Come eravamo / Timidi e imbranati: i ragazzi dei Lepini alla spiaggia del Circeo

Torna il periodo del mare e delle spiagge. I teneri ricordi dei ragazzini ingenui alle loro prime uscite al Circeo.

Lidano Grassucci

Direttore Responsabile di Fatto a Latina

La macchina era di quella alla moda, una moda di un’altra moda: Renault 4 motore 1.100, pure vernice metallizzata. Insomma un poco di figo per la macchina dei contadini di Francia. Ma in fondo ci si addiceva, eravamo sporchi di zolfo, come se dagli inferi andassimo in paradiso, ma da abusivi.

Eravamo tre, ora ci saremmo detto in fondo dei ragazzi belli (i ricordi fanno all’estetica quello che fanno i chirurghi plastici, migliorano). Eravamo tre, pure alti da uno e 80 in su, magri non per virtù ma per bisogno e ragazzi.

Sotto il promontorio del Circeo ci vanno i figli, quelli che non nascono antipatici, ci sono di natura. Quelli che la fortuna gli gira costante come gli alisei all’Atlantico.

Scendiamo in spiaggia, solo asciugamani che l’ombrellone fa cagionevole, mettiamo in mostra fisici probabili, chiacchiere costanti e la leggerezza dei 20 anni. Io e altri due uno lungo, uno prudente e robusto, diciamo un giocatore di pallacanestro e un calciatore (celo i nomi per ovvie ragioni di privacy, ma, visto che uno si chiama  Lidano è quasi confessione di disperazione).

A dire il vero le ragazze non erano certo “antipatiche” quanto i maschi di cui sopra, anzi… Abbronzate, filiformi, pudicamente sfrontate e felici di non pensare a niente, i costumi erano quasi niente e quasi tutte seni sodi al vento.

Non dico che era paradiso, ma certo ci si avvicinava molto per noi di passo montano, di controriforma e lutti mai persi tutti. Godiamo del mare ma guardiamo la bellezza delle creature e ci distraiamo dal creato.

Loro, le ragazze, naturalmente non ci filano e guardano altro, seppur noi eravamo di certo non  esistenti, per quanto allampanati.

Memori del mare con mamma e papa ci facciamo un bagno di libertà, gli occhi ricreavano, le passioni si accendevano per stupore e sparivano per ovvia presa di coscienza di essere fuori categoria, giocatori non in fuorigioco, ma giocanti un altro sport.

O meglio, credevamo.

Il nostro ingresso in mare non passò inosservato, era evidente fin dal primo tocco dell’acqua che frequentavamo poco l’acqua che muove. Qualche volta la doccia. Di sicuro eravamo ospiti e non padroni di casa.

Il Circeo ci faceva da testimone e non escludo che anche lui fu attratto dal fatto.

L’incontro tra il più robusto e bello di noi e il mare fu spettacolare: prima il dito grande del piede grosso, poi l’impatto con l’acqua e il conseguente ritiro sul bagnasciuga del bagnante renitente, con un salto modello gioco della campana ma all’indietro. Scatto repentino e poi di nuovo avanti con le 5 dita tutte nell’acqua, da lì il piede e… sto fino alla caviglia.

Il momento era tragico, la spiaggia ristette in tutti i presenti che assistevano a quel che pareva un miracolo, un uomo che cammina sulle acque, perché  più di li non andava. Pensò di bagnarsi i polpacci, poi avanzare un poco, il piede era in acqua fino al tallone, si chinò e con mano concava raccolse acqua che portò alla pancia (mamma aveva detto di evitare freddo allo stomaco, con raccomandazione coerente di maglietta di lana. Certo era difficile farle capire che al mare con la maglia di lana…)

Ora l’acqua raggiunse la sua massima altezza, ad un terzo della distanza alla metà della seconda spiaggetta. Non capivamo di certo le risa dalla spiaggia, ma certo io e l’altro fummo meno rococò nel prendere l’acqua.

Sta di fatto che qualcuna prese la cosa per nostro eccesso di umorismo, perché se fosse stato vero sarebbe stato incredibile, e si avvicinarono tre ragazze.

Ora a dirci belle faremo offesa, erano uno schianto: filiformi, magre con seni dritti, capelli lunghi lunghi che usavano per “scoprirsi” e lo slip del costume con l’acqua spariva come la luce nell’eclissi di luna. Basiti, le vedevamo avvicinare.

Guarda! Guarda!!”, dice il più alto del gruppo e quello sveglio.

Io: “che guardo, già sto guardando

Vengono da noi

Ma che dici, passeranno. Ti pare che vengono da noi

Ti dico che se continuano così ci sbattono contro”.

Cretino, è che non guardano dove nuotano

Il terzo prudente: “no, no guarda che vengono da noi

Sta di fatto che diventammo zattera con tre naufraghi a bordo e tre squali con la pinna sul dorso che ci giravano intorno.

Bastava agire, ma ci voleva ardire.

“Digli qualcosa”, fa l’alto.

Io: “Ma chi io?

E chi, tu chiacchieri di più” da il prudente

“Ma che gli dico, ma mica stanno qua per noi”.

No, il mare è infinito e nuotano proprio qui da noi”.

Ogni tanto, loro, le ragazze, si fermavano e giocavano con i capelli. Per chiarire bene le cose si buttavano a dorso e davano bracciate severe e i seni diventavano come i fianchi del Circeo, e il dorso si faceva mare.

Dai Lì”, invocavano i due che a dirgli “abbaciliti” è grazia, e io rispondo da “n’tontito”: “ma da dove si comincia?

La storia durò tanto, ma tanto, loro ogni tanto si “radunavano” e ridevano, ridevano e solo poi lanciavano occhiate che erano, per noi, tanto diverse da quelle delle madri.

Dio che situazione, ma mica c’eravamo preparati a tanto: sudavamo in acqua.

Loro cominciarono a schizzarci, e ridendo “a scusate”.

Io abbozzo: “ma di che

Faccio peggio mi sa. Le mani si fanno di rughe per il troppo stare in acqua.

Loro, le ragazze sono richiamate dalla spiaggia. Si girano e ci mandano un baci ridendo e ridendo della nostra ingenuità.

Rientrammo sconfitti nonostante la resa palese, con quasi consegna dei prigionieri che rifiutammo. L’ultima ragazza ci guarda ed ha pietà di noi… “però avete esagerato”.

Insomma almeno tra gli “intontiti” eravamo i migliori.

*

PS: ogni riferimento a persone effettivamente esistiti è vero, vera la storia, vero l’epilogo. E i protagonisti sanno chi sono, io reo confesso