L’inutile lavoro di Giorgia Meloni

Giorgia Meloni ha lavorato per portare il suo Partito verso una vera Destra europea. Ad aiutarla è stata una sinistra concentrata sui simboli fascisti e non sulla rabbia sociale. Tuttavia, i Congressi provinciali in corso rivelano l'ossessione per l'unanimità. Che è cosa diversa dall'unità.

Alessio Porcu

Ad majorem Dei gloriam

A Giorgia Meloni un merito va riconosciuto senza se e senza ma: ha preso un Partito con le solide radici affondate nel terreno della nostalgia per proiettarlo verso una vera Destra europea. Solo Giorgio Almirante e Gianfranco Fini tentarono un’operazione altrettanto ambiziosa, seppure partendo da epoche e posizioni diverse, con traguardi differenti.

Almirante prese il fascismo (cioè quel movimento politico che fu capace di mettere in discussione il suo duce Benito Mussolini) per proiettarlo nel mondo Repubblicano nato dalle macerie del disastro che Mussolini aveva creato nel nome del fascismo. Relegato in un angolo, come tutto ciò che viene emarginato, il Movimento Sociale Italiano ebbe il limite di crescere intorno ad un totem che fosse sintesi della propria rabbia e della propria esclusione.

Fini ebbe la capacità di cogliere il momento ottimale e senza andare troppo per il sottile spalancò le finestre, gettò nella spazzatura orbace e busti, portando tutti a Fiuggi. Restituendo alla Repubblica un terreno sul quale seminare una destra del ventunesimo secolo.

Il turno di Giorgia

Giorgia Meloni

Alla generazione di Giorgia Meloni si deve la genesi del tentativo di rendere concreto quel passaggio. Perché è la generazione che non aveva conosciuto sulla sua pelle il fascismo (quello capace di sedurre e soggiogare una nazione) le sue aberrazioni (se la Costituzione democratica nella quale viviamo è giustamente Antifascista per premessa è conseguenza del fascismo e delle sue aberrazioni). Ne aveva trovato i totem ma aveva davanti un mondo nel quale per quei totem non c’era spazio se non per nostalgiche marcette in tenuta nera.

Il più grande vantaggio per Giorgia Meloni e la sua generazione è stata una sinistra che invece di interrogarsi sulla rabbia sociale che portava ad indossare la divisa scura ed andare a marciare, si concentrava sul colore della divisa e basta. Sbagliava bersaglio quella sinistra, come se si muovesse nell’Italia degli Anni 50 colma di macerie e distruzione che a quelle divise scure andavano attribuite.

L’altro grande vantaggio della fondatrice di Fratelli d’Italia è la profonda incapacità degli italiani di ricordare. E questo le consente di urlare nelle piazze qualsiasi cosa negandola a distanza di poche settimane. Come la questione di queste ore: Giorgia Meloni si è aggrappata con fermezza ad un Euro che fin dall’inizio aveva sempre avversato. Sia chiaro: cambiare idea è segno di maturità. Anche in politica. Era ai tempi dell’orbace che non si poteva cambiare idea “perché chi ci ripensa è cornuto”. Ma una cosa è cambiare idea rendendosi conto che la propria non era corretta. Cosa diversa è negarla.

Unità non è unanimità

Nicola Calandrini

In questo processo di modernizzazione c’è anche un altro grande equivoco. Che sta emergendo dai Congressi provinciali in corso durante queste settimane e voluti con convinzione da Giorgia Meloni. Danno la dimensione di un Partito realmente aperto, scalabile, basato sulla discussione interna. Ma molti degli attuali colonnelli, come ha messo in luce nelle ore scorse il congresso provinciale di Latina, sono ossessionati dall’unità. Guai a dire che ci sono correnti, guai ad evocare la rottura di An consumata sul correntismo. (Leggi qui: Calandrini confermato, la tregua funziona. E leggi anche: Fratelli d’Italia e il primo congresso in clausura: alle 17 giornalisti fuori).

La realtà è che le correnti sono parte della democrazia. Non saperle governare è il vero male, non la loro sola esistenza. E la realtà è che unanimità non è sinonimo di unità. Anzi, in molti casi sono all’opposto. Lo sanno benissimo a sinistra (dovrebbero saperlo) dove i leader non vollero mai vincere il Congresso all’unanimità ma sapeva benissimo che un’opposizione interna è indispensabile. Lo sapeva il Pci dove le decisioni si prendevano sì all’unanimità ma dei presenti: chi non era d’accordo si asteneva o usciva, affinché fosse chiaro che c’era unità ma non unanimità.

Fino a quando Fratelli d’Italia cercherà l’unanimità anziché coltivare l’unità sarà ancora proiettato nel passato. Rendendo inutile tutto il lavoro fatto in questi anni da Giorgia Meloni.