Grillo, Diba e Virginia: il naufragio a Cinque Stelle

Ammazzamoli“, “servi“, “maledetti“, “bastardi“: questi gli epiteti lanciati da alcuni commercianti ambulanti, raccolti ieri a Montecitorio, contro i giornalisti.

Ad arringare la folla Alessandro Di Battista, l’anima “scapigliata” del Movimento Cinque Stelle, che ha detto: “Hai le telecamere addosso, se sbagli un congiuntivo diventa notizia nazionale. Non ce l’ho con tutti, ci sono ottimi giornalisti, ma anche tanti impegnati a captare e cogliere l’errore, vivisezionare un discorso per delegittimare l’unica forza politica che non si è mai spartita nulla qua dentro. La rabbia che vi muove è la stessa che provo io, quattro anni che subiamo qualsiasi cosa per non esser mai scesi a compromessi”.

Applausi e cori della folla.

Dunque, se sbagliano un congiuntivo la colpa non è dell’ignoranza di chi magari a scuola poteva stare più attento. Ma dei giornalisti che lo fanno notare.

Magari poi ci sono migliaia di giovani laureati, diplomati, bravissimi, che sono a spasso. Ed altri che, senza arte né parte, senza distinguere un congiuntivo da un condizionale, guadagnano benissimo soltanto perché militano in un Partito e di mestiere fanno i parlamentari.

Detto questo, mentre Di Battista si cimentava in un comizio di “distrazione di massa”, Virginia Raggi informava Beppe Grillo di essere indagata per abuso e falso. La sindaca di Roma nel giugno scorso aveva promesso un Campidoglio di vetro e una Capitale a Cinque Stelle davvero. Capace di di far impallidire Londra, Parigi, Madrid, Mosca e Pechino.

Non aveva fatto i conti con la congiura dei frigoriferi e con altri elettrodomestici “malandrini”.

In realtà, il fatto che Virginia Raggi sia indagata non c’entra nulla. Noi siamo dei garantisti veri. E, al di là delle frasi fatte sui tre gradi di giudizio e sulla presunzione di innocenza, sappiamo distinguere tra ipotesi di reato e ipotesi di reato.

Il fallimento della Raggi è politico, perché i Cinque Stelle non hanno classe dirigente e per anni sono saliti sui palchi per urlare i “vaffa”, per chiedere l’abolizione della libera stampa, per spandere a piene mani una cultura giacobina populista e strillata.

Beppe Grillo è stato l’alfiere del giustizialismo integrale e radicale, salvo poi cambiare il codice etico del Movimento quando ha capito che a Roma la Raggi sarebbe stata indagata.

I Cinque Stelle volano nei sondaggi perché Pd e Forza Italia sono talmente “vecchi” che la gente non li sopporta più. Ma i Cinque Stelle possono davvero governare l’Italia? Con quale classe dirigente? Con quale programma? Beppe Grillo, dopo aver lodato Trump e Putin, ha fatto una marcia indietro strategica.

Poi però ha detto che chi non condivide la strategia del Movimento può andarsene (tanto verrà cacciato da 14 voti sul web).

Chiara Appendino, sindaco di Torino, è l’eccezione. La regola è quella di Virginia Raggi a Roma, abbandonata dal Movimento, a cominciare da Alessandro Di Battista e Luigi Di Maio. A proposito perché non si sono candidati loro per la Capitale? Paura di vincere e di governare?

La regola è quella di Parma, dove il sindaco Federico Pizzarotti è tra i più amati d’Italia. Cacciato dai Cinque Stelle, è diventato un esempio. In questi anni molti parlamentari penta stellati sono stati espulsi dopo processi politici sommari dove i tribunali del popolo sarebbero stati esempi fulgidi di democrazia partecipativa.

In realtà il Movimento ha una sola regola: non avrai altro Dio al di fuori di Grillo.

Per rilasciare un’intervista bisogna chiedere il permesso, per candidarsi firmare un contratto con il Movimento e via di questo passo.
 Forse vinceranno le elezioni. In Italia vale sempre la massima di Indro Montanelli su Silvio Berlusconi: per acquisire gli anticorpi il Paese deve provare la “malattia politica”.

Magari vinceranno le elezioni i Cinque Stelle. Il governo è un’altra cosa. Però magari il primo provvedimento è già scritto: abolizione della libera stampa e blog di Grillo a reti unificate.

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