Le dimissioni di Zingaretti e l’agenda vuota della politica (di A.Porcu)

Alessio Porcu

Ad majorem Dei gloriam

A Roma giurano che la data decisiva è il 5 novembre. Quel giorno Nicola Zingaretti riceverà un foglietto: lì ci sarà scritto se ha messo in sicurezza i conti del Lazio. Se ha coperto il cratere da dieci miliardi di euro che hanno paralizzato la Regione Lazio negli ultimi undici anni, bloccando le assunzioni, condizionato gli investimenti. Se i numeri su quel foglietto avranno il segno più davanti, il governatore avrà centrato la sua missione.

Molti dicono che quello stesso giorno potrebbe prendere un altro foglio. E firmarlo. E’ la lettera con le sue dimissioni da governatore.

La cosa più giusta. Per due motivi. Il primo. La Regione Lazio che nascerebbe da quel momento sarebbe del tutto diversa da quella degli undici anni precedenti. Sarebbe una Regione risanata, con la possibilità di tornare a progettare. Diventerebbe un Lazio da poter proiettare sullo scenario nazionale. Un nuovo modello: di gestione e di rilancio.

Il secondo motivo. Giusto dimettersi perché a quel punto Nicola Zingaretti avrebbe raggiunto tutti i risultati che aveva promesso in campagna elettorale.

Piaccia o non, ha riaperto gli ospedali che Renata Polverini (insieme a Mario Abbruzzese e Franco Fiorito) avevano chiuso. Ha abbassato l’Irpef regionale: la quota di imposta destinata alla Regione che paghiamo sulla dichiarazione dei redditi. Il Cotral ha nuove corriere. Le norme regionali sono state sfrondate. Centinaia di poltrone sono state segate e la carovana di carrozzoni d’aziende regionali è stata incendiata.

L’opposizione potrà obiettare che se nel 2010 avesse vinto il Centrosinistra gli ospedali li avrebbe chiusi lui, perché era inevitabile. Che l’Irpef l’avrebbe abbassata chiunque perché più sotto di quel debito non si poteva andare e toccato il fondo si può solo risalire. Che il taglio delle poltrone e l’incendio dei carrozzoni erano il minimo. Potrà obiettare che si poteva fare altro, di più e meglio.

Tutta questa è materia per campagna elettorale. Che, pertanto, non interessa queste pagine.

Ciò che interessa è un dramma. Con il quale – il 6 novembre o nella primavera 2018 – dovranno confrontarsi Nicola Zingaretti ed i suoi competitors, Sergio Pirozzi o Giorgia Meloni che siano; Roberta Lombardi o Davide Barillari, qualunque faida a Cinque Stelle vinca la sfida interna.

Il dramma è un’agenda vuota. Desolatamente bianca. Disperatamente senza note.

E’ l’agenda con le tappe per lo sviluppo strategico del territorio. Nicola Zingaretti forse un’agenda ce l’avrà pure. Ma chi lo ha rappresentato in questo territorio no.

Per essere ancora più chiari: dove sta andando la provincia di Frosinone? Cosa vuole essere nello scenario economico, sociale, industriale del Lazio? Quali input hanno dato i nostri rappresentanti, dalla maggioranza e dall’opposizione, affinché il nostro territorio avesse un ruolo? Deve essere un territorio specializzato nella componentistica auto che faccia perno sul colosso Fca che per almeno una decina di anni continuerà a sfornare top car dalle sue linee di Cassino? Se la strategia è questa, perché nell’agenda dei nostri politici non c’è uno straccio di progettualità in questa direzione? Nè di strategie con le quali favorire questo processo? Oppure: la Ciociaria deve essere una perla del turismo nazionale, alternativa alle colline toscane? Allora dove sono le iniziative con cui favorire in maniera organica la crescita degli operatori che già ci sono, attrarre nuovi clienti, mettere in rete ciò che esiste, elaborare strategie che facciano nascere una vera industria del turismo? Vogliamo un distretto dei rifiuti? Nulla di scandaloso: ma dove sono le tappe per costruire un’organizzazione, un’efficienza ed una sicurezza di profilo mondiale?

Ma nulla di tutto questo è nell’agenda. Non sappiamo dove stiamo andando. Nè cosa vogliamo essere. E cosa dobbiamo fare per diventarlo.

C’è di peggio. Il nostro ruolo nello scenario regionale, qual e? Dobbiamo continuare ad essere ed a pensare come un territorio da mezzo milione di abitanti? O vogliamo diventare una discreta potenza raddoppiando la nostra forza? Raddoppiarla non significa che da questa sera tutti all’opera e si fa mezzo milione di bambini: significa che iniziamo finalmente a comprendere che Latina è strategica se vogliamo contare qualcosa a Frosinone. Perché – per riprendere un concetto espresso dal presidente di Unindustria Giovanni Turriziani in una recente intervista al Messaggero – “Se il tuo terreno cresce di valore, aumenta anche quello mio che sta al confine”. Fino a quando Frosinone e Latina rimarranno divise e l’una contro l’altra, Roma continuerà a cannibalizzare le risorse ed a lasciarci le briciole. Fino a quando continueremo a guardare se Latina ha preso un milione di finanziamenti in più o in meno di noi, avremo fatto il gioco di Roma. Il nostro ruolo qual è? Nel futuro che i nostri politici vogliono costruire che Provincia c’è? Quella di oggi o una strettamente connessa con Latina? E cosa si è fatto, si sta facendo, si farà per realizzare l’una o l’altra cosa?

Nell’agenda non c’è scritto nulla. Quindi non sappiamo se faremo questo benedetto collegamento Frosinone – Latina che ci unisca in tempi umani. Oppure se ogni volta sarà come dover affrontare un viaggio.

In quelle pagine non c’è una riga sulla Cisterna – Valmontone. E che ce ne importa a noi? Tanto. Significa rivoluzionare i collegamenti, rendere più breve il tratto, più rapidi gli spostamenti. Più semplice arrivare qui e andare dovunque.

Qual è la strategia per la Sanità? Ancora tutto a Roma e nelle province delle specie di sanatori, dai quali indirizzare nella Capitale tutti i casi più gravi? Oppure un’eccellenza ed un Dea per Provincia in modo da decongestionare Roma e rendere appetibile anche la Sanità dei territori?

Qualunque sia la scelta, l’importante è saperlo. E non avere queste pagine bianche di un’agenda politica vuota.

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