Toni bassi e piacionismo: il nuovo lessico politico, anche a Cassino

Una nuova fase comunicativa che però è più sorniona che scout. Con i politici "mini" e poseur: per aprire nuove opportunità

Piero Cima-Sognai

Ne elegantia abutere

Secondo quel genio di Kubrik ed una dignitosa vulgata, Mozart si briscolò Salieri a suon di risate sguaiatissime, amicone quasi. Eppure Mozart odiava Salieri ed era pure abbastanza morto di fame da portare quell’odio a parossismo. Ma lui no, il genio salisburghese aveva capito tutto. Che cioè ci sono momenti in cui la contrapposizione netta deve parlare la lingua soft del “che mi frega se ti odio”.

Questione di stile, indole o consenso. E di piacionismo, materia in cui noi italiani diamo dottori di ricerca. Ed a proposito di quest’ultimo, il consenso, è la politica italiana degli ultimi giorni a darci fulgido esempio della rivincita dello zucchero. L’elmetto abruzzese è stato indossato e riposto da Giorgia Meloni. Lo show alla Camera e con tanto di giacchetta tirata sul capo ne è riprova.

Giorgia che si toglie l’elmetto

Giorgia Meloni durante le comunicazioni alla Camera

La premier ha capito sì che l’elmetto andava calzato per un voto che lei stessa sentiva come vagamente isterico, ma che poi quella modalità “trincea” non paga più. Perciò in Aula chiede scusa se ha chiamato “ragazzi” i membri dell’opposizione pur avendoli volentieri sbranati. Quel mood là non paga insomma. E neanche ti costringe al ridicolo blando, a meno che non ti chiami Pupo e vuoi andare a Mosca a cantare la Pace in casa di Putin.

La modalità search and destroy si è via via stemperata in toni più da balera, roba morbida che non vuole essere fuffa. Ma che invece di puntare al petto dell’avversario punta dritto alle sue terga, più infidamente.

C’è tutto uno starter pack – in questi giorni – di progressivo abbassamento dei toni, e non solo nel lessico di contrapposizione diretta con le Regionali residue e le Europee in arrivo. No, è proprio nella marcia amministrativa che le cose sono più soft. Le tasse? Ne ha scritto benissimo Michele Masneri sul solito, acutissimo Foglio.

C’è riflusso storico e reflusso gastrico sul tema, perciò non sono più “Pizzo di Stato” ma roba “non proprio amica”. Chi potrebbe obiettare sul fatto che pagare le tasse non è proprio come entrare in gelateria a luglio? Il distinguo sta tutto qua, nel non-distinguo di merito – quello per cui l’Erario è Kraken zannuto – ma nella diversa configurazione del tema. Che adesso e con la riforma in arrivo è più mieloso, quasi appercettivo, didattico ma graduale.

Centristi maestri di genere

Della serie “ci sono e sono giuste ed utili, perciò le schifiamo con garbo”. Schifare con garbo è roba in cui o sei maestro o devi diventare di corsa alunno, di questi tempi. E da questo punto di vista i centristi sono avvantaggiati. Lo sono perché il loro è da sempre lessico modesto ed obiettivo, tutto giocato sulla polpa e senza docce di bile.

Gente come Carlo Calenda ed Ettore Rosato sono stati sempre più bravi ad organizzare le scialuppe che ad urlare che la nave affonda. Qualche giorno fa il numero due di Azione aveva confermato a chi scrive e prima dell’ufficializzazione che in Basilicata il partito sarebbe andato con il forzista Vito Bardi.

E lo aveva fatto con la stessa flemma con cui a tavola si chiederebbe il sale. In altre botteghe o in altri tempi la cosa avrebbe avuto il tono di una filippica sanculotta. Magari quella che poi è arrivata ma soft, contro il Pd che si fa premere il calcagno sulla nuca da Giuseppe Conte.

La Cassino col diabete

Ed in ambito elettorale ma su piani più localistici non fa eccezione Cassino, dove la campagna elettorale pare tutta equalizzata su un galateo “giovanemarmottante” che pialla spigoli e scabrosità di lessico. Soprattutto nella parte che “attacca il fortino” di Enzo Salera, quella che fa capo ad Arturo Buongiovanni, è tutto un vocabolarietto acconcio ed ammodino che a volte vira in zona diabete. Scelta tattica per dimostrare che esiste un modo diverso di fare politica: senza odio e senza veleni.

Giuseppe Sebastianelli e Giorgio Di Folco

Perfino una notoriamente fumantina Angela Abbatecola è stata vista sorridere in più occasioni senza (apparente) sforzo. Questo non solo poche ore fa a Montecassino. Ma anche in zona apertura della sede elettorale di un uomo che politicamente e nel suo intimo ritiene totem di strategia farlocca e “Massimo mio prima o poi arrivo a Ceccano e te la dico, ‘sta cosa”.

Giuseppe Sebastianelli, che è un furbo di tre cotte, ha fiutato tutto: per lui non è questo l’anno per fare vincere il destracentro, e “a nord di Ceprano lo sanno”. Perciò si fa il pelo legittimo e sindacale ma non il contropelo.

Attenzione: quando la politica abdica dal malpancismo urlato, specie sui social, non si censura nulla perché è cosa buona e giusta. Solo che certe abdicazioni a volte sono parto tattico e non moto etico, e sempre a volte si vede.

Rime baciate e aplomb

Arturo Buongiovanni

Buongiovanni fa le rime baciate tra il suo nome e “futuro”, poi sorride e sciorina idee, ma è oggettivamente tipo urbano e non scarroccia mai.

Lo fa talmente tanto che qualche giorno fa un sulfureo Luigi Maccaro, scout che non disdegna scalpi ogni tanto, lo aveva pizzicato proprio su questa (presunta) evanescenza. Quella che nei suoi jingle meticolosamente rilanciati da Benedetto Leone lui squaderna in registro unico. Lo fa con “Pepole got the Power” di Patti Smith in sottofondo e ditemi se per un candidato civico ma di destracentro questo non è un ossimoro fatto e finito. Un po’ come se i Carc del compianto Vincenzo Durante mettessero i Lynyrd Skynyrd ai comizi.

Salera: da pitbull a bracchetto

E Salera, quello che pare e di fatto certe volte è “il pitbull”? Conscio della posizione di forza da cui agisce per il voto amministrativo di giugno si è fatto bracco, cioè forte come un rovere ma sornione e “no war”. Non replica, non risponde ad alcun attacco e si rimira Buongiovanni che abbraccia tutti, pure i pali della luce. Perfino il sulfureo primarista Giorgio Di Folco-Pistoia pare essere entrato in fase zen. Siamo in fase falsetto dunque, tutti, da Nord a Sud, e perfino Matteo Salvini è passato dalla modalità heavy metal a quella Orietta Berti.

La Commissione gli spiega che il Ponte sullo Stretto ha decine di eccepibilità? Non si incazza. Il Senato lo scoppola sul terzo mandato come il più tonto della ghenga? Se le tiene, le scoppole, e al Question Time si fa pure dare del comiziante irrituale.

Salvini e Vannacci “soft”

Addirittura il generale Vannacci si gioca la matta dei “gay che non sono sbagliati”, che è un modo più elegante per non dover dire che per lui comunque non sono giusti. E condisce il tutto con l’amarcord di quando, giovinotto e fregolante, la bella Valentina in realtà era un attrezzatissimo Valentino.

Si va di frolla baby, e di crema, senza bagna di alchèmes dentro e senza l’ebbrezza ottusa dei picchiatori. Educati al punto da sembrarlo, maleducati ma mai al punto da farlo scoprire.

Così alla fine qualche gonzo si equalizza sul nuovo mood ed abbocca. E giugno ormai è alle porte. Per tutti, Bruxelles e Cassino. Poi torneremo ad urlare e sì, cavolo se ci sentiranno.