Nico’ dove è finita la Piazza Grande?

Foto: © Imagoeconomica, Stefano Carofei

Il Pd appare immobile di fronte alla paralisi di Lega e Cinque Stelle. Il rapporto con i pentastellati spacca le correnti. Ma c’è soprattutto quella tentazione di combattere il dissenso interno a colpi di deferimenti ed espulsioni che sta spingendo fuori l’area di Matteo Renzi e, forse, quella di Carlo Calenda.

Da una parte il balletto tra Matteo Salvini e Luigi Di Maio, che nasconde la totale paralisi del governo pentaleghista, con un presidente del consiglio, Giuseppe Conte, che oscilla da una parte all’altra e che non ha alcuno peso a livello europeo e internazionale. Dall’altra però un Partito Democratico che rischia di vanificare quei timidi passi avanti registrati alle Europee. Con il segretario Nicola Zingaretti che non riesce né a dettare una linea chiara sul rapporto con i Cinque Stelle né ad allontanare la sensazione di voler aprire una nuova stagione di ultimatum ed espulsioni all’interno del Partito.

Dalle colonne del Corriere della Sera Dario Franceschini ha lanciato l’idea di una specie di nuovo arco costituzionale anti-Lega, che comprenda pure il Movimento Cinque Stelle. Non solo: Franceschini ha sostanzialmente attaccato la “teoria del pop corn”, che avrebbe fatto arrivare Salvini al 35%.

Matteo Renzi e tutti i renziani (compatti) hanno reagito in modo forte: mai nessuna intesa con il Movimento Cinque Stelle e nessuna abiura della teoria del pop corn, che di fatto ha prodotto il dimezzamento di voti proprio dei pentastellati.

Ma la vicenda Faraone in Sicilia rischia di essere la miccia che fa esplodere il Partito. I renziani accusano Zingaretti di volerli espellere tutti proprio per fare un accordo con i Cinque Stelle. Il segretario ha ancora una volta smentito questa ipotesi, ma non lo fa mai in maniera convincente e ultimativa. Al di là delle strategie, però, la sensazione della riapertura della stagione dei deferimenti e delle espulsioni c’è. Per i renziani l’area dei Ds è tornata prevalente rispetto a quella della Margherita.

Poi c’è anche la posizione di chi, come Carlo Calenda, è stretto nei confini gerarchici del Pd. Per Nicola Zingaretti è venuto il momento di declinare Piazza Grande. Intanto all’interno del partito: c’è spazio per dissenso e opinioni diverse e per il confronto oppure l’unica strada è quella di una ennesima scissione, che condannerebbe la sinistra italiana all’opposizione per i prossimi dieci anni?

Lo spirito di Piazza Grande non si respira più. Il Partito ha bisogno di battaglie sui temi civili e sociali, ha bisogno di inclusione e di rispetto delle diversità di opinione. Altrimenti non va da nessuna parte. Fra le altre cose non c’è l’ombra di una coalizione di centrosinistra.

Dove è finita la Piazza Grande di Zingaretti?