Latina-Gaeta, il derby pontino della cultura e la grande occasione persa

Due candidature per la Capitale della Cultura: Latina e Gaeta non prendono lezione dall'esempio di Roccasecca. E nemmeno da quello di Bergamo e Brescia, che dai tempi antichi litigano per la Luna

Lidano Grassucci

Direttore Responsabile di Fatto a Latina

Stiamo scegliendo la capitale italiana della cultura per il 2026. Una scelta ambita, si sono candidate già città come L’Aquila e Treviso. Nei mesi scorsi è stata scelta quella per il 2025: sarà Agrigento che all’ultima curva ha vinto la sfida con le altre nove concorrenti tra cui Roccasecca che nel suo progetto aveva unito un terzo della intera provincia di Frosinone. Per il 2023 come capitale italiana della cultura sono state scelte due città: Brescia e Bergamo. Hanno vinto anche perché la cultura è apertura e loro, molto differenti tra loro, si sono unite. La cultura non è acqua e loro ne hanno da vendere. (Leggi qui: Ha vinto Agrigento, viva Roccasecca).

Improvvisamente dal niente vengono presentate due candidature separate e distinte: Latina e Gaeta. Fermo restando che Gaeta commerciava con il mondo già dall’800 (non milleottocento, ma Ottocento proprio). Che era con Venezia, Amalfi, Ragusa, Ancona, Pisa, Genova e Noli una repubblica marinara di quelle che dominavano il Mediterraneo. Che aveva stazioni commerciali fino al Mar Nero, rifugio di papi, chiese e palazzi di una bellezza unica e teatro di un assedio che fece l’Italia.

Latina, oggettivamente può, oggettivamente, togliersi il cappello e dire “prego” prima voi. Ma la nostra difficoltà culturale, ecco perché perderemo, è quella di non esserci messi insieme. Ma non solo Latina e Gaeta: tutto il Lazio meridionale. Una grande occasione di fare una candidatura comune pontino-ciociara. (Leggi qui: Capitale della Cultura, se la Ciociaria nemmeno ci prova).

La guerra della Luna e chi la nascondeva

Direte ma siamo sempre stati in attrito rivali. Bene: Brescia e Bergamo litigano da secoli per la luna. Mica una cosa di poco conto. Narra la leggenda bresciana che nel tempo dei tempi i Bergamaschi ritenevano la Luna proprietà dei Bresciani. Non solo, ma data la secolare rivalità che li divideva, credevano che la tenessero nascosta e la mostrassero in cielo a loro piacimento. Mal sopportavano i Bergamaschi che si potesse vedere splendere tra le stelle soltanto quando piaceva ai Bresciani di esporla.

Su questa storia ci fecero una guerra, perché tentarono di fare una sortita per “rubare la luna”. L’impresa fallì e il capo dei bergamaschi Brembo propose una intesa. Mi pare cosa saggia correre dai Bresciani a chiedere perdono. Ed a promettere che, nel caso fossero tornati ad esporre in cielo la Luna, noi non avremmo più cercato di rubarla. Che ne dite?

Si dice che i bresciani accettarono e fu loro facile promettere ciò che il corso delle cose rendeva inevitabili. Se lo hanno fatto loro che dovevano spartirsi la luna, perché non possiamo farlo noi. Siamo oltre un milione di persone, abbiamo in “pancia” repubbliche marinare, abbazie, due parchi nazionali.

Città che vanno dalle mura ciclopiche fino ai grattacieli, insieme si potremmo vincere. Ma la città più popolosa e con meno storia è quella che si pensa un isola e non una terra.

Quando ho visto Gaeta per la prima volta

Gaeta Vecchia (Foto © DepositPhotos.com)

Da setino che vive a Latina quando ho visto per la prima volta Gaeta ci ero arrivato dopo un viaggio che mi parve avventurosissimo con la Fiat 1100 guidata da papà. Sono rimasto basito. Il mare, la città con una chiesa che mi parve grandissima. E il forte, la montagna spaccata con le dita della mano del pirata turco che non credeva in Cristo e la montagna si fece burro e lasciò le sue impronte lì per sempre.

Poi da Formia la guardavo e pensavo ai cannoni dell’Italia nuova che aprivano breccia in una Italia divisa che era ferma da secoli. Poi da giacobino e tifoso della libera repubblica romana godevo all’esilio di Pio IX, ma la cappella d’oro ammetterò stordisce. 

Perderemo? Quasi certamente perché siamo chiusi di mente e nella domanda divisa abbiamo confessato la nostra incultura.