Il Carroccio secondo Luca, il leghista gentile per il dopo Gentiloni

Il governatore del Veneto non potrà più ricandidarsi ed è indicato come l'uomo giusto per la casella cruciale dell'Economia Ue. Un'Europa nella quale potrebbe misurarsi anche una vecchia conoscenza del Lazio: Mario Abbruzzese

Piero Cima-Sognai

Ne elegantia abutere

Come nei metalli che quel nome evoca la natura è composita, e di Leghe oggi in Italia ce ne sono due. La prima è quella primigenia ma ammodernata che dalla base porta dritta ai gargarismi social di Matteo Salvini, la seconda è nata già moderna ed è quella di nuova generazione. E’ la Lega che ha dovuto affilarsi i denti con l’amministrazione in purezza, quella di secondo livello che più di tutte sta appollaiata sulle spalle dei cittadini-elettori.

Ed è soprattutto la Lega di Luca Zaia, che dalla presidenza del Veneto è riuscito ad abbattere più steccati di quanto non abbia fatto un suo qualsiasi omologo di centrosinistra. Tutto senza dimenticare target elettorale e tessera n taschino. E Zaia non è solo l’epicentro della rivoluzione di un Carroccio che ha saputo superare la sua ruvidezza genetica, è anche casella fondamentale. Per cosa? Per la sola cosa che da qualche settimana a questa parte conta davvero nei conciliaboli delle segreterie di partito: le Europee 2024.

Le urne roventi per i partiti, urne europee

Giorgia Meloni

Va ripetuta, questa cosa: quelle del prossimo 6/9 giugno saranno elezioni cruciali. Da esse dovrà uscire, negli intenti del destra-centro italiano, la nuova forza sovranazionale che vuole mettere in angolo i progressisti.

Giorgia Meloni si sta giocando la partita più delicata della sua esistenza politica con un voto che potrebbe consacrarla cardine di un asse Ppe-Ecr denaturato che blinderebbe Bruxelles. (Leggi qui: Le Europee 2024 non saranno solo elezioni, ma un bivio della storia).

Perciò la scelta degli uomini giusti da mandare è fondamentale, non solo per le Europee in ottica parlamentare, ma anche per le cariche chiave nel governo Ue. E quella di Commissario Europeo all’Economia in testa a Paolo Gentiloni è in scadenza. La casella è fondamentale perché da essa dipendono faccende cruciali.

Il Commissario all’Economia e i fili che muove

Paolo Gentiloni (Foto: Daina Le Lardic via Imagoeconomica)

Come le farraginose dinamiche di messa a terra del Pnrr e l’applicazione del patto di stabilità e crescita. Questo “sfruttando pienamente la flessibilità consentita dalle norme a sostegno degli investimenti e salvaguardando nel contempo la responsabilità di bilancio”.

Ecco, la parola che interessa a Meloni più è “flessibilità”, cioè possibilità che un Paese a Pil ondivago come l’Italia se la giochi in margine di discrezionalità.

Insomma, quel posto deve andare a qualcuno di fiducia e pare che l’evanescente Adolfo Urso, non sgradito alla premier, possa non rispondere completamente alla bisogna. Serve un praticone, un uomo abituato ad agire in punto di amministrazione. Un personaggio che sia organico alla squadra ma abituato al quell’autonomia decisionale che oggi i grandi amministratori regionali della Lega hanno in massima skill. In una parola, serve lui, Luca Zaia.

C’è un secondo aspetto però, che vede il disegno esterno della Meloni contrarsi tutto sulle dinamiche interne a Palazzo Chigi. La premier non deve spingere troppo nel cercare solo gli uomini giusti, perché dalle Europee dipendono anche gli equilibri interni del governo. Perciò Zaia è talmente giusto per il ruolo di Commissario da non essere esattamente giusto peri i rapporti di forza tra Lega e Fdi, non con Forza Italia che ha alle spalle la corazzata Ppe di Manfred Weber. E con FdI che attende una slavina di voti che potrebbe non esserci.

Bravo, molto bravo, forse anche troppo

Luca Zaia (Foto: Canio Romaniello © Imagoeconomica )

Sostituire Paolo Gentiloni è perciò di fatto un derby tra Carroccio e Fratelli, cioè tra quelli in coalizione più forti in Italia ma più deboli a Bruxelles. Luca Zaia, se non cambierà la legge vigente, non potrà più correre per la guida della sua Regione, insomma, ha le mani quasi libere. Ed è un uomo che ha saputo costruirsi un paravento prog che lo renderebbe molto gradito in tutti gli ambienti della destra moderata, quella su cui Meloni punta per uscire dalla mistica-capestro di Visegrad.

La forza del tizio è il suo funzionalismo quasi giolittiano ad un ruolo che concede pochissimi spazi all’ideologia.

Uno che solo 36 ore fa aveva detto “io penso che l’omofobia sia una patologia” te lo devi tenere stretto. E devi farlo anche perché Zaia non è uomo-slogan, non è Salvini. Lui a quello che dice ci crede tanto da farlo diventare norma ove norma non ci fosse. E da impugnare la norma, ove preesistesse, per affermare diritti che non sono proprio nel dna della destra più trucida.

Ed è intelligente: “Come centrodestra non dobbiamo il pudore che questi temi li possano trattare solo quelli di sinistra. Sono temi che non devono avere colore politico, sarebbe un errore se nel centrodestra non ne parlassimo”. A marzo aveva detto: “C’è chi nasce nel corpo sbagliato”.

Dirompente: “L’omofobia è una patologia”

Luca Zaia

Poi lui, il leghista Zaia, aveva difeso la delibera per l’istituzione di un Centro regionale per i disturbi dell’identità di genere in Veneto. Era toccata all’Azienda ospedaliera di Padova e Zaia aveva puntellato la cosa con tale vigore da far capire che no, non era un puntello, semplicemente era la regola, una cosa che non guarda nulla se non la sua natura normativa. “Il cambio di sesso è un LEA, un livello essenziale di assistenza prescritto dalla legge”. Zaia, quello che è favorevole al fine vita e che solidarizza con Marco Cappato, rappresenta l’evoluzione della specie.

Se fosse un Terminator sarebbe il T-1000 fatto di metallo fluido che prende la forma di ciò che serve, non un goffo robot solo più picchiatore della media. Dietro input di amministratori come lui i quadri intermedi della Lega sono andati a scuola di praticità e si sono via via accreditati come uomini del fare, piuttosto che del proclamare.

Un po’ come Pasquale Ciacciarelli in Regione Lazio. L’assessore all’Urbanistica, Politiche abitative, Case popolari, Politiche del Mare della Giunta Rocca è un mister preferenze di razza. Ed alterna momenti istituzionali alla pratica certosina di battere il territorio con una costanza che ricorda il suo mentore, Mario Abbruzzese. C’è un dato: l’aula di Bruxelles è setaccio stretto e non richiede tecnici, per quelli ci sono gli staff.

La telefonata balneare a Mario Abbruzzese

No, quell’emiciclo richiede tattici della politica. Tattici come l’ex presidente del Consiglio Regionale Mario Abbruzzese. Una telefonata di questi giorni lo ha scomodato giusto mentre aveva appena messo i piedi sulla sabbia della solita spiaggia di Gaeta dove ogni anno passa una decina di giorni. Gli hanno chiesto di andare a Roma. (Leggi qui: L’insolita assenza di Mario dal fronte).

Qui i vertici della Lega gli hanno chiesto la disponibilità a candidarsi alle europee. A Bruxelles servono uomini con visione tattica: un esempio su tutti, il modo in cui Antonio Tajani costruì la propria elezione a Presidente del Parlamento Ue; capolavoro di cesello nel fare sintesi politica alla vecchia maniera. E, bontà loro, sul Carroccio ritengono che Abbruzzese di quell’acume ne abbia conservato dai tempi in cui divenne presidente del Consiglio Regionale del Lazio. Serve chi sappia muoversi sul velluto e non sciabolare sui vetri: il viatico ideale per andare a fare massa critica in un posto che di quelle skill ha bisogno.

La suq squadra si sta già orientando su una dimestichezza continentale. Solo pochi giorni fa Pasquale Ciacciarelli aveva incassato da parte di Francesco Rocca la convocazione della cabina di regia sulla Blue Economy. Dove ad esempio la Compagnia di Navigazione Kalypso del Gruppo Rif Line ha sperimentato il terminal del porto di Gaeta. Si tratta di quello gestito da Intergroup ed il suo ruolo è cruciale anche per le rotte strategiche recentemente enunciate nell’XI Rapporto sull’Economia del mare.

Un grimaldello nel posto Ue più importante

Foto © Denis Lomme / EU

Zaia è quindi un uomo che dà ottimi esempi e che ha ottime referenze, forse eccessivamente buone. Il neo è che il mandato di Commissario all’Economia presuppone un assoluto scollegamento dello stesso dagli interessi della nazione che lo esprime. Egli dev’essere talmente super partes da diventare spesso il “controllore” sul bus della sua stessa Nazione, un po’ come l’arbitro alle partite di seconda categoria che prende improperi da tutti.

Ma questo ruolo è bifronte, perché c’è il rovescio della medaglia. Un uomo come Zaia in un posto dove serve essere poco italiani e molto europei e dove fare gli interessi dell’Italia ha il maquillage Ue è oro. Sarebbe un grimaldello potentissimo in seno alla stanza dei bottoni più cruciale di Bruxelles, e per questo a Palazzo Chigi c’è chi sbava alla sola prospettiva. Alla Festa della Lega a Cervia Zaia ha dato un saggio in florilegio su come la pensi, e ha dimostrato di essere fedele alla linea ma non supino ad essa.

Sa minacciare: “L’autonomia è nel programma di governo, non fare l’autonomia significa venir via da un patto sottoscritto, e quando i patti si rompono poi non sai mai dove si va a finire…”. Sa convenire su temi urticanti: “Non si discute la solidarietà e la pietà, ma oggettivamente tutta l’Africa in Italia non ci sta. Sa replicare con quel tanto di demagogia pop che non guasta a chi lo contesta, come avvenuto l’altro giorno ad opera di un muratore che gli ha gridato di andare a lavorare: “La mia prima partita Iva l’ho fatta a 18 anni. Sono figlio di un meccanico e di una casalinga che mi hanno educato al rispetto. Questo signore non ne ha. Se sapesse che anche io mentre studiavo facevo il muratore…”.

Sui poveri non si scherza, parola di leghista

Rifugiati ucraini a Korczowa (Foto: Bartosz SIEDLIK © Imagoeconomica)

Sa conformarsi ma non spalmarsi quando si parla di povertà: “Ci vuole rispetto nei confronti di chi non riesce a sbarcare il lunario. E’ innegabile che ci siano cittadini che vivono difficoltà oggettive. L’aiuto a chi è in difficoltà deve essere dato, ma una revisione del modello va fatta.

E sa bacchettare l’atlantismo spinto senza dare l’idea di averlo fatto. “E’ stato giusto aiutare e dare sostegno con le armi all’Ucraina, ma se il gioco di Putin è alzare l’asticella, fino a che punto possiamo andargli dietro?”.

E nel gioco delle caselle per arrivare a Bruxelles potrebbe fare somma di ciò che è e diventare moltiplicatore di ciò che rappresenta. Forse perfino troppo, a contare che per Bruxelles ognuno andrà per sé e che più della squadra conteranno i singoli giocatori.