Grillo chiama Renzi, ma Zingaretti non risponde. La scelta difficile del segretario

Foto: © Imagoeconomia, V.P. Gerace

Una maggioranza Pd-Cinque Stelle c’è in parlamento, ma la vera partita è politica. E’ più importante fermare Matteo Salvini (intestandosi una manovra da lacrime e sangue che rappresenta il fallimento di altri) oppure giocarsi la partita e provare a vincere mettendo in conto qualche autorevole scissione?

Sulla carta i numeri per un Governo che tenga la Lega fuori…dal Governo per almeno un anno (o tre) ci  sono. L’ipotesi è quella di una maggioranza parlamentare che punta a un accordo tra Cinque stelle, Pd, LeU e Sinistra, con l’intero centrodestra all’opposizione.

Alla Camera, un governo così conterebbe su una maggioranza di 368 voti: una cinquantina di voti in più rispetto alla soglia di 316 voti per incassare la fiducia. Al Senato 181 voti: una ventina di parlamentari di margine rispetto ai 161 per far decollare il governo.

Scrive Il Giornale:

“In questo caso bisognerà capire il potere di controllo del nuovo segretario del Pd Nicola Zingaretti sui parlamentari: i gruppi sono espressione renziana e potrebbero essere tentati a un’ipotesi di accordo con i Cinque stelle, per non perdere la poltrona. Zingaretti ha però chiesto il voto anticipato, mettendo le mani avanti a ogni ipotesi di inciucio”.

C’è un argomento principe che evidentemente unisce Beppe Grillo a Matteo Renzi in questo momento: ma se le elezioni servissero solo a Matteo Salvini per stravincere, perché tutti gli altri dovrebbero volerle? Politica pura. 

Eppure Nicola Zingaretti continua ripetere (e a far ripetere dai fedelissimi) che “non ci sono alternative alle elezioni anticipate”.

La chiave di De Angelis

La chiave di lettura ce la dà Alessandro De Angelis sull’Huffington Post:

“Deve aver pensato, il segretario del Pd, che ci vuole davvero una faccia di bronzo a brigare affinché nasca un qualche accrocco con i Cinque Stelle, dopo che per mesi gli stessi che oggi, nel Pd, si adoperano ad evitare il voto ululavano “mai con quelli”.

In modo più o meno colorito, minacciando di strappare la tessera nell’eventualità, perché, in fondo, non c’è differenza con la Lega, e “sono due facce dello stesso populismo”.

E deve aver pensato che ci vuole altrettanto scarso senso del pudore a proporre, come ha fatto Grillo, un governo – chiamatelo come volete: di scopo, del presidente, insomma la classica soluzione della Casta italiana – per “fermare i barbari”. Ovvero Salvini. Ovvero quello che, fino all’altro ieri era il padrone di un governo che, con la complicità del Movimento di Grillo, la barbarie l’ha prodotta, giorno dopo giorno, provvedimento dopo provvedimento, l’ultimo meno di una settimana fa, quel decreto sicurezza che consente di violare i più basilari principi umanitari e di accoglienza”.

Aggiunge De Angelis:

“È tutto fin troppo chiaro: Renzi che, al netto delle smentite di circostanza, non dice più “mai con i Cinque Stelle”, perché vuole che la legislatura duri, per avere il tempo di fare un suo Partito.

E, in ogni caso, alza il prezzo interno: il via libera alle elezioni da ricompensare quando si faranno le liste… Perché solo in Italia ogni volta è un dramma ciò che in tutto in mondo è fisiologico quando cadono i governi: il voto.

A costo di tenere attaccato all’ossigeno un Parlamento che non è più specchio del Paese e alimentare un populismo sempre peggiore. Il Palazzo che stoppa Salvini non è un palazzo responsabile, ma la grande chiamata delle ruspe su piazza Montecitorio.

Sono questi i ragionamenti che in parecchi, in queste ore, stanno facendo al segretario del Pd, trovando condivisione sulla necessità di seguire la via maestra del voto”.

Nicola Zingaretti però non è convinto e vede altri rischi.

Il principale: intestarsi una manovra da lacrime e sangue, che prevederà l’aumento dell’Iva, determinato dalle scelte folli di Lega e Cinque Stelle nella politica economica di questi ultimi quindici mesi. Perché il Pd dovrebbe caricarsi sulle spalle il peso di una manovra “figlia” di un Governo che ha fallito clamorosamente?

Torniamo ad Alessandro De Angelis, che scrive infatti:

“Ecco la posta in gioco: Salvini con le mani libere per mesi, che aizza il Paese contro il governo degli abusivi e dei pavidi timorosi “della volontà degli italiani”, e il Pd che si carica sulle spalle il peso dei disastri di un governo che ha fallito. E lo fa assieme ad un Partito che in Parlamento, vale il doppio, rinunciando a intercettarne la sua fuga degli elettori disillusi.

È tecnicamente un suicidio. Per il Pd. E per il neosegretario, la cui stagione rischia di essere azzoppata sul nascere in un gioco di cui non è il kingmaker ma che subisce.

Questa discussione, riflettono al Nazareno, è dannosa perché sposta il problema. La verità è che c’è un governo che ha fallito e, in tutto il mondo, quando i governi falliscono le opposizioni vogliono votare per sostituirli. Invece, per come si sta mettendo, si parla poco di quel che è successo quest’anno e sembra che la scelta delle elezioni sia in capo al nuovo segretario, come se fosse un marziano, in un Partito dove la parola “responsabilità verso il paese” cela in verità l’anelito alla conservazione di una nomenklatura.

Ed è dannosa perché rischia di far apparire il Pd come una squadra di calcio che, per paura di perdere una partita, si mette a parlare della praticabilità del campo, del curriculum dell’arbitro e della temperatura esterna, quando invece c’è solo un modo per “fermare Salvini”: batterlo”.

In realtà nel Pd c’è una lotta di sopravvivenza politica, che come al solito riguarda tutte le correnti. E coinvolge il segretario nazionale. Matteo Renzi non vuole il voto per non perdere il controllo dei gruppi parlamentari e per avere più tempo per un eventuale altro partito. Dario Franceschini non vuole il voto per non correre il rischio di consegnare il Paese alle Destre guidate da Salvini. Carlo Calenda non si capisce bene se il voto lo vuole oppure no, ma è certo che sta pensando ad un suo partito.

I due scenari

Nicola Zingaretti si trova tra  due scenari: sa che l’unità è un valore fondamentale per il Pd adesso e che quindi uno strappo di Renzi sarebbe pesantissimo. Ma sa pure che dire sì ad un Governo di scopo con i Cinque Stelle rischierebbe di affossare la sua segreteria quando poi si andrà alle urne.

Nicola Zingaretti stavolta deve decidere senza mediare troppo, nell’uno o nell’altro caso. In queste ore sta leggendo l’’intervista rilasciata da Alessandra Ghisleri, una che di sondaggi ci capisce parecchio e raramente sbaglia. Al quotidiano Il Messaggero la Ghisleri ha spiegato che “il consenso è mutevole” e che agli italiani erano stati promesse tante cose che non si realizzeranno mai.

Inoltre, aggiungiamo noi, un aumento dell’Iva determinerebbe una devastazione delle famiglie e di tutto il resto, aumentando il carico fiscale di tutti. Senza un Governo di salute pubblica il Pd può puntare l’indice contro chi ha determinato questo scenario: la Lega di Matteo Salvini e il Movimento Cinque Stelle di Luigi Di Maio.

Nonostante tutto, però, la trattativa segreta tra Pd e Cinque Stelle continua. E questo è un fatto indubbiamente pesante sul piano politico.