Sotto l’albero una manovra al fotofinish ed efficace solo a metà

Il piano economico di un paese che "brilla" solo perché gli interlocutori diretti in Ue stanno una volta tanto quasi peggio

Piero Cima-Sognai

Ne elegantia abutere

Non è molto decoroso ricordarlo per noi italiani, ma quando con l’operazione Husky del luglio 1943 gli alleati sbarcarono in Sicilia dando avvio alla Campagna d’Italia accadde un fatto. Cioè che la fondamentale piazza-presidio di Augusta non oppose particolare resistenza alle truppe britanniche. Le difese nostrane si dissolsero come polvere nel vento perché il “tutti a casa” era già scattato. O perché gli accordi tra Washington e Cosa Nostra per preparare il terreno alla già impalcata Amgot erano già in vigore.

Ed in quell’occasione il generale Alan Brooke, capo di stato maggiore britannico, pare ebbe a dire: “Meglio così, lì abbiamo concentrato i coscritti freschi e la leggerezza di chi li doveva affrontare adesso li ha esaltati. Si credono eroi e ne avranno bisogno nelle prossime settimane contro i crucchi.

Semi promossi ma con riserva

Ecco, il governo Meloni e la sua manovra giunta vicina alla deadline del 31 dicembre stanno messi un po’ così. Non come gli italiani, ma come i britannici ad Augusta: semi promossi in Ue ma più per effetto della clamorosa bocciatura degli altri. E affaccendati nei passaggi parlamentari previsti con in timing alla “quel che è fatto è fatto”. Squaderniamo la faccenda: la legge di Bilancio dell’Esecutivo in carica sta messa male ma non malissimo, oppure bene ma non benissimo, è tutta una questione di prospettive e di chi la giudica. Per Elly Schlein ad esempio essa è inadeguata ed è stata tutt’altro che speed, visto che la data originaria per il “visto” era il 15 dicembre.

Il dato cardine è che alla fine la dovranno giudicare i cittadini-fruitori nel 2024 che di fatto è arrivato, ma come accade per quasi tutte le cose “a frittata fatta”. Cioè quando essa sarà in vigore di mood operativo e si farà sentire.

Perché c’è una duplice lettura dello Strumento Economico Massimo di Palazzo Chigi? Ovvio, perché in Italia ci si polarizza per molto meno e perché in ogni sistema complesso da qui a Plutone ci sono e ci saranno sempre sponsor e detrattori. Ma soprattutto perché ci sono i dati, e quelli non mentono, neanche a Natale quando siamo tutti più buoni.

Da radicali a democristiani è un attimo

Elly Schlein (Foto © Ansa)

Eppure stavolta la faccenda è più bizantina e quello che forse pesa di più per Giorgia Meloni è questo clima da “bicchiere mezzo pieno o mezzo vuoto”. Chiariamo questo aspetto ché è importante. Fin dai suoi esordi operativi un anno fa l’esecutivo aveva dato la netta impressione di essere concrezione sincera di una vera rivoluzione. Di un modo di fare radicale e nerboruto cioè per cui le mezze misure delle cose tiepide erano andate definitivamente in pensione. La pubblicistica aveva squadernato l’immagine di un governo che avrebbe fatto della nettezza di azione il suo mantra. In modalità Fiat Lux, insomma.

Un team che ad ogni cosa ci avrebbe messo un suggello identitario talmente marcato che, piacesse o meno, sarebbe stato impossibile non riconoscere quel brand legiferativo. E poi, cosa è accaduto? Nulla di particolare, roba fisiologica: arriva la vita vera e ci si svacca rispetto alle guasconate originarie. Solo che quando a subirne gli effetti sono tizi che vivono di manicheismo e che ad Atreju ne fanno coccarda l’effetto delle parziali sconfessioni del loro decantato vigore è più visibile.

Di migranti e conti: quando proprio devi “cedere”

Il premier albanese Edi Rama

I migranti? Anche a far tara dell’accordo raggiunto in Ue, si è passati dal volerli fermare col blocco al volerli espellere col botto. E gradualmente oggi Meloni & co. si sono ridotti ad ingaggiare un’Albania-sparring per tenerseli ma non su suolo patrio ed a costi triplicati, oltre che con un “ma” grosso come una casa dei giudici di massimo rango. Le accise sui carburanti? Niente reni spezzate per loro, direbbe Delmastro, sono ancora qui. Con la legge di Bilancio è andata anche peggio. Doveva essere il maglio con cui demolire una concezione pavida ed assistenzialista dell’azione di governo ed è diventato un pannicello tiepido.

Solo che siccome la Francia è stata bocciata su tutta la linea e la Germania pure si è presa le sue mezze bacchettate ecco che la nostra semi-digeribilità è diventata roba da omogeneizzato. La riprova è lo sciopero bis annunciato dal personale sanitario per gennaio. Ad annunciarlo i sindacati dei medici Anaao Assomed e Cimo-Fesmed ed il sindacato degli infermieri Nursing Up.

Questione di prospettive dunque, come quando devi mangiare la sbobba del carcere ma sei “al gabbio” e quella roba in quella situazione là ti pare leccornia che Cannavacciuolo scansati. Il dato è che la Commissione europea ha valutato e che Giorgia Meloni e Giancarlo Giorgetti sono in piena modalità sollievo. Ed è un bene, sia chiaro, ma non è questo che in campagna elettorale e nel primo semestre era passato. Lì ed in quel contesto dove fare spottoni era molto più facile (se sei grullo) la musica era un’altra.

Giorgetti: “Tutto come previsto”

Giancarlo Giorgetti

Ecco perché oggi l’effetto alla “tutto sommato è andata bene” ha il tono miserello delle cose portate a casa di stramacchio. Per fortuna le sorti delle altre finanziarie Ue hanno spostato i termini di raffronto al rialzo. Questo perché se sei un insegnante di educazione fisica in pensione ma in mezzo agli over 70 anche tu alla fine sembri Chen che mena Chuck Norris al Colosseo. Belgio, Finlandia e Croazia sono sotto bocciatura. Mentre, come aveva spiegato Il Foglio, “l’Italia, invece, non è pienamente in linea e condivide il giudizio con Germania, Austria, Lussemburgo, Lettonia, Malta, Olanda, Portogallo e Slovacchia”.

A chi aveva sorriso la pignola camarilla di Ursula von der Leyen? A Spagna, Grecia, Cipro, Estonia, Irlanda, Slovenia e Lituania. Le parole di Paolo Gentiloni, uno dei tanti “nemici a cronometro” della lunga lista della premier, danno cifra di bizantinismo. Atteggiamento che non abbandona neanche quelli che con Il Meloni-pensiero non sono proprio sodali.

Gentiloni: il motivatore esterno

Paolo Gentiloni (Foto: Daina Le Lardic via Imagoeconomica)

“Per l’Italia non si tratta di una bocciatura, ma di un invito a politiche di bilancio prudenti e a un pieno uso delle risorse del Pnrr”. A ben vedere è uno “stay behind” con riserva di maggior controllo sui nervi scoperti ed atavici della nostra politica economica di sempre. Si parla esplicitamente di correttivi? No, però ci sono state faccende su cui il governo ha dovuto forzare. Ovviamente attribuendo tutta la colpa ai predecessori. Bisognava limitare l’aumento della spesa primaria “che, per colpa del Superbonus, nel 2023 è stata superiore alle attese”.

E Giorgetti, che della manovra è master and commander con rischio infarto dopo aver respinto tutti i desiderata specifici dei partiti di governo, in primis della “sua” Lega? A lui piace da matti dire che era tutto previsto, come Verdone-Furio. Dopo il disco verde Ue alla riforma del Patto di Stabilità da via XX settembre intanto fanno sapere che ha prevalso uno “spirito di compromesso”. In questi giorni si sta procedendo con le limature finali e certo, le agenzie di rating hanno dato il loro contributo alla stesura finale di questo sei politico, ma i nodi grossi restano tutti in griglia di pettine.

Il nodo della spesa primaria

Foto © Carlo Carino / Imagoeconomica

La spesa primaria, quella al netto degli interessi pagati sul debito, sfora di mezzo punto di Pil. Il Foglio l’aveva messa giù chiara: “Il governo prevede per l’anno prossimo più 1,2 per cento del pil, la Commissione più 0,9 per cento con un disavanzo del 4,4 per cento e un debito del 140,6 per cento, superiore di mezzo punto a quanto previsto dal governo”. E medaglie strutturali, ne abbiamo? Pochine, basti pensare alla vicenda Bolkestein-balneari ancora in acque profonde, alle misure fiscali ed all’antico muro contro muro per rivedere il Patto di Stabilità usando come bene di baratto il Mes che però alla camera è stato silurato anche da FdI.

Ovvio che se si vuole portare e meta questa fondamentale leva operativa si deve andare molto oltre la modalità barbabietola da zucchero con cui la Commissione ci aveva detto “è bravo(a) ma non si impegna”.

Abbruzzese: “L’affanno era una bufala”

Mario Abbruzzese, che tiene una pignola agenda pubblicistica e social delle iniziative dell’esecutivo di cui la “sua” Lega è parte, non ha mai avuto dubbi in ordine a certe rotte afferenti il tema. In polpa suo messaggio è questo: “Patto di Stabilità: l’Italia è impegnata con autorevolezza in un percorso di riduzione del debito: siamo stati ascoltati grazie alla serietà del Governo e all’impegno del ministro Giorgetti. Adesso l’Eurozona deve tradurre in atti concreti le decisioni dell’Eurogruppo“.

Mario Abbruzzese

Il candidato per il Carroccio nel mega collegio dell’Italia Centrale alle prossime elezioni europee del 2024 tiene la barra dritta sui successi anche quando sono successi a metà. E fa bene perché in politica questo va fatto. Tuttavia c’è un dato, ed è quello che rimanda allo sbarco in Sicilia che ha dato stura a questa narrazione. Dopo la presa facile di Augusta gli alleati trovarono la resistenza feroce dei tedeschi fin da Salerno, e noi che gravitiamo su Cassino dovremmo saperne qualcosa.

Il che significa due cose: che la Germania alla fine te la trovi sempre di mezzo, magari per barattare il Mes. O per parte nostra usare quel Meccanismo che comunque vada ed al netto delle inqualificabili baruffe in aula di ieri non è stato votato per rappresaglia rispetto l’asse Parigi-Berlino che ha dato le carte sul nuovo Patto.

E che sempre alla fine ti toccherà dimostrare quel che sei in mezzo a quelli più bravi. O più furbi. E lì un sei politico non basta. Né quello né il Natale che arriva, perché come si dice di quel che arriva “dopo le feste…”.