Gas, le follie della politica mentre le fabbriche chiudono

Il sistema industriale del Lazio Sud sempre più in difficoltà per i costi dell'energia. Stop al Pastificio Paone. A rischio un'impresa su dieci ma potrebbero raddoppiare. Le richieste del sindacato. L'analisi di Unindustria. «Quella in corso è parte di una guerra. Putin in Ucraina bombarda le fabbriche, qui le ferma». Le colpe della politica

Qualcosa non quadra. Sulle colonne del quotidiano Ciociaria Oggi il Segretario Generale Cisl del Lazio Enrico Coppotelli descrive la linea del fronte. Quella tracciata dalla combinazione tra caro-energia ed aumento del costo delle materie prime. È la “tempesta perfetta” che lui stesso aveva profetizzato nei mesi scorsi.

Da Paone a Saxa all’Automotive

L’ultimo in ordine di tempo a fermare gli impianti è il Pastificio Paone di Formia. Lo aveva già fatto in primavera, poco dopo lo scoppio delle guerra in Ucraina. Ora annuncia un nuovo stop: 6 settimane a partire dal 5 settembre a causa dei costi dell’energia.

La Saxa Gres di Anagni ha dovuto interrompere la produzione a fine luglio pur essendo strapiena di ordini; il presidente Francesco Borgomeo ha reso pubblici i numeri: nel primo semestre del 2021 la sua bolletta è stata da 6 milioni di euro, nel primo semestre di quest’anno di 22 milioni.

In difficoltà il settore delle cartiere: da Arpino a Guarcino, da Isola del Liri ad Aquino.

Che il settore Automotive sia a rischio sta nei fatti: il Ceo Carlos Tavares aveva puntato da subito il dito sui costi energetici appena finito il tour nello stabilimento Stellantis Cassino Plant un anno e mezzo fa.

La componentistica è già nel pieno dello tsunami. Parlano le loro bollette. Agc Automotive a Roccasecca realizza i vetri per le auto, un anno fa aveva detto all’allora presidente del consorzio industriale Cosilam Marco Delle Cese d’essere pronta a raddoppiare la produzione a condizione che gli garantissero le forniture di gas per alimentare i forni. Da allora la loro bolletta dell’energia elettrica è passata da 560mila euro ad 1,1 milioni di euro. Alla Prima Ferentino dove si produce componentistica in plastica la bolletta passa da da 80mila a 120mila euro.

Sono sull’orlo del precipizio decine di stabilimenti, centinaia di attività

La tempesta perfetta di Coppotelli

Enrico Coppotelli (Foto: Alessia Mastropietro © Imagoeconomica)

Enrico Coppotelli stima che al momento nel Lazio siano a rischio 10mila. Al momento: perché se Mosca chiuderà in maniera definitiva il gasdotto North Stream 1 le imprese al collasso sarano presto 1 su 5.

«Le spese aumentano, il volume di affari crolla e non si possono caricare le perdite sulle famiglie altrimenti viene meno il fattore fideilizzazione. La preoccupazione è enorme per le pesanti ripercussioni sui settori più energivori: chimico-farmaceutico, gomme e plastiche, telecomunicazioni, carta, ceramica, metalmeccanico, estrattivo, digitale, alberghiero, agroalimentare. Non c’è alternativa: subito un tetto al prezzo del gas e dell’elettricità, nuovi e rapidi interventi del governo per sostenere lavoratori e pensionati, famiglie e imprese. Ma bisogna sbrigarsi: siamo già fuori tempo massimo».

Il vero rischio per gli industriali

Il presidente di Unindustria Cassino Francesco Borgomeo è realistico. «Il nostro rischio è che tra poche settimane si passi dall’inflazione alla recessione. In pratica oggi i prezzi stanno aumentando a causa dei costi più alti per produrre i beni; ma tra poco i prezzi saranno talmente alti che la gente non comprerà. E le fabbriche smetteranno di produrre. Siamo ad un passo dal caos».

Non abbiamo capito la dimensione del problema. Perché fino ad oggi, in qualche modo, le bollette delle case sono state ‘calmierate‘. Ma la realtà è un’altra: «Quella in corso è parte di una guerra. Putin in Ucraina bombarda le fabbriche, qui le ferma. Questa è una guerra che su un fronte viene combattuta con le bombe ed i colpi di mortaio, su un altro viene combattuta a colpi di sanzioni da una parte e dall’altra. In questo contesto è evidente che Putin ha fatto cadere Mario Draghi e sta influenzando la campagna elettorale».

Il gas ed il collasso del sistema industriale è diventato tema della campagna elettorale. Ma ognuno ha una ricetta diversa. Anche all’interno dello stesso schieramento. Gli industriali ne hanno una unica. «Nell’immediato occorre fissare un tetto al prezzo del gas: ciò che pagherà il Governo sarà meno di ciò che pagherebbe come ricaduta sociale in caso di un lockdown energetico». In pratica: lo Stato spenderebbe di più tra cassa integrazione e sussidi per i lavoratori rimasti senza stipendio, stima Unindustria.

Ma c’è anche un’altra mina in arrivo. Sono le bollette ancora in via di emissione. Quelle di agosto saranno stellari. «Bisogna imporre senza deroghe la rateizzazione in 24 mesi delle bollette del secondo semestre di quest’anno. Altrimenti sarà scacco matto».

Le colpe della politica

La corsa a risolvere il problema annunciata da tutti i front runner di questa campagna elettorale sembra come la ‘marcia sul posto che si faceva durante il servizio militare: i soldati marciavano, cadenzavano il passo, sbattevano l’anfibio quando il caporalmaggiore chiamava “Passooo!” Ma tutto rigorosamente senza spostarsi di un millimetro: come un motore fatto rombare con la marcia in folle.

Perchè il problema non è di oggi. E non è piovuto dal cielo. Un anno fa esatto: 4 settembre 2021, sul sito istituzionale di Unindustria sempre il presidente della territoriale di Cassino lancia una provocazione. Chiede alla politica di esprimersi sull’ipotesi di realizzare un termovalorizzatore per garantire la fornitura di energia a tutti i principali poli industriali del Paese. A partire dalle aree Stellantis. La risposta? Tutti a fischiettare guardando in alto. (Leggi qui la dichiarazione di un anno fa).

Foto © Marco Cremonesi / Imagoeconomica

Si arriva a paradossi al limite del credibile. La provincia di Frosinone manda a Padova i suoi avanzi di cucina: lì si fanno pagare per prenderli, ci realizzano ottimo gas e se lo tengono per il loro sistema industriale. Qui le fabbriche chiudono. I progetti per fare nel sud Lazio quel lavoro, con la stessa qualità e stessa assenza di cattivi odori (il gas è il business quindi non viene lasciato fuggire in aria) qui impiegano sei anni per ottenere le autorizzazioni. E nemmeno definitive.

Non è il paradosso più assurdo. Basti pensare che ci sono stati leader politici che nei comizi tenuti al Nord hanno urlato che il Sud deve farsi gli impianti. Ed una volta arrivati a Frosinone hanno detto che gli impianti non si devono fare.

Forse hanno ragione gli industriali: ancora non ci rendiamo conto.