La moderna lotta tra insignificante e insignificato (di Franco Fiorito)

Il commento ad una settimana politica. Fatta solo di di abile linguaggio al quale mancano proprio i contenuti. Passo dopo passo, la spiegazione del successo di Salvini. Basato sul nulla. Perché anche il fornaio con cui la moglie di Fantozzi lo tradiva ha un ruolo in questa storia

Franco Fiorito

Ulisse della Politica

Dallo scaffale della libreria, cercando altro, mi guarda con occhio supplichevole un vecchio testo di Filosofia del Diritto e mi induce a sfilarlo dalle polverose fila dei piani alti della biblioteca.

La firma è del mio ex professore Bruno Romano, il suo centro didattico è il linguaggio. Nel Diritto, nella politica aggiungo io.

Lo riapro e come un vortice lo rileggo quasi tutto nel giro di poche ore senza fermarmi. Mi succede con i libri che mi sono piaciuti.

Particolarmente amo il linguaggio. In tutte le sue forme.

 

Ci sono stati decenni che hanno visto i più grandi studiosi del linguaggio impegnati a discettare ed elaborare teorie sulla comunicazione e sul suo impatto ed utilizzo. Sulla lingua, sul segno. Da Freud passando per De Saussure a Levi Strauss a Lacan fiumi di pensiero ed intuizioni a spiegare la complessità del nostro comunicare.

A sottolineare la geniale concorrenza e complementarietà tra il significante ed il significato. Intesi con mia violenta e rozza sintesi uno come il piano dell’espressione e l’altro quello del contenuto.

Per De Saussure la forma semiotica è l’unione inscindibile tra significante e significato. Lacan sottolinea il rapporto arbitrario fra significante e significato: il significante è un segno qualsiasi, privo di contenuto proprio, che prende valore solo nella relazione con altri significanti.

Ed innovando rispetto al suo maestro Freud si spinge a dire che “l’inconscio è strutturato come un linguaggio”.

Sempre affascinante, ma pure sempre pesante.

 

Allora mi stanco di rileggere Romano con de Saussure e Lacan, chiudo il libro e mi immergo nella più beata lettura di alessioporcu.it e con sguardo bramoso e la testa ancora piena di significati e significanti mi sforzo di trovare qualcosa che, al di là della maestria comunicativa del direttore, che riesce a rendere significante anche l’insignificante, sia applicabile a quanto appena finito di leggere.

Non riesco a trovare niente, un argomento, una disputa, un proclama che fosse degno di qualsiasi percorso logico comunicativo anche dei più elementari.

 

Iniziamo col la sagra del falso. E via con false dimissioni date e ritirate. False mozioni di sfiducia preparate e mai presentate o scritte senza nessuna convinzione di successo. Arrivo addirittura al falso prete. Argomento che ricorda più i film della commedia all’italiana degli anni Settanta che un serio argomento politico.

Tiro due respiri e mi metto a cercare qualcosa di più serio.

Mi immergo nel congresso del Pd. Mi dico, cavolo, sono rimasti gli ultimi al mondo a fare dei congressi, strumenti ritenuti ormai riprovevoli dalla quasi totalità dei Partiti italiani, almeno si staranno prendendo a sediate sui valori fondanti sulle radici di sinistra sui progetti futuri.

Niente la solita conta delle tessere, la guerra dei comunicati, le votazioni bulgare e udite udite alla fine la scomunica per la localizzazione dei seggi elettorali. Come a dire visto che ormai ce li dobbiamo portare di peso a votare almeno rendeteci la vita facile.

Mi deprimo ulteriormente e mi dico, fammi vedere gli amici del centrodestra dopo la sconfitta alle provinciali come hanno analizzato il risultato.

E giù a scorrere articoli fino a scoprire che dopo le elezioni nessuno dei Partiti si è degnato nemmeno di farla una riunione di elaborare un analisi o cercare soluzioni.

Ma allora qui non è solo questione di linguaggio mancano proprio i contenuti diamine.
Tra me penso “che scoperta Frà… ci sei arrivato adesso” e mi sento come Fantozzi al quale trovando pane in tutti i cassetti ed i vani della casa venne “il terribile sospetto” che la moglie lo tradisse col panettiere. Nella fattispecie l’orrendo butterato Abatantuono.

 

Intristito ulteriormente da questa immagine mi butto avidamente a cercare qualcosa di meno locale, nazionale.

Bum. Il caso La Vardera. Avete presente la iena che si è candidato per tutto il centrodestra a sindaco di Palermo per finta, solo per fare un docufilm, prendendo per il culo, è il caso di dirlo, gran parte della dirigenza politica locale e nazionale. Altro che supercazzole dei tempi di amici miei.

Che grandissimi fagiani penso.

Speranzoso cambio campo, mi butto sui Cinque Stelle.

Mi dico, nella loro favolosa lingua politica mutuata dal mondo di Pocahontas, troverò un rifugio sicuro, un naturale antidepressivo politico. Invece niente, dibattito provinciale non pervenuto, lampeggiano un paio di articoli tra riunioni fallite e noiosi litigi per assunzioni parentali.

 

Butto l’iPad ed accendo la tv ed ecco l’apoteosi. La Raggi che manda in diretta universale la distruzione delle case dei Casamonica.

Questi baracconi dai colori sgargianti arredati da qualche architetto incrocio tra il mago Otelma e gli autori di Gomorra.

Mi mette tristezza più che gioia ma mi dico: finalmente qualcosa da analizzare con le categorie della filosofia del linguaggio. Con il loro significante e significato.

Ne voglio comprendere il senso politico.

Mi scervello qualche minuto e non mi viene da pensare altro che oggi tutto il linguaggio politico non è altro che una moderna e triste lotta tra l’insignificante e l’insignificato. Insignificante la comunicazione. Insignificato il contenuto.

L’unico, labile filo conduttore è rimasto non più quello di esprimere proprie idee ma solo quello di scimmiottare l’immaginifico Salvini.

 

Non tanto la Lega stessa ma proprio Salvini.

Che con quella bella faccia di tufo che ha ti bombarda sempre con gli stessi messaggi-molotov. Imperterrito ed immutabile. Mai scalfito dal giudizio altrui. Un martello.

Allora osservo la Raggi che per elemosinare una effimera popolarità copia, con somma enfasi, le ruspe salviniane.

Come qualche settimana fa a San Lorenzo vidi addirittura l’estrema sinistra rinfacciare al ministro dell’Interno che pur avendo evocato le ruspe non le avesse utilizzate per radere al suolo un centro sociale e dunque era inadempiente. Strabuzzai gli occhi.

E come mi torna in mente la povera Serracchiani che avendo chiamato i migranti clandestini, come fa Salvini, fu linciata dalla sua stessa platea politica proprio per l’uso di quel linguaggio “nemico”, così freudianamente condizionata.

E che vogliamo dire di Minniti che rischia di diventare segretario del Pd per il merito di avere applicato e comunicato le stesse politiche di Salvini da ministro degli interni. Sindrome di Stoccolma.

 

Ecco nell’ analisi attuale del linguaggio politico sono pochi coloro che riescono oltre alla forma, che oggi è essenzialmente quella prediletta dei social, a coniugare dei contenuti. Non necessariamente giusti o meno. Ma credibili, originali, propri. In pochi riescono a coniugare veramente significante e significato.

E come sottolineava Lacan il significante è un segno qualsiasi, privo di contenuto proprio, che prende valore solo nella relazione con altri significanti, nel contesto della catena strutturata dei significanti. Il che sembra molto complesso ma ci fa capire quanto siano vuoti i messaggi che, privi di contenuto, poggino la loro forza solo nella forma. E quanto questa forma non valga nulla se non concatenata. Ad un progetto. Politico linguistico e comunicativo in questo caso.

 

E allora realizzo perché il buon Salvini vola nei sondaggi ed ha più di tre milioni di follower. Perchè la sua comunicazione seppure apparentemente diretta, rozza, non mediata è invece studiata con geniale concatenazione. Con un progetto comunicativo vero che è talmente ben fatto da non lasciare tradire esternamente la propria costruzione.

Apprezzo e mi tranquillizzo.

Solo qualcosa mi lascia interdetto. Quando scorrendo internet mi appare la foto della Isoardi con sorriso gaudente e lui tutto “spettoriato” adagiati sul talamo.

Mi salta tutto il ragionamento e mi risento improvvisamente come Fantozzi che, scoperto il tradimento, affronta il panettiere che, al culmine del litigio, gli tira un pezzo di impasto in faccia e lui dignitosamente lo gira al collo a mo di sciarpa ed esce fiero ed infarinato per aver difeso il suo amore. E penso con un sospiro di sollievo.

Quella è una questione di donne!!!

E sull’argomento, si sa, da millenni non ci capisce niente nessuno. Nemmeno a barcamenarsi tra significante e significato.