Poco… Amato, sugli algoritmi la spunta un francescano che insegna ad Anagni

La reprimenda di Meloni al "Dottor Sottile" e il suo dietrofront dalla Commissione in favore di padre Benanti del Leoniano

Piero Cima-Sognai

Ne elegantia abutere

Diciamoci la verità senza essere pelosi: che Giorgia Meloni fosse distante mille miglia da Giuliano Amato a prescindere dalle ultime esternazioni di Amato non è mai stata una novità. Il “Dottor Sottile” rappresenta, per battage, curriculum e visione dell’impalcatura dello Stato un personaggio agli antipodi della visione della premier. Con questo preambolo non sarà difficile capire cose sia davvero successo con la rinuncia di questi giorni dell’ex presidente del Consiglio alla presidenza della Commissione algoritmi. Su quel tema e su quel ruolo Amato era stato l’oggetto (decisamente irrituale) della più grande campagna perculatoria di fine 2023.

In molti si erano chiesti, alcuni senza eleganza alcuna, come facesse a capeggiare un organismo tutto proteso sul futuro un totem vivente del passato. Il distinguo era tutto sul grip hi-tech dell’intelligenza artificiale e delle sue implicazioni sull’editoria attiva e su un uomo abbastanza avanti con gli anni da dire la sua sul caso Moro. Ma prima il timing: al Corsera Amato aveva annunciato di aver mollato la Commissione e lo aveva fatto all’indomani della conferenza stampa di ‘inizio anno’ di Meloni.

Il casus belli e la Corte Costituzionale

Giuliano Amato (Foto: Sergio Oliverio / Imagoeconomica)

C’era stato un casus belli e il vertice dell’organismo creato apposta istituito per studiare rischi e opportunità settoriali legati all’intelligenza artificiale era saltato. Il clima era quello per cui a saltare era stata una testa già in bilico, più che il ruolo funzionale. E nel dare l’annuncio Amato si era messo a metà strada esatta tra “ciao core” e “non sapete che vi perdete”. E aveva detto: “E’ una commissione della presidenza del Consiglio, e visto che la mia nomina non risulta essere un’iniziativa della presidente del Consiglio lascio senz’altro l’incarico. Peccato, ci perdono qualcosa, ma a me semplificherà la vita”.

Insomma, quello che Giorgio Forattini tratteggiava causticamente come Mikey Mouse non aveva rinunciato a replicare nel merito di quel che gli si contestava quando di merito non c’era bisogno. E se ne era andato senza sbattere la porta ma neanche senza fare il Fantozzi di fronte al Megadirettore.

Cosa ha avvelenato i pozzi in Commissione

Ma cosa aveva avvelenato i pozzi sulla nomina oltre il pregresso tra premier e già premier? Un’intervista a Repubblica che aveva scatenato una mezza reprimenda di Meloni durante la conferenza di fine anno spostata ad inizio anno per malattia della stessa. Amato, che è di casa alla Consulta e che l’ha guidata, aveva espresso dubbi e preoccupazioni per il 2024. Erano stati dubbi formali con la Polonia come esempio ma in un’Italia polarizzata al massimo la forma è contenuto.

Perciò il solo fatto che Amato avesse alluso al rischio che le Corti Costituzionali fossero additate come nemiche della collettività aveva scatenato putiferio e rappresaglia verbale. Amato aveva precisato: “Ho evidenziato un altro problema, come sa chi ha letto davvero l’intervista. Ho parlato dell’accoglienza delle decisioni della Corte, chiunque l’abbia eletta. E ad oggi in Italia non è mai stata la Presidente del Consiglio a porre questa questione. Hanno cominciato altri esponenti della sua maggioranza, ma non lei.

La rappresaglia verbale di Giorgia

Giorgia Meloni

Meloni aveva giocato due match: di fioretto in preambolo e di sciabola in prologo. Sulla commissione aveva messo le mani avanti. “Credo si sappia che non è stata una mia iniziativa e ho detto tendenzialmente quello che pensavo ma al di là di questo, non ho nulla da dire nello specifico al professor Amato, sono rimasta francamente basita dalle dichiarazioni che riguardano la Corte Costituzionale. La polpa? “Si pone il problema perché entro il 2024 il Parlamento, che oggi ha una maggioranza di centrodestra, deve nominare 4 giudici della Corte Costituzionale, quindi ci sarebbe ‘il rischio di una deriva autoritaria’.

Poi la stoccata: “Questa idea per cui quando vince la sinistra deve poter esercitare tutte le prerogative e quando vince la destra no, temo necessiti di alcune modifiche costituzionali”. Il Ka-bum finale aveva fatto rumore: “Credo sia una deriva autoritaria pensare che chi vince le elezioni non abbia le stesse prerogative della sinistra”. Anche un paracarro avrebbe capito che Meloni aveva volutamente “caricato” su un caso singolo per ottenere un risultato che andava oltre quel caso e che stava in nicchia di scarso gradimento da tempo.

Il frate nerd al posto del dottor Sottile

Paolo Benanti (Foto: Sergio Oliverio © Imagoeconomica)

Il guaio è che per disinnescare un nome ed una polemica da Palazzo Chigi pare ne abbiano messa in piedi un’altra. A sostituire Amato alla guida della Commissione algoritmi ci andrà infatti… un fracescano. Paolo Benanti è consigliere del Papa per le tecnologie, è competentissimo ed ha una verve dialettica di pregio assoluto. Tuttavia non è un laico e per di più la sua mansione cardine con Bergoglio era quella che virava più sul lato etico che su quello tecnologico. Benanti è docente presso l’Istituto Teologico di Assisi e il Pontificio Collegio Leoniano di Anagni. E’ un teologo e presbitero del Terzo ordine regolare di San Francesco, docente alla Pontificia Università Gregoriana inserito dal Segretario Generale dell’Onu, Antonio Guterres, nel New Artificial Intelligence Advisory Board.

Facciamo chiarezza per dare un tratto più visibile alle perplessità di alcuni e – perché no? – alla loro cassabilità. Va fatto un distinguo che non tutti hanno colto. La “Commissione Algoritmi” fa riferimento al Sottosegretario all’editoria e deve occuparsi di studiare l’impatto della AI in quel settore, punto. Non è quindi il “Comitato AI della Presidenza del Consiglio” con cui è stata confusa. Quello ha una missione larga: valutare l’impatto della AI nel sistema complesso Paese.

Via uno scomodo, dentro uno scomodo

Insomma, il problema è che per surrogare un personaggio ritenuto “inadatto” (assolutamente falso) usando come movente una contorta polemica verbale pare si sia scelto un personaggio che in quanto a perplessità di ritorno non gli è secondo. Questo almeno su carta ed al netto di clamorose smentite che mettiamo in preventivo. Le professionalità tecniche in Italia non mancano, e l’aver pescato “in Vaticano” per la guida di una commissione, cioè di un organismo che più “italiano ed istituzionale” non si può, sa un po’ di ossimoro.

Il sottosegretario Alberto Barachini ha scelto un “frate nerd”, come lo ha definito il solito, caustico Manifesto. E Benanti è, ad onor del vero, componete anche dell’altra commissione ed il solo italiano membro del Comitato sull’Intelligenza artificiale delle Nazioni Unite.

Polarizzo ergo sum

Ma il senso è un altro e non rimanda alle competenze, che erano certamente di Amato e sono certissimamente del suo sostituto. Come ormai è modo consolidato nel nostro paese la chiave di lettura delle cose è la sfida identitaria e non il cimento funzionale. E non va bene.

Palazzo Chigi

Il senso è quello per cui esiste, prospera ed agisce ormai da tempo un’Italia polarizzata che non sembra saper rinunciare a scelte idonee, difficilmente discutibili in merito ma manichee.

E in politica saggia questa dell’affermazione muscolare di ciò che è bandiera ideologica e non vessillo di rappresentanza collegiale di solito non è quasi mai la via migliore. Perché la democrazia è conquista di tutti a prescindere da chi vince, non prerogativa pro tempore di chi ha vinto, e questo equivoco grande è ora che sia sanato.