La cambiale in bianco: vivere in Ciociaria è bello solo se la ami

Cosa ci insegna il report del Sole 24 Ore uscito ieri. Perché non bisogna fermarsi ai numeri. ma cercare di capire cosa ci vogliono suggerire

Piero Cima-Sognai

Ne elegantia abutere

“La qualità non è mai casuale, è sempre il risultato di uno sforzo intelligente”. John Ruskin però era nato a Londra giusto in tempo per vivere e segnare la grande età vittoriana, quindi quel che diceva poggia, diciamo, su un letto abbastanza comodo. E non perché in quel contesto vi fossero persone o atteggiamenti collettivi più intelligenti, ad esempio, che nella Ciociaria o nel Pontino del terzo millennio del XXI secolo. No, è solo che il concetto di qualità della vita, che è ovviamente polimorfo, ha un solo padre: il contesto storico che la produce. O che la azzoppa.

E a leggere i dati che ha sciorinato il Sole 24 Ore in alcuni ambiti più che a Ruskin viene da pensare al fatalismo partenopeo di Peppino Fiorelli cantato da Nicola Valente nel 1944. Nella classifica 2023 sulla qualità della vita Roma perde quattro posti ed è 35ma, Frosinone uno ed è in casella 80 e Latina crasha e scala in basso fino all’87mo posto di una hit assai poco onorevole. (Legi qui: Qualità della Vita, sempre più in basso).

Al di là del dato collettivo che in alcuni segmenti segna “mala tempora” quello su cui riflettere forse sono i dati di categoria, cioè le direttrici di analisi che spiegano cosa non vada nelle province del Lazio ed in particolare in quelle che hanno ottenuto un ranking così mogio.

Roma bella che non balla, parola di Riad

Foto: Giuliano Del Gatto © Imagoeconomica

Cominciamo con Roma e facciamolo partendo da un’altra città: Riad. Facile capire che la bocciatura ad Expò 2030 non sia figlia solo dei petroldollari, ma anche impalcata sull’eterna croce di una città unica al mondo ma disfunzionale sugli ambiti che quella bellezza dovrebbero consentire di coglierla.

E Frosinone con Latina? Premessa: si fa riferimento a sistemi complessi da cui sono uscite luci ed ombre. E “caricare” sulle seconde sarebbe disonesto almeno quanto lo sarebbe sottacerle. Il dato tecnico è però di quelli che non consentono scappatoie o omissioni: lo è perché quest’anno ci sono più parametri di valutazione.

Novanta indicatori su ben sei macro aree di tema sono un setaccio strettissimo. In sintesi la Ciociaria è: terra dove si sta relativamente sicuri ma dove ci si accapiglia per un nonnulla. Che significa? Che le radici belluine ed agresti dei nostri padri sono sopravvissute fino alle ere tech, ma che alle stesse mettono rimedio la giustizia e i protocolli di sicurezza. Con un neo però: in provincia di Frosinone amministrare la giustizia è roba bradipa, siamo 83mi su 107 province.

“Ricchi” ma fermati: come sono i ciociari

E ci sono altri ossimori, altre contraddizioni palesi. Il Frusinate è 70mo per ricchezza e consumi, pur scendendo rispetto al 2022, ma è 57mo su affari e lavoro, dove sale e di molto anche. Come si può leggere? Una chiave di lettura interessante è data dall’emorragia di imprese che l’istituzione delle Zes da parte del governo senza includervi la Ciociaria ed il Pontino ha incrementato. Si spende non moltissimo perché c’è disponibilità media di denaro ma la presenza dei grandi e residui spot industriali, automotive su tutti ed oggi più residuo che mai, assicura occupazione. E al tempo stesso spinge verso nuove vie di economia, su tutte il turismo di prossimità e il dinamismo delle startup.

Chiariamo un concetto scomodo, precisando che è concettuale e che favolose eccezioni non mancano: dove per decenni si è sviluppata la “cultura della fabbrica”, dove le industrie hanno prosperato assicurando posti di lavoro sono successe cose splendide e cose non proprio ottimali. Perché generazioni intere sono state addestrate al mensile o agli ammortizzatori sociali, cioè messe relativamente al sicuro dalla povertà assoluta. Il che ha disincentivato il formarsi di una seria ed organica cultura “da partita Iva”.

Inventarsi partita Iva dall’oggi al domani

Chi sull’onda della crisi partita nel 2009 ha deciso di iniziare a vendere e farsi le entrate da solo non veniva da quel mondo e in media lo ha fatto malaccio. E chi avrebbe voluto decidere di passare tra piccoli imprenditori e self made men alla fine ha desistito. Perché, in iperbole, sia chiaro, qui malemale e al punto di dare un taglio con la vita passata non c’è stato mai “nessuno”. Grazie e “per colpa” delle fabbriche. Anche nei periodi più bui e fatte salve tristissime eccezioni una cassa integrazione, un secondo lavoretto e qualche pensione hanno tenuto l’asticella a galleggiamento. Oggi però non è più così e le generazioni intermedie sono in bilico ed impreparate.

E il fatto che da noi si mangi tanto (e benissimo) ma ci si (pre)occupi poco dell’obesità è dato non solo sociologico. No, è anche legato ad una atavica carenza di reticoli sanitari che sulla prevenzione di rango si fa sentire. Dove cadiamo in ginocchio? Proprio su una delle voci che disegnano l’orizzonte del futuro che dovrebbe già essere presente: sull’ambiente. Troppe auto e troppo poco hi-tec-digit per evitare di prenderle e andare a disbrigare pratiche di una burocrazia che gli Stati Generali voluti da Luca Di Stefano stanno provando a potare.

Più facile una birra che un applauso

Nicola Ottaviani (Foto © Massimo Scaccia)

E sì, da noi è più agevole prendersi una sbornia che applaudire un attore, il che certifica la lettura dei territori che viaggiano su due binari. In provincia di Frosinone ci sono individui coltissimi ma pochi spazi per diffondere la cultura, non va affatto bene.

Due binari dicevamo: da un lato quello delle eccellenze non sviluppate appieno, dall’altro quello delle mediocrità in cui si è “frenati” nel mettere freno. Ma perché? Ad di là dell’atavica dicotomia Roma magnete-province a caccia di briciole, cosa non fa scattare il salto di qualità?

Singola eccellenza, vieni e salvami

Questa è una terra bellissima che gode dell’amore incondizionato di cittadini tenaci che per il loro campanile vedrebbero il bicchiere mezzo pieno anche se fosse pieno di cianuro. E’ una terra che pulsa di eccellenza senza saper esprimere le eccellenze che merita a livello sistemico. Terra in cui ogni donna o uomo che raggiunga posizioni scientifico-culturali-politiche di prestigio diventa immediatamente ricettacolo di un’attenzione mainstrem ossessiva e piccina che dovrebbe compensare con le eccezioni una regola da sei in pagella.

Ce li teniamo stretti, i nostri “geni”, perché non sappiamo spandere genialità o creare i presupposti a ché essa germini più facilmente. E forse amiamo le consorterie più di quanto non apprezziamo la libertà dalle stesse, perché in fondo speriamo di essere nella loro scia invece che assistere alla loro scomparsa.

E questo fa della nostra terra un posto dove la grandezza arriva ma non ci si accasa o se ci abita poi la casa la cambia. Non al punto da far coincidere la bellezza e la forza certissime di chi ci abita con quelle ipotetiche e a scatti del posto dove vive. Ed è un peccato, se non una mezza cambiale in bianco. Tra luci ed ombre.