandolo in maggioranza. Sempre lui sta lavorando per una candidatura unitaria alle Comunali di Cassino.

Altre volte questo lavoro di sintesi è uscito meno equilibrato di quanto si veda in Ciociaria. Giorgia Meloni in diversi casi si è messa a tremare ogni volta che qualcuno dei suoi apriva bocca. Succede, quando i quadri sono “primaroli” e mettono lo sturm und drang prima dei tutorial su Andreotti e Forlani.

“L’Italia vincente, un anno di risultati”

Mattarella, La Russa, Meloni

L’evento si celebrerà all’Auditorium della Conciliazione e, come spiega Il Foglio, sarà corredato dal libello d’ordinanza. Quello dell’opuscolo su “cosa abbiamo fatto”. È un vecchio ed inossidabile vezzo della politica italiana. Serve a convincere se stessi prima ancora degli altri che sì, si sta sul pezzo, si è capito tutto. E nel caso di specie serve a ricordare agli elettori di Fratelli d’Italia che tra pochi mesi si voterà per le Europee e birba chi molla.

E il titolo? “L’Italia vincente, un anno di risultati”. Eccolo, il punto nevrile in cui agiografia legittima e contraddizioni palesi vanno a testa d’ariete l’una contro le altre. E’ un fenomeno comune, quello per cui Partiti e leader politici vivono alla Ligabue, tra palco e realtà per intenderci. Ma nel caso di Giorgia Meloni e Fratelli d’Italia il coefficiente di discrepanza è gigante.

Chiariamolo subito: le contraddizioni tra ciò che costoro dicono di aver fatto e quello che non hanno fatto sono roba di tutti e da contingentare. Salendo a Palazzo Chigi credendo di ascendervi Meloni ha trovato grane a raffica, ma il problema è un altro. Il problema è che pochi come Giorgia Meloni si sono ritrovati con posizioni di partenza più scomode. Questo perché pochi come lei partivano da una narrazione così gagliarda di stroncature, proclami, bastioni, argini e inflessibilità. Erano specialisti da opposizione che si sono trovati ad essere generalisti da maggioranza, e mutare pelle è stato tragico e non immune da scivoloni.

Successi e sabotaggi: come conciliarli

(Foto Carlo Lannutti / Imagoeconomica)

La contraddizione non passa per i singoli step dove Meloni è stata costretta a rimangiarsi moltissimi dei punti che aveva messo in punta di lancia in campagna elettorale. No, quella è fuffa di tutti quelli che comandano: qualcosa te le devi rimangiare e la base muta. Ne esiste una più grande, la contraddizione massima esacerbata anche dal ritorno della premier dall’Onu dove ha messo alla berlina un’Europa gigiona e sorniona sul tema migranti.

E’ quella di un evento che dovrebbe celebrare i successi di un Partito e di una leader che però gridano al sabotaggio ad ogni fiata. Come si fa a dire che hai fatto cose se nello stesso varco temporale urli che le cose non te le fa fare l’Ue infida e le “sinistre” sinistre? In parole più povere: come si conciliano la propaganda di un singolo momento forte (e legittimo) con le certificazione che c’è poco da propagandare, anche se non per colpa tua?

Il tutto in un contenitore gigante che poi era già di per sé una contraddizione: quello che da sempre tiene Meloni e i suoi sul doppio binario di una narrazione sovranista per non perdere la base ed una europeista per agganciare nuovi bacini. Quelli e le occasioni danarecce del Pnrr senza il quale paradossalmente anche essere sovranisti in casa sarà molto difficile.

Campare di slogan, ma poi devi “quagliare”

Giovanni Donzelli (Foto: Alessia Mastropietro © Imagoeconomica)

Perché se campi di slogan e di fiera propensione a tramutarli in fatti poi ti serve la ”birra” per fare la magia, sennò poi ti restano solo i basisti di Colle Oppio a darti credito e la parabola inizia a curvare.

La presentazione della kermesse è stata fatta “a Palazzo Madama dai capigruppo di Camera, Tommaso Foti, e Senato, Lucio Malan, con la regia di Giovanni Donzelli, coordinatore del partito”. Il claim è quella di un orgoglioso “anti-gufismo”.

Di “una parata di leggi e provvedimenti contro i gufi della sinistra (“abbiamo avuto 365 mila posti di lavoro in più”)”. Non mancano i riferimenti alla lotta-struscio con un mercato che questo governo avrebbe saputo addomesticare ed è tornata a fare capoverso la parola “spread”.

I fotogrammi delle contraddizioni

Poi però tutto si confonde e partono fotogrammi sciolti, virati di seppia e a velocità avanzata, come le comiche di Buster Keaton. Ed appaiono Giorgia Meloni che “Ursula amica mia” e assieme Giogia Meloni che spiega Dio ad Orban. Poi Fratelli d’Italia integerrimo e Daniela Santanché che fa fallire cose. E ancora un partito monolitico e Fabio Rampelli che addestra i suoi Gabbiani alla conta e li vorrebbe falchetti.

Daniela Santanché (Foto: Giulia Palmigiani © Imagoeconomica)

E con essi l’immagine di un Partito che ha una “capa” vera ma non più verace. Che a casa sua indossa la capacità di essere europea e in Europa mette su l’orgoglio di essere italiana. E che nella continua ricerca di stampelle per il suo armadio allargato si appresta a celebrare quello che non ha saputo fare. Suo malgrado magari ma è così.

Come se lo avesse fatto. Il che la rende matura nel presente, ma vulnerabile per il futuro che vorrebbe ipotecare. Perché l’Italia dei mille paesi insegna: dopo ogni sparo pirotecnico poi c’è da passare la ramazza dove prima c’erano le bancarelle, ma questo solo il mattino dopo e in hangover. Per adesso tacabanda: piaccia o meno Meloni si merita anche di superare le sue contraddizioni. O di dimenticarle per un giorno. A casa sua.