Se la morte va in diretta sui social (di A. Panigutti)

La tragedia di Cisterna. E la nuova prospettiva dei fatti. Giornalisti assiepati il più vicino possibile al luogo dove si consumava la tragedia, e gli «influencer» in casa. L'omicida ed i social network

 

di Alessandro PANIGUTTI
Direttore Responsabile
Latina Oggi 

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Non è stata una puntata della vita in diretta, perché ieri, per nove lunghissime ore, ad andare in diretta sono state la morte e la morbosità di quanti hanno voluto assistere a tutti i costi, anzi partecipare, ad un evento che indipendentemente dagli esiti prometteva fin dall’ inizio di gonfiarsi a dismisura prima di esplodere.

 

Le fotografie hanno potuto ritrarre soltanto la figura del protagonista che da un terrazzo dialoga con i colleghi «mediatori» che cercano di dissuaderlo dal continuare ad avventurarsi nel buco nero in cui si era infilato di buon mattino sparando alla moglie.

Ma è stata un’ altra la platea fuori della portata dei fotografi con la quale Capasso si è confrontato per tutta la durata del suo drammatico isolamento in casa: i social.

 

Se per caso ha cercato di sapere cosa stesse accadendo attorno a lui, e dunque se ha usato il telefonino o un personal computer, Capasso è finito nel vortice infernale di quanti gli chiedevano di lasciar andare le figlie e di quelli che lo incitavano a farla finita, a spararsi un colpo in testa e porre fine a quella sciagurata messa in scena.

 

Per uno come lui, finito ieri dentro la bolla della follia, non deve essere stato facile orientarsi, cercare di capire, e soprattutto resistere a tutte quelle sollecitazioni, nessuna delle quali offerta sulla base di una consapevolezza e una preparazione degne dell’occasione e del momento.

Quello era un lavoro da lasciare ai «mediatori», gente strutturata per affrontare quel tipo di situazioni, ma nessuna regola e nessun potere sono stati in grado di fermare la valanga di interventi che riletti tutti insieme, indipendentemente dai contenuti, hanno il sapore unico del linciaggio morale.

 

Standosene a distanza, anche di chilometri, e senza avere nemmeno la possibilità di annusare la pesantezza della situazione osservando coi propri occhi quanta solitudine può nascondersi dentro un anonimo appartamento di un condominio di periferia, i frequentatori dei social hanno comunque detto la loro, fatto il tifo per la soluzione a lieto fine o sollecitato l’ epilogo drammatico e senza ritorno. E magari condizionato lo scorrere dei titoli di coda della mattanza, chissà.

 

E’  il segno forte che qualcosa è cambiato nel nostro modo di osservare e soprattutto di sentire cosa accade intorno a noi.

Forse si è anche accesa la spia rossa che avverte noi cronisti che è arrivato il momento di fare i conti con un altro punto di osservazione dei fatti, non più essere testimoni diretti, non più essere là dove si svolge l’ azione, perché quello che conta è l’ immediatezza dell’interazione piuttosto che la ricostruzione o l’ analisi a freddo di quello che abbiamo visto e sentito.

 

Proprio come è accaduto ieri: i giornalisti assiepati il più vicino possibile al luogo dove si consumava la tragedia, e gli «influencer» in casa con il disperato omicida che al cospetto dei cadaveri delle figlie non riusciva a trovare lo spunto per premere il grilletto anche contro di sé.

 

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