Ottaviani: le bacchettate di mamma prof, i tre anni di russo, il vuoto di Ireneo

Il Nicola Ottaviani che non ti aspetti. Al quale la mamma prof. toglie il tennis per farlo studiare di più. E lui impiega quel tempo per fare politica. Gli anni trascorsi a studiare il russo. Un democristiano nella Lega. Che gioca ad asso pigliatutto. Il vuoto lasciato da Ireneo

Di lui dicono che sia testardo, istrionico, costantemente impegnato a costruire il suo mito per poi superarlo: c’è del vero. È una persona che ha cominciato fin da giovanissimo a fare politica. E, quando aveva tolto da poco i calzoncini corti, un Sottosegretario di Stato partì da Mosca per parlare con lui e confrontarsi con lui. E guarda caso, lui, democristiano, ha studiato per tre anni il russo. Non si sarebbe mai detto di Nicola Ottaviani, sindaco di Frosinone e Coordinatore Provinciale della Lega.

Sindaco quando torna a casa la sera, la notte, preferisce rilassarsi con che cosa? Un libro? Un film? Ascoltare la musica?

In realtà, con la Rassegna Stampa. Preferisco leggerla a notte tarda o alla mattina presto in modo tale che così non si viene neppure troppo influenzati. In questo modo, una volta che si legge quello che è avvenuto durante il giorno si porta avanti la proiezione su quello che può avvenire il giorno dopo

Quindi… paradossalmente mi rilasso continuando a lavorare fino a quando poi, si arriva a toccare il letto con una mano. 

È un modo per tentare di superare se stesso… Ed essere sempre davanti agli altri, sapendo le cose prima di loro… È in costante competizione…

In realtà, ciò che è utile leggere soprattutto a tarda serata o nelle prime ore del mattino, non è tanto la notizia in sé, la notizia cruda e nuda, l’ hic et nunc, ma è il corsivo o l’editoriale

Spesso però con tutto quello che riguarda i media e l’era digitale o lo short message c’è la possibilità soltanto di soffermarsi sulla porta della notizia, senza andare oltre, senza entrare all’interno della stanza per avere una cognitio plena, quindi una cognizione piena, di quello che è effettivamente avvenuto

Le bacchettate della mamma prof

Nicola Ottaviani
Però si rende conto che lei, in questo modo, è come se non si rilassasse mai? Come se avesse paura che qualcuno potesse raggiungerla. 

No, in realtà credo che tutto questo derivi anche da un’impostazione… forse… materna. Ricordo questo: mia madre (quando avevo a quattordici anni), donna che io, naturalmente, adoro non soltanto per avermi messo al mondo, ma per avermi dato delle indicazioni importanti da seguire. A quattordici anni, quando iniziai il liceo, il quarto ginnasio, mia madre mi disse: “Adesso ti devi concentrare ulteriormente sullo studio e quindi lasciamo un pò da parte il tennis, lo sport”

Detta, una cosa del genere, oggi comporterebbe, sicuramente, l’intervento dei servizi sociali però, quaranta anni fa, anzi quasi cinquanta anni fa ormai, quel tipo di impostazione era l’impostazione di un’ Italia che voleva formare, necessariamente e doverosamente, i propri giovani, i propri ragazzi, gli studenti. Anche, probabilmente, andando oltre quello che questi giovani potessero dare.

Sua madre e suo padre cosa facevano in casa?

In realtà io vengo da una famiglia, normalissima, di impiegati. Mia madre è stata, fino al momento in cui è andata in pensione, un’insegnante di educazione tecnica. E quindi, quando si tornava a casa, dopo lo studio, c’era la seconda interrogazione, che era quella della madre che cominciava con le proiezioni ortogonali. Fino a tardo pomeriggio, anzi, possiamo dire, fino a serata tarda, portava avanti la seconda interrogazione che era quella “di complemento”, non di completamento. 

Di complemento perché tutto quello che poi non avevamo ricevuto sostanzialmente dagli insegnati, e non erano soltanto promozioni o parole positive, lo ricevevamo a casa io e mio fratello, direttamente da mia madre. 

Papà Ottaviani invece?

Lui, per una vita, si è occupato di Poste, di sindacato. Anzi, anche dopo la pensione, è stato sempre un fervido sostenitore di quelli che erano i diritti dei lavoratori. 

Il gene della politica

Da chi dei due ha ereditato il gene della politica? 

A casa mia di politica si è sempre parlato. Soprattutto da ragazzo, perché quello era il momento in cui, negli anni Settanta, l’Italia davvero portava avanti quello che era il confronto. E quindi c’era una volontà di crescere a trecentosessanta gradi. 

Soprattutto c’era l’orgoglio vero dell’italianità. Orgoglio che non passava soltanto per la vittoria ai mondiali in Spagna, che non passava soltanto per quelle manifestazioni di carattere anche sportivo, come la Formula1 con la Ferrari, ma solo la possibilità di appartenere ad un G7, ad un G8 e parlare dell’Italia.  Quell’Italia che, in qualche modo, risultava anche battuta durante la Seconda Guerra Mondiale, quell’Italia alla quale venne abbonato quello che era l’ indebitamento di guerra e potersi sedere al tavolo dei grandi. Ecco: quel tipo di sentimento la società civile lo trasmetteva anche a noi giovani, eravamo fieri e orgogliosi pian piano di crescere all’interno di un contesto, che era un contesto osservato, questo forse è il termine più giusto a livello internazionale.

Quindi, ad un certo punto, mamma dice: “Nicola, mi raccomando, adesso devi studiare per bene quindi basta tennis, basta la piscina, basta queste distrazioni”. Forse un pò di tempo le era avanzato, tra lo studio e le interrogazioni di complemento, perché, ad un certo punto, lei si infila dentro una sezione di Partito: quella della Democrazia Cristiana. 

Sì, in effetti, cercai di seguire alla lettera quelle che erano le indicazioni materne perché smisi quello che era lo sport, e quindi dovetti cessarlo per un pò di tempo per poi rinviarlo a qualche decennio più avanti in modo molto amatoriale, dilettantistico per non dire quasi da frana, tanto per essere chiari. 

E però, dato che quell’indicazione non era un’indicazione che escludeva la possibilità di portare avanti volontariato o associazionismo, iniziai non soltanto io, ma all’epoca anche mio fratello e tanti nostri coetanei, iniziammo a frequentare le sezioni del Movimento Giovanile della Democrazia Cristiana. 

Che cosa ci trovavate nelle sezioni del Movimento Giovanile? Perché insomma, c’è chi racconta: “ Io decisi di andare nelle sezioni del PCI perché c’era il tavolo da ping pong”, altri dicevano: “No, io andavo nel Movimento Giovanile della DC perché c’era la televisione”. Nicola Ottaviani perché ci andava?

Perché c’erano maestri di vita. Che, venendo fuori da un’Italia che aveva l’obbligo della ricostruzione, e soprattutto, aveva l’obbligo di una proiezione, di dare una speranza, di dare un futuro a quei giovani, a quei ragazzi, ecco: c’erano dei maestri di vita che non erano soltanto docenti, erano insegnati, nel senso etico e morale più importante dell’accezione. 

L’esempio di Dante Spaziani

Quali maestri ha incontrato in quelle sezioni della DC?

Per esempio, ho incontrato tanti ex sindaci della città di Frosinone. Sindaci come l’amico Dante Spaziani che sacrificò la sua azienda, è bene ricordarlo, per non fare soltanto politica, ma per portare avanti la stessa squadra di calcio. Ricordo quando tanti chiedevano a Dante: “Ma perché lo fai? Perché spendi soldi appresso alla squadra di calcio? E perché rischi addirittura di chiudere l’azienda, trascurando quelli che possono essere poi degli interessi di carattere personale?”. E Dante diceva: “Perché io mi sento di essere ciociaro fino all’osso”. 

Ecco: questo è un altro elemento che abbiamo sviluppato nel corso degli anni e che abbiamo definito come la “ciociarità”. Cos’è la ciociarità? E’ qualche cosa di diverso dal territorio, è un modo di essere, un modo di sentire, un modo di portare avanti quello che è l’orgoglio e l’identità di un territorio, ci mancherebbe altro, che non è secondo a nessuno. Un territorio che, è bene ricordarlo, trae le sue origini dai Volsci, quindi, trae le sue origini da un popolo che riuscì a dare scacco matto a Roma. 

Non andiamo così lontani. In questo Movimento Giovanile della DC comincia a prendersi, forse, un pò troppo sul serio perchè un trafiletto, fine anni Ottanta, inizio anni Novanta, sul “Tempo”: “Nicola Ottaviani, Segretario del Movimento Giovanile della Dc di Frosinone”. Un Sottosegretario di Stato agli Esteri, all’epoca gli Esteri erano una cosa seria, come Vitalone, prende l’aereo da Mosca, atterra a Ciampino e da Ciampino si fa accompagnare in macchina a Frosinone per confrontarsi con Nicola Ottaviani. 

C’è una piccola variante in tutto questo che è rappresentata da quella giornata, che fu una giornata storica importante, del Comitato Provinciale del partito della Democrazia Cristiana. A quel comitato prendeva parte anche il delegato giovanile, quindi non c’ero soltanto io, ma c’erano venti o trenta persone che provenivano da estrazioni diverse, sotto il punto di vista sociale, economico, anche culturale. 

Ma lì, come ricordava lei prima, che cosa avvenne: un Sottosegretario di Stato agli Esteri, quando Giulio Andreotti era Presidente del Consiglio, quindi di fatto era il plenipotenziario di tutta la politica estera del Paese, prese il Falcon, prese l’aereo di Stato, per arrivare a Frosinone in serata perché doveva confrontarsi con quelli che erano gli stakeholder che, a livello provinciale, rappresentavano il territorio, rappresentavano le istanze, le esigenze, le problematiche di un territorio. 

Questo significa che in quel momento storico, stiamo parlando degli anni Novanta, fine anni Ottanta, inizio anni Novanta, la politica doveva mediare. E, soprattutto, il politico doveva essere in grado di interpretare, da una parte, quelle che erano le grandi tematiche internazionali. E, dall’altra, quelle che erano le problematiche che riguardavano l’ultimo dei commensali seduti in un determinato tavolo, dove venivano però rappresentate le problematiche non solo della Fiat di Cassino, ma dell’ultimo dei sub-fornitori della Fiat di Cassino, che magari aveva la piccola azienda ad Arce, o a Ceccano, o nella periferia di Frosinone.

Gli anni della Lega

Quanti anni aveva all’epoca Nicola Ottaviani?

Beh, stiamo parlando di sedici, diciassette anni.

Uno che a sedici, diciassette anni si confronta con il Sottosegretario agli Esteri, che risponde al nome di Claudio Vitalone, quando è arrivato a cinquanta anni e deve confrontarsi con la direzione provinciale della Lega ha un certo scoramento? 

La prendiamo naturalmente come una punzecchiata del direttore…

Credo che la Lega si sia strutturata e si stia strutturando ulteriormente. Perché oggi quello che rappresenta il primo Partito, ha comunque un traino importante per una coalizione di centro-destra che vuole, che pretende, di guidare il Paese da qui a un anno. 

Ma un democristiano che ci fa nella Lega? 

Io credo fermamente che, oggi, non solo la Lega ma tutto il centro destra possano giocarsi una partita importante, che è quella, comunque, di un progetto unitario. 

Da qui a due anni, un anno e mezzo se non si dovesse andare a votare prima perché tutto passa per le decisioni che prenderà Draghi a febbraio. E quindi, o dopo la prossima primavera, o dopo quella successiva, ci sarà la necessità di portare avanti una nuova ingegneria sociale di questo Paese

Il centro destra mi sembra che questa proposta l’abbia ben chiara.

All’interno di quella che dovrebbe essere poi la coalizione antagonista, la colazione che va dai Cinquestelle per finire a Leu, passando per il PD, mi sembra che, ancora oggi, le idee siano molto, molto diverse. 

Guardiamo quello che è successo su Roma, alle elezioni comunali di Roma, dove si presentavano con schieramenti assolutamente antitetici, poi, tra il primo e il secondo turno, ci hanno fatto credere che si potesse portare avanti una convergenza su come amministrare quella che era la prima città del nostro Paese e della nostra penisola.

Asso pigliatutto

(Foto: Stefano Strani)
E’ vero che il gioco che lei preferisce è quello dell’ asso piglia tutto? Perché le contestano in questa amministrazione e in quella precedente: “Per dieci anni le carte le ha date soltanto lui, nessuno ha potuto dirgli niente perché poi le cose in realtà le faceva”. Nel confronto che adesso sta provando ad accendere Fratelli d’Italia, immediatamente tutto il mazzo se l’è preso Nicola Ottaviani, dimostrando che è sempre lui poi a dare le carte, anche in casa d’altri.

Se c’è qualcosa che detesto è dare la responsabilità agli altri e dire “No, ma questa è materia di competenza dell’altro” oppure “Questo non mi compete”. 

Ecco, questo modo, un pò antico, di concepire quelle che sono le istituzioni, sicuramente non mi appartiene. 

Magari si può dire che, in qualche caso, Nicola Ottaviani si è sobbarcato di compiti e anche di responsabilità che non erano le sue. Ci mancherebbe altro, ma non si sarebbe riusciti ad ottenere nulla.

Ad esempio?

Io ricordo, ad esempio, soltanto quella che è stata la vicenda relativa all’acquisto del teatro comunale Nestor. Sì, lì abbiamo fatto un operazione all’epoca che era un’operazione azzardata sotto il punto di vista delle responsabilità, ci mancherebbe altro.

Perché? Che cosa è avvenuto? C’era l’asta immobiliare, il teatro Nestor, uno dei teatri storici del Lazio, andava all’asta e rischiava di essere comprato da gente che non era neppure del territorio e trasformato, quel teatro, in un supermercato. Non c’era tempo per convocare il consiglio comunale. Anche se, in realtà, la normativa, il Testo Unico sugli Enti Locali, su questa parte è molto chiaro e dice che l’atto è di consiglio comunale, l’acquisto di un bene immobile.

Ma se avessimo fatto passare del tempo, non solo non avremmo preso parte all’asta, ma se avessimo votato quella pratica direttamente come consiglio comunale, ad orbe terrarum, quindi, tutti, avrebbero saputo che il Comune rispondeva all’asta e il prezzo sarebbe schizzato alle stelle. Quindi, che cosa abbiamo fatto? Abbiamo portato avanti una delibera di giunta, da ratificare successivamente in consiglio comunale. Quindi abbiamo fatto un acquisto con una delibera di giunta. Se il consiglio comunale non avesse ratificato quella delibera, io mi sarei trovato ad essere acquirente in via diretta e personale, essendo costretto anche a staccare gli assegni, per l’acquisto di un teatro.

Ricordo che quella sera tornai a casa e dissi ai miei figli: “Guardate, vostro padre non è detto che vi lasci qualche cosa in futuro. Per certo, nella peggiore delle ipotesi, vi lascia un teatro”.

Il russo per leggere la Pravda

Ma è vero che per tre anni ha studiato il russo?

Sì, quella è stata una bella esperienza, ai tempi dell’università.

Ma perché il russo?

Il russo fa parte sempre di quella volontà di varcare le Colonne di Ercole, quindi di uscire fuori in mare aperto e vedersela anche da soli, se la metafora può essere stringente. 

Stiamo parlando di un periodo antecedente al 1989 quando la Russia non era la Russia, era l’Unione Sovietica, era l’Unione delle Repubbliche Socialiste Sovietiche e per uno come me, che veniva dall’Occidente, che veniva tra l’altro da un Partito Cattolico e Democratico, la Russia rappresentava una sorta di avversario. 

Però volevo vederci chiaro e quindi mi misi in testa di leggermi da solo la Pravda, perché volevo non interpretare il mondo russo tramite gli occhi dell’Occidente, ma volevo leggerla direttamente. E allora grazie al centro del professor Carpitella, in Via Quintino Sella a Roma, la sera, uscendo dall’università alle 19, per tre volte alla settimana, fino alle 21, le 21 e 30, andavamo, non solo io, ma anche altri colleghi, a seguire questi corsi di lingua e cultura russa fino ad arrivare a leggere decentemente la Pravda e a capire noi, direttamente, che cosa avveniva oltre Cortina. 

Era un desiderio di conoscenza, era uno stimolo anche importante a crescere. Ricordo che all’interno di quel centro, proprio perché c’era il Muro di Berlino, le telecamere erano presenti addirittura all’ingresso della stanza da bagno perché si doveva sapere chi entrava e chi usciva. 

L’esempio di Ireneo

Chi era Ireneo Ottaviani?

Beh, entriamo su… profili personali di una certa rilevanza… insomma è stato uno stimolo enorme alla crescita.

Mah… io credo che dai grandi dolori poi nascano, o possano nascere, delle buone opportunità per chi vive in un territorio, per chi non si conosce anche. 

Purtroppo a 23 anni, 9 mesi e 15 giorni, dico sempre a me stesso, venne meno mio fratello, a seguito di una patologia che oggi non è curabile, ma è sicuramente altamente aggredibile. 

A seguito di quella perdita per una leucemia molto molto seria che all’inizio sembrava potesse essere sconfitta, ma purtroppo così non fu, la settimana dopo, quindi ad appena sette giorni, venni ricevuto dal professor Mandelli che, insomma, fino a qualche anno fa, fino a quando è venuto meno, è stato davvero il luminare in Italia sulla materia dell’ematologia, sulla materia delle leucemie. 

Gli dissi: “Professore, noi vorremo metterci comunque a disposizione. Vorremmo fare qualche cosa, perché in qualche modo una vita che viene spezzata, una vita che viene meno, possa lasciare un segno all’interno della società e possa essere utile alle vite degli altri”. 

Il Professore disse: “Ma, a Frosinone non c’è un centro di ematologia, a Frosinone siete stati costretti per tanti anni a venire da me, ad alzarvi alle cinque del mattino per arrivare alle sei e trenta del mattino al Centro di Via Benevento, il centro di ematologia, per una mera trasfusione”. 

Calcoli direttore, che quindi, stiamo parlando di trenta anni fa, erano costretti, i cittadini di tutta la provincia di Frosinone, mezzo milione di persone, se aveva, se avesse avuto problemi ematologici, doveva spostarsi con la transumanza del dolore, così noi la definivamo: al mattino presto aspettare lì fuori il turno per fare una mera sacca di sangue o per fare una sacca di chemioterapia.

Franco Mandelli
Quel grande dolore che cosa ha portato a Frosinone?

A quel punto, a quel punto, il Professor Mandelli dice: “Guardate, se riuscite a creare qualche cosa di valido in città, e quindi in collaborazione con l’ospedale, io posso mandare da voi la Professoressa Luciana Annino”. 

Luciana Annino era la numero due di ematologia, e quindi del Centro di Via Benevento. E… pensavamo quasi che fosse una sorta di iniezione di fiducia e che poi rimanesse lì. Invece il professor Mandelli mantenne la parola e appena iniziammo con l’associazione, che poi ha portato il suo nome, riuscimmo a mettere insieme una serie di volontari, con i quali volontari, ancora oggi, dopo trenta anni, viene finanziata una parte dell’ematologia. 

Ma soprattutto, la cosa più importante è che dopo un anno, un anno e mezzo da quel momento, si aprì la prima cellula, per utilizzare una metafora, dell’ematologia in provincia di Frosinone, con Luciana Annino che iniziò con le chemioterapie

Per noi fu quello un momento di rinascita importante che ancora oggi si cerca di portare avanti con tanti suoi amici, con tanti anche compagni di scuola dell’epoca, perché oggi l’ematologia non solo grazie a questi volontari, ma, devo dire, grazie ad una serie di professionisti meravigliosi che continuano a lavorare e che hanno lavorato anche durante il periodo del Covid all’ospedale di Frosinone e nelle altre sedi periferiche della nostra provincia, l’ematologia è divenuta un centro di eccellenza: siamo ad un passo dall’effettuare, pensi direttore, i trapianti. 

Telefonami tra vent’anni

Come pensa che la ricorderanno fra venti anni?

Come uno che si è rimboccato le maniche per il proprio territorio e che lo ha fatto non per il territorio degli altri, ma per il territorio nel quale vive.