Lombardi dice no al Raggi bis

Foto © Imagoeconomica / Stefano Carofei

Roberta Lombardi su Repubblica. Il niet alla nuova candidatura per Raggi e Appendino. perché sarebbe la negazione dei principi del M5S. Gli errori su Mastrangeli e Barillari. La necessità di un altro filtro prima di Rousseau. Il ruolo di Di Maio. E quello di Di Battista

Dall’Aula della Regione Lazio ha dimostrato che se sai fare la Politica non è necessario essere accampati al Transatlantico, a Montecitorio o Palazzo Chigi. Roberta Lombardi sa che in politica non si sta in paradiso a dispetto dei santi: non esitò a fare lo zaino e prendere la via della Pisana quando la corrente di Luigi Di Maio e Virginia Raggi decise che era arrivato il momento di ridimensionarla. Troppo ingombrante, lei che aveva sbertucciato in diretta streaming Pier Luigi Bersani; troppo spigolosa quella capogruppo alla Camera dei Deputati che aveva avanzato con chiarezza tutti i suoi dubbi sulla candidata scelta per le Comunali di Roma. Roberta Lombardi la politica la sa fare e proprio dalla Regione ha costruito le basi del dialogo possibile con il Pd di Nicola Zingaretti: zero inciuci, tutto alla luce del sole, nessun assessorato o commissione. Però, tanti provvedimenti approvati prendendoli dall’elenco delle promesse che lei aveva fatto agli elettori grillini.

È da quello scranno nell’Aula di via della Pisana, sede del Consiglio Regionale del Lazio, che Roberta Lombardi ora sfodera la sua proverbiale schiettezza. E dice ad Annalisa Cuzzocrea di Repubblica “No al terzo mandato per Virginia Raggi e Chiara Appendino. No alla linea distruttiva di Alessandro Dibattista”.

La regola non si cambia

Virginia Raggi © Carlo Lannutti / Imagoeconomica

Consentire un nuovo mandato a Virginia Raggi e Chiara Appendino potrebbe essere una scelta elettoralmente vincente per il M5S. O comunque migliore di tante altre: le due sindache hanno il vantaggio della notorietà, di non dover cominciare da zero a presentarsi agli elettori. Cisa che invece toccherebbe fare ad un eventuale altro candidato.

Vero. Ma Roberta Lombardi fa notare un dettaglio. Piccolo ma fondamentale: venire meno alla regola dei due mandati e poi basta significherebbe venire meno allo sporito del Movimento 5 Stelle. Vorrebbe dire

 entrare in una logica di ricerca del consenso per perpetuare, di mandato in mandato, la propria posizione. Credere così poco nel progetto dei 5 stelle da considerare più importanti i destini dei singoli che l’idea della politica come servizio civile a tempo determinato.

A Roma il Movimento ha stravinto le scorse Comunali. Roberta Lombardi rivendica per il M5S il merito di avere sradicato il metodo di Mafia Capitale; avere seminato segnali di buon governo che ora devono essere coltivati. Ma il MoVimento si è rivelato talvolta inadatto a governare. Ben 4 municipi sono andati in crisi ed alle successive elezioni, dove si sono tenute, sono tornati al Centrosinistra. Dimostrando, semmai ce ne fosse bisogno, che protestare è fin troppo facile ma Governare è ben altro che strillare per sollevare la pancia della gente.

“Siamo arrivati a vincere Roma nel 2016 con un consenso tale da non avere abbastanza persone per ricoprire tutte le posizioni. Questo ha fatto sì che in un Movimento così giovane entrasse di tutto. È stata fatta una bella selezione naturale”.

Rousseau non basta

Il senatore Marino Mastrangeli

Il fiuto non le manca. Così come ebbe perplessità sulla struttura politica della candidata scelta per Roma e poi diventata sindaca, Roberta Lombardi fu la prima a dire no alla candidatura al Senato a Cassino per Marino Mastrangeli. Si oppose in tutti i modi E ci era anche riuscita. Cedendo solo di fronte al rischio di un ricosro al Tar che Mastrangeli era pronto a fare. Glielo disse un mattino che si era presentato a casa sua con tutte le certificazioni del Casellario Giudiziale di Cassino: zero carichi pendenti, zero precedenti, impossibile negargli la candidatura. Fu la prima catastrofe del Movimento. Poi vennero i casi Davide Barillari, Sara Cunial, Mario Giarrusso.

“Ho sempre pensato che serva un primo filtro del territorio, quello di Rousseau deve venire dopo”.

Rousseau non basta per scegliere il prossimo capo.

“No, per questo stiamo aspettando gli Stati generali. C’è bisogno di un confronto anche fisico. Di dibattere in presenza. E non darei per scontato che si tratterà di un leader unico, io immagino una leadership collegiale”.

A Luigi Di Maio raccomanda di non riprendere la guida del Partito. E ad Alessandro Di Battista di abbandonare la linea distruttiva:

“Quando dovrò presentare ai miei figli la “giustificazione” per il mio impegno politico, quando dovrò spiegare loro le ragioni che mi fanno essere poco presente in questi anni, dirò che ho partecipato sia alla fase della distruzione di un sistema che a quella della ricostruzione. Auguro ad Alessandro, qualunque sia la decisione che prenderà per il futuro, di pensare a costruire e non più a distruggere”.

Rischia di ritrovarselo candidato a Roma.