L’inutile Calvario di monsignor Vincenzo Paglia

Foto Livio Anticoli / Imagoeconomica

L'assoluzione del responsabile degli immobili della diocesi di Terni cancella in maniera definitiva ogni ombra su monsignor Paglia. Non ci furono irregolarità nella sua gestione.

La salita al Calvario di monsignor Vincenzo Paglia da Boville Ernica è iniziata nel 2013. In quell’anno la Procura della Repubblica di Terni iscrive nel registro degli indagati il vescovo di Santa Romana Chiesa. Accusandolo, nella sostanza, di essere un maneggione: di essere stato al corrente delle operazioni finanziarie ed immobiliari legate alla compravendita del castello di San Girolamo a Narni.

L’indagine

Operazioni dubbie, a giudizio dei magistrati. Che all’epoca lo sospettano coinvolto in un’associazione a delinquere finalizzata all’appropriazione indebita, alla turbativa d’asta e all’ appropriazione indebita.

Dovevano essere armati di solide convinzioni. Perché a vendere e comprare non erano immobiliaristi dalla scarsa reputazione: il castello era proprietà del Comune che l’aveva messo all’asta, a rilevarlo era la diocesi retta dal pastore nato in provincia di Frosinone.

Cosa c’era di sospetto in quell’operazione immobiliare? L’accusa ha sostenuto che la vendita era stata viziata attraverso una serie di atti truccati in modo da consentire che la società della Diocesi potesse partecipare ad un’asta senza averne però i requisiti. E non basta. Durante la gestione di monsignore si sarebbe aperto un buco nelle casse diocesane vasto alcuni milioni di euro. (Leggi qui la cronaca dell’epoca).

A Cesare ciò che è di Cesare

Monsignor Vincenzo Paglia. Foto Paola Onofri/ Imagoeconomica

Un caso che aveva portato ad arresti ed indagati, con un massiccio utilizzo di intercettazioni e di finanzieri. Monsignor Vincenzo Paglia aveva subito mostrato a Cesare ciò che è di Cesare. Cioè aveva esibito le carte dalle quali risultava che i soldi erano stati spesi per ristrutturare e mettere a norma una cinquantina di chiese nella diocesi, sostenere mense per i poveri, finanziare oratori per bambini.

Ed il castello? Tanto per mettere le cose in chiaro non era un castello ma un convento. Con tanto di chiesa all’interno. Consacrata. Nella quale si celebrano Messe. Monsignore spiegò subito che non avendo i soldi a disposizione, la diocesi non comprò alcunché.

Coì, nell’anno Domini 2015 la posizione del vescovo venne archiviata con tante scuse. Il Giudice delle Indagini Preliminari motivò scrivendo che è “certa la totale estraneità. Anzi, risulta avere agito sempre, nell’espletamento del suo mandato pastorale, con l’unico meritorio obiettivo di assicurare alla realtà cittadina un riscatto in termini sociali e culturali”.

L’assoluzione finale

Monsignor Paglia è vicino alle posizioni di Papa Francesco

Sono passati sette anni da quell’indagine, cinque dall’archiviazione. Soltanto ora è possibile dire che né monsignor Vincenzo Paglia era un maneggione e nemmeno lo erano i suoi collaboratori dell’epoca. Solo ora è possibile dire che non solo fu limpida la sua condotta e la sua azione in favore dei poveri e della diocesi: lo fu anche quella di chi gli stava vicino. In particolare Luca Galletti, all’epoca responsabile della gestione immobiliare della diocesi di Terni e per questo venne arrestato. Nelle ore scorse è stato assolto dalle accuse di turbativa d’asta e truffa.

Nulla. Alla base di quell’accusa c’era nulla. Un nulla sul quale per dieci anni è stato alimentato un clima di sospetto nei confronti di una delle menti più acute della Chiesa contemporanea, voluto da Papa Benedetto XVI alla guida del Pontificio Consiglio per la Famiglia e poi presidente della Commissione per Ecumenismo ed il dialogo della Conferenza dei vescovi italiani, consigliere spirituale della Comunità di Sant’Egidio. (Leggi qui Monsignor Paglia e l’esortazione del Papa su divorziati e risposati).

Un calvario nonostante l’archiviazione. Perché l’inchiesta era aperta, la condotta dei collaboratori e delle persone alle quali il vescovo si era appoggiato stava ancora sotto accertamento. E quindi anche la sua capacità di scegliere i collaboratori, controllare la loro azione, guidare il bene della diocesi era sotto la lente d’ingrandimento. Morale e non giuridica.

Questa assoluzione mette la parola fine a quel calvario. Affrontato con serenità e nel silenzio. Ma che ha gettato ombre del tutto inconsistenti sulla Chiesa e sulla sua capacità di amministrare in nome del Bene. È questa la ferita che ha fatto più male.