Su la testa! (Il caffé di Monia)

Caffè carico di orgoglio. Mentre l'aroma nell'aria è ancora quello delle elezioni. Un caffè per combattere il qualunquismo. E tenere su la testa

Monia Lauroni

Scrivere per descrivere

È vero. Non ne avevamo proprio bisogno, di imbarcare altre new entry ignoranti di politica e di amministrazione della Cosa Pubblica. Così come speravamo che non rimanesse neanche il ricordo delle cortigiane di precedenti forniture. E così come pregavamo gli dei che i caini malfattori di canuto pelo si autodistruggessero. 

E’ vero. Sui “nostri” scranni continua a sedere di tutto. Come in quel passato orrido, durante il quale ci siamo affielati per la presenza di pornoattrici, terroristi assassini, stragisti, massomafiosi, mafiomassoni, cocainomani, ladroni, truffatori e violenti. 

È vero. In giro gozzoviglia un popolo di masnadieri che continua a danneggiarci. Con la protervia di chi sa di aver guadagnato in un’urna di cartone la gestione del potere, spalmata , democraticamente da levante a ponente, dallo Zenith al Nadir.

E’ vero. Ci siamo cascati ancora, nella trappola della speranza. La maledetta speranza che, ultima dea, non vuole chiudere gli occhi e schiattare. “Speriamo che questo sia quello buono”. “Speriamo che faccia qualcosa di giusto”. E “Speriamo che non si dimentichi di noi”. E’ vero. Speriamo sempre che quel disonesto, che sappiamo disonesto, sia il disonesto buono. 

Li ascolto, mentre, osannati come santi all’altare da interlocutori proni come schiavi egizi, vomitano come candele sciolte le solite tiritere sul vedremo e cercheremo. Fra congiuntivi schiaffeggiati e presi a calci, strafalcioni lessicali, “piuttosto che” usati a virilità di bracco, cercano con cura magistrale di fare lo slalom fra i paletti dell’onestà e della correttezza morale.

E’ vero. Sono intoccabili. Stanno lì, al sicuro, tutelati dalle distanze e dalle scorte armate. Ci parlano dai giornali, dai computer, dagli schermi tv, e, spenti i riflettori, se ne vanno a puttane a spese nostre, a impastare cene e promesse. Fra loro. Modello loggia. Come ieri. Come domani. Con qualche lacuna sintattica in più, per il resto, tutto uguale a prima.

Ma Noi siamo Noi. Su la testa. 

Su la testa perchè siamo la patria di Dante Alighieri. Di Leonardo. Di Cicerone.  

Su la testa perchè siamo il Paese, invidiato dal mondo e benedetto dal cielo, quello che ospita la Casa della Cristianità, che ci si creda oppure no, che pur malconcia e ferita da un reggimento di tonache sporcaccione, resta la religione di quel Dio che ha scelto di farsi uomo, mangiare, bere, dormire, soffrire, amare come noi, per insegnarci l’unico segreto per vivere in eterno. 

Su la testa. Siamo quel dipinto fatto di dipinti lungo migliaia di chilometri, che parte dalle Alpi e si tuffa nel Mediterraneo e custodisce mille e mille firme di mille e mille pittori, figli del ventre di questa parte del mondo, schiaffeggiata, ma amata da sempre dagli amanti del Bello.

Su la testa. Siamo quella Musica celestiale composta da mani e mani divine, che il mondo ascolta e canta, abbandonandosi alla carezza del sogno. Siamo quel marmo partorito che ha Pietà del Figlio morto e celebra i fasti del Conduttore dei Conduttori.

Su la testa. Siamo i custodi della storia dell’umanità civilizzata, emancipata e progredita fino ai massimi splendori. 

Qui il Bello e il Buono sono a casa. Stanno. Si sentono propri. Sono in quel profumo di zagara di Calabria e nel fiore delle Alpi, in quella dolcezza aspra del miele, nel fasto degli orafi e nella sfida delle sartorie. Nella potenza dei vulcani e nel fascino cristallino dei placidi mari. Nella fraterna allegria della sua gente. 

Su la testa. Siamo il popolo che ama ancora il suo Paese e lo difende con la nobiltà degli eroi. Che lo onora con il proprio lavoro e la propria devozione. Anche nella povertà e nella prova. Anche in questi anni di scemenza e demenza politica e sociale. 

Su la testa. Siamo quelli che mettiamo il Bambinello nella paglia a Natale ed è ogni volta e comunque un’opera d’arte ed una tenera sensazione. 

Si, su la testa. Siamo quelli del profumo del ragù della domenica e il panino al salame fra i libri di scuola. Quelli del nonno in casa, dei nipoti che ascoltano favole e la nonna a sferruzzare in cucina. Siamo quelli delle contrade e delle province. Siamo quelli dei campi di grano e dei vigneti a terrazza. 

Su la testa. Noi siamo brava gente. La malapolitica non muore. Si riproduce per autofecondazione. Ma noi siamo noi. Brava gente. E un giorno cambierà.