Soltanto dei giornalisti (di A. Porcu)

Nella stessa settimana chiudono due quotidiani. Il vero dramma è che in giro ci sia sempre più gente che non ha intenzione di formarsela, un'opinione. E per questo non ha più bisogno dei giornali. La nostra missione.

Alessio Porcu

Ad majorem Dei gloriam

Nella stessa settimana spariscono dall’orizzonte dell’editoria sia La Provincia che Il Giornale d’Italia (in serata l’editore annuncia la continuazione delle pubblicazioni ma senza lo storico direttore Storace).

Le regole del mercato dicono che si tratta di naturale evoluzione: chi fa i numeri pareggia i bilanci e  continua ad esistere, gli altri chiudono e portano i libri in tribunale.

Non è solo questo. I giornali si fanno con l’anima, solo con quella sopravvivono.

Non sono prodotti editoriali, non sono pacchi di pasta messi sugli scaffali del supermercato, non sono contenitori di notizie un tanto al chilo.

Un giornale è come un amico al quale chiedi aiuto. Gli chiedi che ti aiuti a capire, gli domandi una spiegazione delle cose che sono avvenute, ti fai raccontare da lui cosa è successo… È per questo che il giornale deve essere uno di cui ti fidi.

Il problema è che quell’amico e la sua voce molte volte danno fastidio. Non per quello che dice. Infastidisce il semplice fatto che ci sia in giro qualcuno che ancora spiega le cose alla gente e l’aiuta a formarsi un’opinione.

Più drammatico però è il fatto che in giro ci sia sempre più gente che non ha intenzione di formarsela, un’opinione. Preferirebbe un foglio uguale per tutti, nel quale c’è un’unica verità nella quale credere. E chi non ci crede è nemico.

Non funziona così. L’opinione presuppone fatica. Tanta fatica. O meglio: tante fatiche. La fatica di pensare, la fatica di leggere, la fatica di capire, la fatica di confrontare…

In questo quadro, da alcuni anni si è inserita anche una campagna di delegittimazione. Che ha colpito tutto, non solo i giornali: il chirurgo che mi opera non capisce niente e posso confrontarmi con lui leggendo Google (dodici anni di studi buttati), il virologo che scopre nuovi vaccini è un servo delle multinazionali che pagano la ricerca (e allora contribuisci tu a pagarla così non devono chiedere aiuto agli sponsor), il magistrato è asservito alla politica, il politico è ladro, il maresciallo dorme ed il parroco ha tentazioni sessuali. E i giornalisti? Scrivono solo fesserie.

Isolando il discorso ai Giornalisti. Non si può negare che una parte del fango che ci piove addosso oggi abbia un senso.

Perché la tentazione di fare un giornale senza anima ma solo pensando ai soldi ha creato la convinzione che tutti i giornalisti siano uguali: lo stipendio è lo stesso e allora assumo quello che mi ha segnalato l’amico. Invece le cose stanno in modo diverso: un giornalista bravo costa esattamente quanto una capra, l’editore puro capisce che risparmia prendendo uno bravo allo stesso costo di un incapace. Che oltretutto va in giro a fare domande poco intelligenti, non capisce cosa gli accade attorno, racconta quello che gli dettano i comunicati stampa. Soprattutto, siccome lo fa per soldi e non con l’anima, non rischierà mai nulla per dire un dettaglio in più e appena qualcuno minaccerà la querela scriverà sotto dettatura.

Questa non è una professione. Il Giornalismo è una missione. Al pari di quella del prete, del medico, del carabiniere…

Ho visto giornalisti lasciare la moglie in sala parto per andare a Palermo e raccontare le macerie fumanti sotto le quali era stato sepolto Falcone e con lui la speranza dell’Italia; ho visto giornalisti salutare a casa con una telefonata e partire per Kabul dalla quale sarebbero tornati solo dopo mesi; ho visto giornalisti pallidi in volto per le minacce ricevute. Ma non gli ho visto poggiare la penna.

Nessuna cifra al mondo ti ripagherebbe di un lavoro che dura 24 ore ogni giorno: sabati, domeniche e feste comandate comprese. Non ha orari perché essere giornalisti è un modo di essere, di pensare e di vivere.

Perché devi raccontare ed essere consapevole che il tuo è solo un punto di vista. (Chi pensa al giornalista asettico è un imbecille: siamo esseri umani, formati dai nostri dolori e dalle nostre gioie, dai nostri successi e dalle nostre sconfitte, come tutti). E proprio per questo misuri la tua correttezza contando lo spazio che garantisci anche alle opinioni diverse dalla tua.

Perché sai che la differenza con i megafoni sta proprio lì.

Il senso della vita di un giornale (e dei suoi giornalisti) è tutta lì. Nel raccontare a quell’amico che ti chiede di capire.

Fino a quando ci metti l’anima riesci a resistere.

Ma non è sufficiente. Perché potrebbero arrivare altri che raccontano le cose meglio di te, perché la gente cambia e cambiano i linguaggi, se tu resti fermo nel tuo modo di raccontare non sei più attuale, perché andiamo tutti di fretta e nessuno ha voglia di sentirti se non li coinvolgi nel tuo ragionamento.

La nostra capacità di continuare ad esistere sta tutta lì.

Nel saper continuare ad essere soltanto dei Giornalisti.

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