Lancia messaggi. Al suo Partito ed al Governo che il suo Partito sostiene. Ma anche all’Europa ed agli avversari, interni ed esterni. Matteo Orfini, presidente nazionale del Partito Democratico, sale sul palco di Left Wing a Fiuggi e traccia la rotta renziana del Pd.
D’ACCORDO CON BERLUSCONI
Inizia con una frase ad effetto. Spiazza tutti quando dice «Per una volta sono d’accordo con il presidente Berlusconi». Perplessità tra i presenti. Poi la frase continua «noi siamo alternativi alla destra, a Silvio Berlusconi. Lo siamo sempre stati». E se qualcuno avesse ancora dubbi, Matteo Orfini aggiunge «Andremo in campagna elettorale per battere Berlusconi e Beppe Grillo. Poi cercheremo di governare il Paese con il centrosinistra. Ma soprattutto cercheremo di avere i numeri per governare con la forza del Partito Democratico».
TOGLIATTI E GLI SCACCHI
Alle sue spalle, campeggia una grafica che riproduce Palmiro Togliatti. Mentre gioca a scacchi. Nulla di più emblematico. E nulla di più evocativo in questa mattinata fiuggina. Sembra studiato apposta per calamitare l’attenzione di un popolo che invece è in allontanamento dal Pd perché non dice più cose di sinistra. «Questo Paese è pieno di gente che dice cose di sinistra – rilancia Matteo Orfini ad Alessioporcu.it – noi le stiamo facendo da anni con impegno, con l’azione di governo, con la fatica delle riforme. E lo continueremo a fare. Vediamo cosa diranno gli altri. Non abbiamo bisogno di dimostrare di essere di sinistra a nessuno».
Sarà, ma le cronache parlano di una diaspora, di un’emorragia costante. Gente che non considera più il Pd la propria casa perchè è poco di sinistra. Matteo Orfini non ci sta e consegna quelle che per lui sono le prove del contrario: «Il Paese si è rimesso in moto grazie alle riforme messe atto dal Partito Democratico, sono dati non sono opinioni. Noi continueremo a fare questo e fare investimenti per rilanciare l’occupazione, lo sviluppo e la crescita e rendere l’Italia più giusta. Altri parlano, noi lo stiamo facendo».
IL FU D’ALEMA
Tra quelli che se ne sono andati da questo Pd c’è l’ex leader Maximo. «D’Alema non è più D’Alema da quando ha iniziato a costruire un nuovo partito con chi aveva sempre combattuto». C’è quasi del rammarico nel tono del presidente nazionale Pd. Si nota un tono di sofferenza. Forse perchè c’è stato un tempo in cui Matteo Orfini militava nelle file di Massimo D’Alema.
Spiega, «Io ero dalemiano ma non lo sono più stato nel momento in cui me lo sono ritrovato a fare un forum sul Manifesto sulla sinistra con Asor Rosa ed altri, in nome della sinistra radicale. Con Asor Rosa io ci litigo, non penso di farci una cosa insieme, perché quella sinistra è la negazione della sinistra riformista che mi ha insegnato D’Alema».
SCISSIONI ORGANIZZATE E AVVENTATE
«Se qualcuno va via dal Pd dispiace. Ma c’è qualcuno che ha organizzato le scissioni perché a sinistra immagina che provando a dividere, liquidare, distruggere il Pd, nascerebbe una sinistra più forte e radicata. Il risultato è opposto: si è trattato di scissioni di ceto politico, il Pd è ancora qui forte e radicato, enormemente più di chi se n’è andato. Quella scelta già la stanno rivalutando: si sono spinti troppo avanti».
Orfini aggiunge «Sono usciti dal Pd e continuano a parlare sempre solo del Pd: evidentemente gli manca. Se hanno cambiato idea e vogliono tornare lo dicano, ma sulla scelta di fondo non si può tornare indietro. Chi lavora a indebolire il Pd lavora per le destre».
Il presidente del Pd dice basta a questo confronto logorante. «Io non tratto male nessuno, non tratto. Non partecipiamo più a questa discussione. Ci sono leader di altri partiti che ogni giorno chiedono di coalizzarci con noi mentre insultano il Pd. Non posso parlare per mesi di un leader politico che il paese non riconosce come tale perché qualcuno, un editore, ha deciso che devo farlo».
CHI PUGNALO’ LETTA
Sull’altra poltrona, nel palco di Fiuggi, c’è lo storico Donald Sassoon. La politica gli interessa ma per spiegarla e raccontarla ai posteri. L’occasione di avere Matteo Orfini a portata di microfono è troppo ghiotta. Così gli chiede come andò veramente con la congiura che mandò Enrico Letta via da Palazzo Chigi, poco dopo il celberrimo “Stai sereno” pronunciato da Matteo Renzi.
La versione di Matteo Orfini coincide con il nuovo racconto di Renzi. «Ha ragione Renzi nel dire che fu la minoranza a chiedere di sostituire Letta a Palazzo Chigi. Io allora ero nella minoranza, ricordo che facemmo una riunione con Pierluigi Bersani e chiedemmo un cambio di passo».
Letta nei giorni scorsi, ha commentato questa ricostruzione definendola ‘un caso psichiatrico’ Orfini aggiunge altri dettagli. «Chiedemmo a Letta discontinuità per restare, una discontinuità che passava anche dalle politiche economiche. Ci fu detto di no e noi chiedemmo al segretario di andare a Palazzo Chigi. Renzi, con un ministro proveniente dalla sinistra come Padoan, ha segnato quella discontinuità sulle politiche economiche e ha fatto un notevole passo avanti. Questo ci ha consentito non solo di ottenere qualche risultato, per cui ci avviciniamo alla legge di stabilità un po’ più tranquilli, ma di dimostrare che la battaglia per cambiare l’Europa e il Paese la può fare una sinistra riformista».
LE ALLEANZE? DOPO
Donald Sassoon lo incalza sulle vittorie che non arrivano. E quindi su un popolo che non crede ai messaggi del Pd. Matteo Orfini risponde «Dovere della sinistra non è perdere bene ma vincere le elezioni: non ci è riuscito spessissimo nella storia della sinistra, ma quando ci è riuscito ci è piaciuto. Corbyn ha perso bene ma non ha vinto».
C’è però una novità nel vocabolario orfiniano – renziano. Ad intordurla forse sono stati i recenti sondaggi, secondo i quali il Pd da solo non andrà da nessuna parte. La novità lessicale è: «Un Pd che ha più disciplina funziona meglio ma non bisogna espellere nessuno, anzi allargarsi, far il grande Pd».
Se qualcuno pensa che sia un segnale di apertura verso i fuoriusciti, dopo poco arriva la precisazione. «Perché devo passare 8-9 mesi a discutere con D’Attorre, Fassina, Pisapia, Fratoianni, Bersani, D’Alema, di quanto ci vogliamo bene? Non interessa agli italiani. E’ una enorme e grottesca perdita di tempo. Ognuno si organizzi per le elezioni, vedremo chi arriva in Parlamento».
Ognuno per fatti suoi? Si, ma per vedersi dopo e garantire la governabilità. Insomma, Orfini vuole evitare che il Pd possa essere scambiato per un taxi politico sul quale salire. Per scendere alla prima fermata, una volta attraversate le rapide delle elezioni. «Col proporzionale si parla di alleanze dopo il voto, ora rafforziamo il Pd: da quando discutiamo di coalizioni e centrosinistra nel Pd abbiamo iniziato a prenderci a mazzate, prima andavamo d’accordo…».
Ancora più chiaro. «Non è che non voglia parlare con le persone però andiamo alle elezioni col proporzionale e in nessuna parte del mondo con il proporzionale si decidono le coalizioni prima delle elezioni»,
Aggiunge Matteo Orfini «Noi domani incontriamo i sindacati, chiediamo agli italiani di confrontarci, chiediamo a tutti di darci una mano e votarci. E’ questo quello che dobbiamo fare nei prossimi mesi. Gli altri facciano lo stesso. Ma perché io, che sono il presidente del più grande partito della sinistra europea e spero di mantenere dopo le elezioni questo primato facendo anche meglio del 30%, devo passare 8-9 mesi a discutere con D’Attorre, Fassina, Pisapia, Fratoianni, Bersani, D’Alema?” E’ chiaro che poi facciamo un governo con chi ci è più vicino culturalmente. Ma per evitare le larghe intese non devo allearmi con qualcuno, devo rafforzare il Pd. Decidiamoci a costruire un Pd più forte, un grande Pd, e facciamo questo per nove mesi, poi discutiamo delle alleanze il giorno dopo, allora capiremo come dare un governo a questo Paese.
MIGRANTI? HOTSPOT SERVONO
La cronaca è piena di immagini e foto che parlano della nuova ondata di migranti che preme sulle coste italiane. I sindaci si oppongono, ad ogni latitudine. E Matteo Salvini soffia sul fuoco. Matteo Orfini non si nasconde e dice «Abbiamo il dovere di salvare chi rischia la vita in mare, anche se non possiamo accogliere tutti quelli che arrivano. Gli hotspot, i punti di accoglienza, servono poi a dislocare quelli che arrivano in altri luoghi ed è importante averli per verificare i numeri e chiedere poi aiuto all’Europa e a tutti quanti».
Il riferimento è al caso di Civitavecchia dove sindaco e abitanti si stanno ribellando alla possibile istituzione di un hotspot: «Non ci devono essere allarmi o preoccupazioni, tutto verrà discusso con le amministrazioni».
«Si è provato a imporre in Italia un’agenda di destra. Oggi Meloni va a Civitavecchia a sbraitare contro gli hotspot, ma noi continuiamo a dire che sentiamo l’obbligo morale di salvare tutti quelli che rischiano di morire e insieme che non possiamo sentirci in obbligo morale di accogliere tutti. . “Non dobbiamo lasciare la sicurezza alla destra: diamo una risposta di sinistra a un problema che c’è nella società”, chiedendo anche l’approvazione dello ius soli».
FISCAL COMPACT? LO IMPOSE BERSANI
C’è poi il tema dei vincoli di bilancio. E degli accordi sui conti, legati alla nostra appartenenza alla Ue. Tradotto in una sola espressione: Fiscal Compact. E’ l’accordo sottoscritto da 25 dei 27 stati membri dell’Unione Europea, che vincola a rispettare una serie di regole per il contenere il debito pubblico, puntare al pareggio di bilancio.
Il dibattito a sinistra è acceso. Soprattutto con l’ex segretario Pierluigi Bersani. «Se a criticare la posizione di abolire il fiscal compact sia lo stesso che ci ha fatto votare il pareggio di bilancio in Costituzione senza neanche farci discutere in direzione, non lo prendo sul serio. Non è credibile chi critica la nostra posizione, dopo aver fatto votare il fiscal compact in Parlamento. Oggi non accetto che Bersani o chi per lui mi dica che sono di destra, perché il fiscal compact ce lo ha fatto mettere lui».