L’elezione di Foschi ed il nuovo segnale per la signora Schlein

"Pericoloso" e propositivo nel Lazio ma didascalico e poco sul pezzo a livello nazionale: l'universo dem che ancora non ha la mira giusta. Come dimostra l'elezione del nuovo Segretario Foschi a Roma

Piero Cima-Sognai

Ne elegantia abutere

Roba da Seo e da trend topic, roba che punta dritta alla giugulare del mainstream. E soprattutto roba che palesa la sua inconsistenza già col fatto che in una manciata di parole ne contiene almeno quattro in inglese figo. È la “roba” con cui, a mezzo di una puntualità disarmante, il Pd di Elly Schlein mette in tacca di mira cose da gogna ideologica nel momento esatto in cui andrebbero messi in indice fatti di tigna. E perciò fa quella che il ragionier Ugo Fantozzi definì passando alla storia una “c….a pazzesca”.

Tigna politica in purezza, tigna da opposizione che agisce, e scomoda. E che ravana nelle pieghe di una maggioranza che, tanto per dire, sul Pnrr ha le ginocchia a grattugiare l’asfalto. Ma lei no, Elly Schlein mette la spunta al caso Facci e si tuffa a carpiato nella broda indignata di una requisitoria etica.

Simpatici ma banali o efficaci e furbi: scegliere

Elly Schlein (Foto: Fred Marvaux © Eu Press Service)

Nulla di male, per carità sennò qua ci fucilano come trogloditi, ma la politica è (anche) altro. La politica è quella cosa per cui devi scegliere se essere Fantozzi o Chuck Barris in Confessioni di una mente pericolosa.

Cioè se devi essere simpatico sulle tue banalità o efficiente sulla tua cazzimma. Ed Elly Schlein pare abbia scelto: lei vuole essere a tema con l’empatia e non a registro con l’efficacia. Un’efficacia che alla segretaria dem è richiesta, no, è ingiunta, da due cose due. La prima è evidente: se sei la “capa” dell’opposizione più strutturata al governo Meloni allora devi fare la “capa” e picchiare dove all’avversario fa più male.

La seconda? Una cosa light, da pannicello caldo. Il Pnrr è una faccenda maledettamente importante e limitarsi a due righe di condanna sulla terza rata è roba da furieri in caserma, non da fucilieri in trincea. Queste sono le ore in cui sul Pnrr l’esecutivo si sta cuocendo a fiamma alta, le ore in cui Raffaele Fitto sta modificando la quarta rata mentre ancora non si vede la terza. Sono le ore famose in cui, secondo una vulgata tutta italiota da genitori spiegoni, sta “passando il treno che passa una volta sola”.

Il nervo scoperto ma non troppo del Pnrr

Raffaele Fitto

E l’Italia è in banchina ad agitare la mano verso la carrozza di coda in doppler acustico con il “controllore Pd” seduto a guardare il panorama. Salvatore Merlo su Il Foglio ha messo a terra (almeno lui) un piccolo capolavoro: “Nei minuti esatti in cui il ministro Raffaele Fitto certificava un drammatico ritardo nell’attuazione del piano per il quale l’Europa forse non scucirà i denari, sapete che faceva la leader dell’opposizione?”. La domanda la lasciamo in sospeso tra gli apici e la risposta la diamo secca: stava ragionando sulla delega fiscale e del caso Facci.

Cioè e nell’ordine: di tasse, roba che per la sinistra è storicamente utile come la kryptonite per Superman dai tempi della Patrimoniale, e di sessismo sciolto. Di una cosa cioè che avrà effetto tra un anno e di una cosa che non ha mai preteso di avere effetti, se non spingere Mattia Feltri ad una imbarazzante difesa del collega notoriamente “tamarro” con le donne.

Oggi, al momento, adesso ed in queste ore invece c’è il Pnrr, ma la Schlein si è limitata ad un mottetto etico senza sugo.

L’esempio che viene dal Lazio e da Roma

Del Pd, di questo Pd qua, stupiscono non solo le iperboli che sembrano fatte apposta per scansare il focus del momento. Quello che mette più magone è il paradosso di un Partito che al vertice è concettuale e vacuo e che invece nei quadri intermedi e territoriali sta sudando sette camicie per diventare pilota, praticone e competitivo. Come nel Lazio, dove con il recente Congresso regionale Daniele Leodori, Claudio Mancini, Francesco De Angelis, Nicola Zingaretti e tanti ma tanti altri hanno lanciato segnali precisi.

Il sunto era in silloge perfetta: “A prescindere da cacicchi e schleiniani. Il Lazio dimostra che oltre le correnti si può andare, senza la necessità di soffocarle. E non è che non ci sia stata una conta vera al congresso che ha eletto Daniele Leodori Segretario Pd del Lazio e Francesco De Angelis presidente regionale del Partito. La conta c’è stata, senza sconti e senza quartiere. Ma anche senza morti. E su quei numeri è stato costruito un nuovo equilibrio. (Leggi qui: Leodori Segretario, De Angelis presidente: come si legge il Pd nuovo).

E nelle ore scorse c’è stata la conferma che esiste un modo diverso di essere Pd all’interno della sua tradizione plurale. Lo ha dato l’elezione del nuovo Segretario Pd di Roma. È l’ultra zingarettiano Enzo Foschi che viene affiancato dalla presidente Giulia Tempesta e dalle vicepresidenti Federica Serratore e Sabrina Giuseppetti. È il segnale che il dialogo interno è ricostruito e funziona. Come primo effetto ci sarà l’immediato stop ai colpi di spillo che ogni tanto venivano assestati al sindaco Pd di Roma Roberto Gualtieri.

Si è arrivati a quel nuovo equilibrio applicando lo stesso criterio del Congresso Regionale. Nei fatti, nessuno si è presentato contro Foschi ma tutti si sono contati lo stesso, presentando una propria lista a suo sostegno. Unità e pluralismo.

Serve la praticità del pallottoliere

Enzo Foschi

Il Lazio e Roma mettono in pratica la loro capacità di auto rigenerazione. Lo dicono i messaggi che escono dai nuovi timonieri. Foschi chiede “una maggiore presenza del Pd ed una minore propensione ai sussurri alle spalle del sindaco”. Mette in chiaro che “La fine del Congresso non rappresenta la chiusura di un percorso, ma l’inizio di uno nuovo dove tutti possano sentirsi protagonisti”.

È nel solco di quanto avevano detto Francesco De Angelis e Daniele Leodori. In pratica: si va dove la strada è dura e puzza, tra la gente e per la gente. E ci si va per fare gli interessi praticoni di una società che vuole leader, non santoni. “Dobbiamo, nel pluralismo e nelle diversità, mettere fine alle contrapposizioni e dare il senso di una linea politica chiara e condivisa. Roba pratica, cioè roba altissima, che però non passa il setaccio di una certa concezione dem sghemba e perdente. Quella per cui se metti il pallottoliere al posto del calamo d’oca ti banalizzi, perdi perlage, e poi l’armocromista ti cazzia perché le tue parole non erano a tono col malva che avevi scelto.

Da questa contraddizione non è ancora nato un contraddittorio serio e verace. E il Pd resta per parte maggioritaria ancora una creatura eterea e insondabile che sceglie i temi un po’ come la Dea Bendata sceglie i vincitori del Superenalotto.

Un Pd sul pezzo, perciò “pericoloso”

La celebre scena di Fantozzi al casinò

In politica è peccato mortale. Lo è perché se c’è una cosa che la politica non perdona a certi politici quella è la stessa cosa che di solito il mestiere non perdona ai giornalisti: non stare sul pezzo. Se l’Italia è appesa ad un Pnrr in modalità Andersen e se il governo che vuoi scalzar via sta appeso a quella modalità di cui è writer allora te devi fare massa e picchiare solo su quello. Picchiare durissimo.

Non come Fantozzi con la corazzata Potemkin, ma come Barris allo specchio nel film sulla sua vita da showman di giorno e spione Cia nonché killer di notte. Il tutto con lo spettro dell’ennesimo rammarico da accasare nel petto di un partito grande che prova a tornare ad essere un grande partito.

E di una leader che farebbe bene a riguardarselo, Confessioni di una mente pericolosa, come una sliding door, non come un destino segnato. Alla bouvette, col tablet, concentrata su quei 20 secondi grandiosi e didattici. “Quando sei giovane le tue potenzialità sono infinite. Potresti fare qualsiasi cosa, potresti essere Einstein. Potresti essere Di Maggio. Poi arrivi ad una età dove ciò che potresti essere va a sbattere contro ciò che sei stato. Non eri Einstein, non eri niente… è un brutto momento”.

E magari brutto anche per chi ti ha votato.