La magia di Gizzi, il pittore che lascia parlare i quadri

La magia del maestro Gizzi: l'uomo che trasferisce su tela i capolavori della natura.

Melania Massa

Moda, Fashion & Style

Tentare di intervistare Marco Gizzi è un problema. Non tanto perché è un pittore. E nemmeno perché è di Ceccano. Ma perché non gli puoi chiedere la classica intervista: non te la concederà. Scordati dunque domande di routine, convenevoli superflui. Dimenticati: perché sei ad una sua mostra e devi aprire la mente, posizionarti davanti ai suoi quadri, osservarli, ammirarli, aspettare che sia lui ad avvicinarsi al dipinto per arricchirlo con le espressioni del volto e i suoi racconti. Solo allora l’intervista uscirà fuori all’improvviso senza che tu te ne accorga.

Accade tutto questo a Fiuggi, Salone della Fonte di Bonifacio VIII durante la Personale del maestro: un uomo di sessanta anni portati benissimo. Alla richiesta di un’intervista risponde con un filo di voce, aprendo le braccia a semicerchio come se volesse abbracciare tutta la stanza dell’esposizione: «Potremmo farci una semplice chiacchierata se ti è utile, potrei raccontarti qualcosa ma qui hai a disposizione i miei quadri, possono parlare loro al mio posto. Il tuo compito è quello di scrivere e io, in un certo senso, ho già scritto quello che devi sapere nei miei quadri. Preferisco che li osservi e che tu ti senta libera di riportare tutto quello che vuoi».

Sulla sinistra un grande Pegaso alato che calpesta la testa di Medusa, il dipinto è uno dei più grandi nella sala, sfondo in foglia oro, le piume nere delle ali sembrano talmente leggere da essere accarezzate dal vento, i toni cupi fanno risaltare ancora di più lo sfondo luminoso: «Questo lo sto ancora finendo, mi manca ancora qualcosa. Li vedi in controluce i quadratini delle foglie oro? Dopo che li ho stesi devo aspettare due giorni che si asciughino per poterci dipingere sopra. Sono un grande appassionato di mitologia, leggo molto e mi piace riproporla nei miei dipinti».

All’improvviso, con il dito, indica in basso sulla destra del quadro, una figura nera infinitamente piccola rispetto all’enormità del dipinto, appena percettibile e dice: «Questa piccola figura qui sotto, quasi nascosta, questo è il vero soggetto del quadro, può rappresentare la morte o anche Atena, è una questione di mitologia».

Capitiamo sul discorso dei colori chiari o scuri e sulla luce: «Ho sempre dipinto, da bambino amavo disegnare. A diciassette anni, dopo la morte di mio padre, evento tragico che ha segnato tutta la mia vita, ho iniziato a dipingere seriamente, ho trasferito il mio dolore su ciò che creavo, usavo solo sfondi neri, il nero era la mia tristezza. C’è stata un’evoluzione nella mia vita come uomo e come pittore, adesso che ho sessanta anni dipingo prettamente sfondi chiari e luminosi e ho abbandonato il nero, qualcosa vorrà pur dire. Penso che la pittura sia sempre autobiografica e penso che le cose più belle nascano sempre dalle cose brutte».

Di fianco, un olio su tavola telata, 120 x 180cm del 2013 “Cavaliere Ceccanese, autoritratto” spiega: «E’ un omaggio alla mia città e alle mie origini a cui sono molto legato, mi piace mettere una carica simbolica nei quadri, i cavalieri hanno il mio volto perché in fondo mi sento un po’ cavaliere anche io, nell’opera c’è tanto di me e della mia passione per i racconti medievali».

Nel frattempo, tra gli spettatori, un bambino prende per mano sua madre e la trascina davanti alle opere con occhi meravigliati come se si trovasse all’interno di una favola con cavalieri e oggetti ingranditi. Ancora più avanti un “Iris” olio su tela 110x160cm e poi le melagrane e le zucche: nella pittura di Marco Gizzi il piccolo viene ingrandito ed esposto al pubblico sotto la lente di ingrandimento, la semplicità della natura viene elevata ad opera d’arte, analizzata ed esaminata in ogni singolo dettaglio per esaltarne l’estrema perfezione.

Rivela. «Sono molto veloce nel dipingere ma c’è una spiegazione pratica, agli inizi, le prime volte che dovevo dipingere un fiore, lo coglievo dal mio giardino e bloccavo le foglie con dei fili per non farlo muovere, mi accorgevo che dopo un’ora il fiore non era più quello che avevo iniziato l’ora prima, da qui ho capito che nel ritrarre la natura avrei dovuto sbrigarmi. Ci vuole una profonda conoscenza, tutto ciò che ritraggo l’ho prima piantato, curato, visto crescere e quando arriva al massimo dello splendore allora lo inizio a dipingere. La vera arte è capire il miracolo che compie la natura e amare i suoi frutti. Quando decido di rappresentare una zucca la posiziono e parto con il lavoro, ad un certo punto la levo e inizio a dipingere quella che è la mia zucca ideale, quella che la gente vedrà esposta è l’ortaggio che io vedo filtrato dal mio essere».

Intanto una coppia di anziani dall’accento pugliese, lei guarda il quadro di peonie rosa nel vaso e si rivolge al marito: «Come è possibile che l’acqua nel vaso sembri vera? Le foglie ed i rami sembrano uscire dal quadro e i petali dei fiori appaiono come di seta. Quest’uomo ha ricevuto tra le mani un dono dal Signore!».

Su una parete c’è qualcosa che stona con tutto il resto della mostra, con i colori accesi delle nature morte e le cornici dei quadri, con gli sfondi verde salvia e il rosa corallo e il viola e i rossi accesi, sono tavole di legno consumate dal sole, appese al muro con un post-it attaccato con del nastro adesivo su cui è scritto Marco Gizzi 2018, una farfalla rossa si è appena posata su una di quelle tavole, sono ben evidenti tutte le venature del legno e i chiodi che le tengono ferme insieme.

La domanda che nasce spontanea è perché qualcuno abbia dovuto rovinare l’esposizione con quattro pezzi di legno su cui è attaccato un post-it, una pecca troppo grave per una mostra di questo livello. A prima vista sembra questo, quando si ci avvicina si comprende che invece è uno stupendo trompe-l’oeil, un’illusione, l’inganno, la beffa divertente che ha creato l’artista a discapito del pubblico.

Racconta Gizzi: «L’ho chiamato Vanessa C, era il mese di ottobre e fuori dalla mia casa, a Ceccano, avevo delle tavole vecchie di legno rovinate dal sole, mi piaceva particolarmente la tonalità di marrone che avevano assunto, sempre in questo periodo, dalle nostre parti, vola la Vanessa C, una farfallina rossa che si chiama così perché ha sul retro delle ali due c bianche. Da qui ho avuto l’ispirazione per un’illusione ottica, mi piaceva l’idea dell’inganno come una specie di magia, con questo posso spingermi oltre e posso vedere fino a che punto può arrivare la pittura».

Per lui la pittura è una missione da portare a termine, è respiro e autobiografia, ama introdurre i suoi ricordi d’infanzia, ama ritrarre elementi poveri che raccontano la nostra storia, oggetti in uso nelle case di un tempo, una teiera della nonna, un bricco bianco arrugginito, un barattolo del caffè ammaccato, in tutti questi però riesce a coglierne l’aspetto architettonico, ingrandendoli, all’interno dei suoi quadri. Li eleva da semplici oggetti poveri di uso quotidiano a vere opere architettoniche come se fossero cupole o grandi strutture, portandoci a vedere la semplicità della realtà in tutta la sua straordinaria bellezza.