Feste, ville e Bmw con i soldi per sfamare e vestire i migranti: 25 indagati

Feste di 18 anni, ristrutturazione di ville, suv Bmw: pagati con i soldi che invece dovevano andare a sfamare e vestire i rifugiati. Che così finivano sulle strade di Cassino a chiedere l'elemosina. L'inchiesta della Procura, nata da un alrticolo di giornale. Venticinque indagati. Tra cui nomi eccellenti

Guadagnavano sulle spalle dei migranti, si mettevano in tasca i soldi destinati a loro. E ci facevano feste di compleanno, ristrutturavano ville con piscina, compravano suv Bmw della serie X. Lo facevano corrompendo chi doveva controllare, truffando lo Stato, frodando nelle forniture, abusando dei poteri, gestendo in maniera allegra i soldi pubblici; arrivando ad estorcere ed utilizzare fatture false.

Accuse. Ipotesi. Che dovranno essere vagliate da un tribunale. Ma dietro alle quali ci sono decine di elementi: indizi e fonti di prova che hanno raccolto in due anni gli uomini della Guardia di Finanza e della Polizia di Stato della provincia di Frosinone, coordinati dal sostituto procuratore di Cassino Alfredo Mattei.

Welcome to Italy

Indizi concreti, chiari, precisi, concordanti. Al punto da far scattare questa mattina l’operazione “Welcome to Italy”.

Migranti in attesa di sistemazione

Sono 25 le persone sulle quali si sta indagando da due anni: 18 quelle raggiunte all’alba dai provvedimenti emessi dalla magistratura di Cassino. Undici persone dovranno presentarsi negli uffici di polizia durante la settimana, a sette è stato vietato di continuare a svolgere l’attività di imprenditore.

La Procura ha disposto il sequestro preventivo di beni per un importo pari a circa 3 milioni: serviranno per coprire i danni arrecati allo Stato se si dovessero provare le accuse.

Inchiesta grazie ai giornalisti

Tutto era iniziato due anni fa. All’improvviso le strade di Cassino si erano riempite di disperati, tutti di colore: elemosinavano, chiedevano un pezzo di pane. Troppi per non notarli. E non sospettare che ci fosse qualcosa di strano. La stampa iniziò ad occuparsene: un servizio in particolare convinse la Procura, lo scrisse la giornalista Angela Nicoletti.

Nacque così l’indagine. Aperta dal procuratore capo Luciano D’Emmanuele e condotta insieme al suo sostituto specializzato nei reati sulla Pubblica Amministrazione.

La prefettura di Frosinone, responsabile dei CAS. Foto © Stefano Strani

Gli investigatori sono andati a controllare come venivano gestiti i migranti, i richiedenti asilo, i disperati in fuga:  dalla fame o della guerra fa poca differenza. Hanno verificato la gestione dell’accoglienza SPRAR, cioè il Sistema di Protezione per Richiedenti Asilo e Rifugiati; hanno fatto lo stesso con i CAS, i Centri di Accoglienza Straordinari gestiti dagli uffici delle Prefetture. 

Con discrezione, poliziotti e finanzieri hanno esaminato realtà nelle province di Caserta, Isernia, Latina e Rieti.

Fatture false, rimborsi per fantasmi

Hanno acquisito documenti. Soprattutto contabilità. È lì che sono nati i primi sospetti d’essere di fronte a degli illeciti. I finanzieri si sono trovati davanti a fatture emesse per operazioni inesistenti: si emettevano per ottenere rimborsi di servizi mai effettuati, sospettano gli investigatori. Altre carte hanno portato a sospettare la frode nella fornitura dei servizi ai rifugiati: si dichiarava una cosa e se ne faceva un’altra.

Se qualcuno andava via, magari si riuniva con i parenti nel Nord Europa, nessuno lo segnalava: anzi, ci si faceva rimborsare la retta come se quei rifugiati fossero ancora presenti sul territorio nazionale.

Eppure qualcuno doveva controllare: possibile che lo Stato mandasse i soldi e chiudesse gli occhi purché qualcuno si tenesse i migranti? È stato così che gli investigatori hanno rilevato un caso di corruzione d’un funzionario addetto alla rendicontazione del servizio SPRAR. Non solo: un pubblico ufficiale intervenne per capire cosa accadeva: negli atti si dice che per tenerlo buono gli era stato allora assunto il figlio.

Controlli della Guardia di Finanza

La Guardia di Finanza sospetta che siano stati utilizzati anche alcuni trucchi nell’annotare la rendicontazione sui registri: si raddoppiavano i costi sostenuti dalle Cooperative per il servizio SPRAR, si ottenevano doppi contributi per il pagamento del personale. E si lucrava anche sull’Iva: veniva portata sia in detrazione che a rimborso.

La spartizione del territorio

Sono 3 le cooperative sulle quali si sono concentrati gli investigatori. La procura ipotizza un sistema basato sull’illecito.

Un sistema nel quale ognuno aveva la sua area di competenza, il suo territorio, la sua ricca fetta di guadagni. Per la Procura si era arrivati ad una sorta di patto “di non concorrenza” con il quale si erano spartite il territorio.

Con la connivenza di pezzi dello Stato. Perché le cooperative venivano chiamate in maniera diretta, senza una procedura ad evidenza pubblica. Ognuno aveva la sua parte: un sindaco era riuscito ad ottenere quale “compenso” l’assunzione di familiari e amici, per uno di loro ad un certo punto pretese pure un aumento di stipendio.

C’erano sindaci che si muovevano, si davano da fare. Quando una cooperativa provò a rompere l’oligopolio intervenne il sindaco: con minacce più o meno velate fece in modo che la proprietaria di un palazzo strappasse il contratto di affitto  già stipulato e registrato con una coop che non volevano far entrare.

Compleanni, ville e Bmw

Tra le somme finite sotto la lente d’ingrandimento ci sono anche spese che con gli immigrati non avevano nulla a che fare: come nel caso di quelle sostenute per l’organizzazione della festa per il diciottesimo compleanno del figlio di un responsabile e confluite nella contabilità dello Sprar giustificandole come  manifestazione finalizzata all’integrazione dei migranti.

Ma anche spese di ristrutturazione della villa, con annesso campo da tennis, di proprietà di un responsabile della cooperativa coinvolta.

E l’acquisto di Bmw X1 e X3 prese in leasing per la cooperativa.

Si calcola che dei soldi mandati per alloggiare, sfamare ed assistere i migranti, solo un terzo venisse usato per questo. E due terzi invece finissero nelle tasche sbagliate. I servizi erano quelli che si potevano coprire con i pochi soldi rimasti: le perquisizioni hanno fatti emergere ambienti vecchi, sporchi e con le blatte all’interno delle cucine

Ecco perché finivano in strada a mendicare, ecco perché erano carichi di risentimento.

Le richieste di arresto

Un anno fa, a metà dell’indagine, la procura chiese una serie di arresti. Il giudice disse no e fece continuare le indagini, fino ad arrivare ai 18 provvedimenti adottati oggi.

Il Palazzo di Giustizia di Cassino

Tra le persone indagate ci sono nomi conosciuti: come quello dell’ex sindaco di San Giorgio a Liri Modesto Della Rosa e del suo ex vice Massimo Terrezza; l’ex sindaco di cassino Bruno Scittarelli; l’ex presidente del Consiglio Comunale della città Dino Secondino; l’ex vice presidente del Cosilam Francesco Mosillo.

Proprio a loro carico erano stati chiesti i provvedimenti più pesanti. La Procura della Repubblica aveva sollecitato la custodia in carcere per Bruno Scittarelli, Francesco Mosillo, Dino e Lucio Secondino, Paolo Aristide Aristipini, Katia Risi. Aveva chiesto gli arresti domiciliari per Modesto Della Rosa, Giuseppe Di Pilla, Luca Imondi, Michele Murante.

Il Giudice delle Indagini Preliminari ha detto no agli arresti. Ha imposto il divieto di esercitare attività imprenditoriali per un anno a Bruno Scittarelli, Francesco Mosillo, Dino e Lucio Secondino, Paolo Aristide Aristipini, Katia Risi, Luca Imondi.

Obbligo di presentarsi ogni giorno alla polizia giudiziaria per Bruno Scittarelli, Dino Secondino e Luca Imondi (al Commissariato di Polizia a Cassino); Lucio Secondino a Francesco Mosillo (al Gruppo Guardia di Finanza di Cassino); Michele Murante (Tenenza della Guardia di Finanza a Poggio Mirteto).