Tajani il premier per il compromesso

Le tappe e le date hanno la loro importanza. Nell’epoca del 2.0 la chiamano roadmap. Quella di Antonio Tajani sembra una mappa che conduce dritta verso la costruzione delle larghe intese. Nel suo stile: a piccoli passi, uno alla volta, partendo da lontano ma per arrivare dritti all’obiettivo.

 

La data è quella del 30 settembre, la tappa è Orvieto. Quel giorno Antonio Tajani sarà al convegno organizzato dal Pd. Anzi, da una parte ben precisa dei Dem. È il convegno annuale organizzato dai Popolari Pd di Beppe Fioroni dove ci sarà monsignor Vincenzo Paglia presidente della Pontificia accademia per la vita e gran cancelliere del Pontificio istituto Giovanni Paolo II. Ma anche il coordinatore del Partito Democratico Lorenzo Guerini. Forse verrà pure Matteo Renzi.

 

La prospettiva cambia se si guardano data e tappa precedente. È domenica 17 settembre a Fuggi. Lì Silvio Berlusconi , a meno di clamorose sorprese, non lancerà l’investitura ufficiale di Antonio Tajani a premier se il centrodestra dovesse vincere le elezioni e se a lui non riuscisse nessuna delle manovre giudiziarie che sta tentando per ottenere la riabilitazione. E non si potesse ricandidare.

 

Non lo lancerà proprio per lanciarlo.

 

Cosa significa? C’è un segnale che mette in relazione Fiuggi e Orvieto. Berlusconi intende puntare su Tajani soprattutto se il centrodestra non dovesse vincere le elezioni. Ma se dovesse pareggiarle. Il Cav intende costruire una strada con cui portare Tajani a Palazzo Chigi ma alla guida di un governo di larghe intese. Con pochi e ben precisi obiettivi: le grandi riforme, il riequilibrio dei conti. Tutto in un paio d’anni.

 

Cose che sarà possibile realizzare solo se ci sarà una maggioranza larghissima. Tajani è la persona adatta per tenerla in piedi. E raggiungere gli obiettivi.

 

Perché puntare alle larghe intese con il Pd? La risposta sta in tutti i sondaggi che vengono consegnati, giorno dopo giorno, a Silvio Berlusconi: dicono che dalle urne non uscirà una maggioranza in grado di consegnare il timone del Paese al centrodestra. A meno che non si superi il tetto del 40% dei consensi e si raggiunga la quota che dà diritto al premio di maggioranza. Nemmeno Berlusconi, nel giorno delle sue più ottimistiche previsioni, arriva ad ipotizzare un traguardo del genere.

 

Resta una sola strada. Le larghe intese. Riforme realizzate in modo condiviso, costruite attraverso un duro e quotidiano lavoro di diplomazia, trattativa, limatura, concessioni, stop e ripresa del dialogo. Antonio Tajani ha costruito così la sua presidenza del Parlamento Europeo.

 

A rileggere le pagine degli ultimi mesi dell’agenda di Antonio Tajani si scopre che le tappe ci sono tutte. Ha la stima di Angelino Alfano, può dialogare con Denis Verdini domenica 30 va al convegno dell’ala Pd con la quale gli è più facile dialogare. Magari gettare una testa di ponte. Iniziare a sondare e testare la disponibilità.

 

Se il percorso è questo, allora non bisogna aspettarsi che domenica a Fiuggi ci sia un annuncio in grande stile. Vorrebbe dire bruciare Antonio Tajani anziché spianargli la strada. Perché un governo di larghe intese non può guidarlo né il capitano dell’una né il capitano dell’altra formazione. Ma deve essere un uomo di compromesso.

 

Se Berlusconi intende lanciare davvero Tajani, allora domenica Fiuggi dirà, al massimo che “Sarebbe l’uomo adatto a guidare il Paese verso le riforme”. Una frase sola all’interno d’un intervento di mezzora.

 

Nel frattempo, in attesa del pareggio alle urne, Tajani continuerà a presiedere il parlamento a Bruxelles e Strasburgo. A tessere e cucire, ad incontrare e dialogare. Pronto ad entrare in campo se dovesse servire l’uomo del compromesso. Per guidare le larghe intese.

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