Selfie della gleba (Il caffè di Monia)

Caldo insopportabile, serve un caffè per resistere alla tentazione del condizionatore. E sopportare i selfie.

Monia Lauroni

Scrivere per descrivere

No, non bastano i condizionatori, non provate a farmi cambiare idea additando quei barattoli rumorosi. Indubbiamente favolosa scoperta tecnologica che sottolinea, ancora una volta, la perfezione di una natura a volte cattiva e assassina. Una natura che l’uomo deve combattere, non stupidamente assecondare. Perché il caldo, è un fatto di cronaca, sotterra più pensionati lui che le leggi dello Stato italiano. E vi assicuro che in questo campo lo Stato è molto competitivo.

Persino quel genio mediterraneo di Battiato quando dedica una canzone all’estate, “Summer on a solitary beach”, non può esimersi da una tragica richiesta: “Mare, mare, mare voglio annegare, portami lontano a naufragare… Via, via da queste sponde…”. La nemesi dell’estate è la scomparsa lenta nelle fresche acque. Anche la Venere Anadiomene, di fronte allo spettacolo ordinario dei villeggianti sui litorali, non uscirebbe dalle acque e manderebbe a quel paese Apelle.

Non c’è riparo, non c’è bunker che ci salvi. il caldo rende la gente, ove possibile, ancora più scema. La grancassa della retorica estiva più delirante sono i social, quei luoghi metafisici dell’esibizione pubblica in cui si manifestano i tic canicolari in tutta la loro mostruosità. Fateci caso, voi di buon gusto: il selfie estivo è l’acme dell’esibizionismo vacanziero. Il momento in cui si rimane in mutande da costume diventando caricatura. Peggio se con gli slip.

Tutto nella stagione dell’amore ruota attorno alla nudità. Roba “d’autore” nei rari momenti in cui si incrocia con la bellezza e diventa un capolavoro. Ma quando si scontra con la bruttezza è un incidente mortale. Gambe spellacchiate, seni cadenti e pance budino che stanno su, contro ogni legge della fisica. Apri Facebook per non pensare al sudore che cola e la foto del tuo avvocato in mutande t’insegue e ti fotte. La signorotta che credevi una suora, con la scusa di fotografare l’orizzonte piazza davanti all’obbiettivo le sue natiche flaccide coperte da un microscopico costume, accompagnate però da didascalia da National Geographic: “ Isca, agosto 2019”. Certo voleva far vedere gli scogli, mica il culo! Gli scogli sono un piccolo puntino all’orizzonte, in proporzione uno a cento con i buchi della cellulite. Hai capito la Marisella!

Di peggio c’è solo il selfie sportivo. Spesso è un soggetto semipalestrato che si lancia sopra vecchiette osteoporotiche giocando a racchettoni, che decapita bambini col frisbee e tramortisce ignari passanti con palloni calciati a velocità estreme. Tutto a favor di fotocamera, perché l’attimo preciso, quello del bicipite tirato, della rovesciata circense e della schiacciata acrobatica, deve essere subito condiviso. Sublimato in uno scatto che ne decreti l’esistenza. Meravigliosa catarsi quando i piedi, e le gambe, tassativamente bagnate, sono la cornice del mondo. Tutto si incastra lì in mezzo.

Questo è niente paragonato a lui. Capolavoro di pacchianeria. Sublime opera kitsch, luce per gli occhi visionari e ultracentenari di Gillo Dorfles. In questa categoria si possono derubricare i selfie dell’ostentazione economica. Quelli dei Nabucodonosor di champagne sbadatamente adagiati sulla sabbia, dei rotoli da cinquecento euro in bella vista e degli yacht chilometrici impreziositi di bellissime donne in tenuta adamitica. Tutto accompagnato da esternazioni del tipo “Alla faccia di…”.

Ma alla faccia di chi? Supererò anche questa. Datemi un ventilatore…e una Reflex.