Top e Flop, i protagonisti di venerdì 17 marzo 2023

I fatti, i personaggi ed i protagonisti delle ultime ore. Per capire cosa ci attende nella giornata di venerdì 17 marzo 2023

I fatti, i personaggi ed i protagonisti delle ultime ore. Per capire cosa ci attende nella giornata di venerdì 17 marzo 2023

TOP

IVAN SCALFAROTTO

Ivan Scalfarotto (Foto: Giulia Palmigiani © Imagoeconomica)

Ci sono i politici frettolosi che prendono le distanze a prescindere e quelli saggi che le distanze le fanno prendere dagli altri. Poi calano l’asso e le rimarcano. E’ un distinguo sottilissimo che funziona molto bene, specie quando arriva nuova linfa in un Partito, come la linfa “vetero-nuovista” che Elly Schlein ha portato al Partito Democratico.

E Ivan Scalfarotto, senatore renziano del Terzo Polo, quel fenomeno lo ha studiato bene. Tanto bene da segnare col lapis un discrimine importante senza apparire come colui che lo aveva artificiosamente creato. In tema di battaglie comuni fra Terzo Polo e Pd di Schlein “è possibile che ce ne siano occasionalmente su singoli temi. Sul piano della cultura politica mi pare invece che si vada verso una visibile divaricazione tra la linea del Pd e quella del Terzo Polo“.

Che cosa significa? Significa che Scalfarotto ha fatto come i visitatori dei musei di arte moderna dove qualcuno aspetta che il giudizio su un quadro astratto arrivi dall’esperto di turno e non dal genuino ma gonzo denigratore di cose. Che non capisce, però a pelle ha già giudicato l’opera. “Questo comporta che le istanze riformiste difficilmente potranno trovare un sostegno da parte del Pd a guida Schlein“.

Poi Scalfarotto ha pescato nella storia recente ed ha trovato il paragone calzante di ampio respiro: “La scelta di Schlein ricorda molto quella che fece il partito laburista britannico con l’elezione di Jeremy Corbyn: una leadership molto identitaria, di nettissima discontinuità con una precedente linea riformista. Molto amata all’interno del partito ma non particolarmente capace di allargare ad altri pezzi del Paese“.

E con quella radiografia impietosa il senatore di Iv-Azione ha fatto capire che questo non è il tempo dei leader magnetici ma del leaderismo della concretezza. Di istanze che non passano per totem di libertà ma per il liberismo studiato di chi rifugge le figure-icona. E che abbia ragione o meno ha tracciato un confine. Il confine fra quel che Elly Schlein è e quello che Elly Schelin farà davvero.

Radiologo.

IACOPO ‘JAGO’ CARDILLO

Jago al lavoro su una delle sue opere

Quando si è grandi non si ha paura dei più grandi. E nemmeno di dirlo. Perché non è presunzione, non è superbia. E nemmeno mania di grandezza. Anzi: è il contrario. È solo voglia di essere se stessi. E se tutti dicono che sei come i più grandi di sempre… no non è un complimento. Nemmeno se, con gli occhi che traboccano di ammirazione, ti dicono che sei ‘il nuovo Michelangelo‘.

No, non è un complimento. Lo ha detto con chiarezza in queste ore Jago, al secolo Iacopo Cardillo, tra i migliori talenti usciti dall’accademia di Belle Arti di Frosinone. È di Anagni ma di lui parlano in tutto il mondo. Perché, che gli piaccia o no, dopo Michelangelo soltanto lui è stato capace di togliere tutto ciò che non serve dai blocchi di marmo, per consentire al mondo di ammirare le straordinarie opere d’arte che stavano nascoste al loro interno.

Ieri è tornato nella sua Anagni per il “Red Bull Doodle Art“, la competizione globale di scarabocchi. Ai 70 ragazzi che hanno partecipato al contest, Jago ha detto di essere sé stessi: “Non è un complimento quando mi dicono che sono il nuovo Michelangelo: io sono Jago. E voglio essere Jago, non il continuatore di qualcuno che è già stato”.

Straordinario esempio quotidiano della lezione lasciata dal beato Carlo Acutis: tutti nasciamo originali ma troppi moriamo fotocopie. Jago ha sollecitato i ragazzi ad essere se stessi, lasciar correre la loro creatività senza lasciarsi intrappolare dai giudizi e dagli stereotipi. Perché solo così si può sperare di restare originali e dire qualcosa di nuovo. A costo di rinunciare ad essere il nuovo Michelangelo.

Un colpo di scalpello ai luoghi comuni.

FLOP

VITTORIO SGARBI

Vittorio Sgarbi (Foto: Alessia Mastropietro © Imagoeconomica)

Uno e trino. Vittorio Sgarbi è così. Nel senso che in lui convivono tre persone: il tecnico di talento indiscusso che difficilmente sbaglia, l’uomo che dice cose sbagliate in purezza e l’uomo che dice cose giuste ma in iperbole e perciò rischia di sbagliare di nuovo. Ecco, lo Sgarbi che si è messo di traverso, dialetticamente s’intende, contro la linea del ministro della Salute Orazio Schillaci è il numero tre.

Cosa non garba a Sgarbi? Che il ministro abbia deciso di dare una (ulteriore) stretta contro il fumo con il divieto di fumare alle fermate di treni, bus e traghetti, anche all’aperto. In merito, dai media apprendiamo che la bozza del decreto-legge è già sul tavolo del ministro e approderà in Consiglio dei Ministri per l’approvazione definitiva. Per Sgarbi quella è una scelta poco libertaria che creerà un effetto boomerang andando a parare esattamente su quello che si vuole ridurre, addirittura incentivandolo.

E fin qui il ragionamento ci sta tutto. Ha detto lo Sgarbi uno: “Mi auguro che il centrodestra che non ha mai approvato questi diktat irragionevoli non lo voti. Io non fumo ma sono favorevole a qualunque vizio. Quella di Schillaci è istigazione al fumo, se passasse questa legge si creeranno delle isole di fumo dove la gente andrà a fumare comunque”.

Ma in agguato c’era lo Sgarbi tre: “Quella del ministro Schillaci la trovo una visione dittatoriale e intimidatoria. Il centrodestra è un’area di buon senso e questa è una cosa tipica di un regime autoritario e dittatoriale comunista. Se ora Schillaci vuole dare prova di essere comunista benissimo ma io non ci sto”. Ecco, il sottosegretario alla Cultura non ha resistito all’idea di creare un ossimoro e di incasellare una scelta “sbagliata” nella bacheca dell’autoritarismo a trazione “rossa”, solo allo scopo di sottolineare il paradosso di un governo di destra che potrebbe far sua una istanza tipica del socialismo reale al sanguinaccio.

Ma a volte le iperboli storiche non servono per bollare una rotta come sbagliata. E il semplice buon senso cartesiano dovrebbe essere il solo contendente sul ring degli argomenti. Solo che questo Sgarbi lo sa benissimo, tuttavia non è riuscito a rinunciare ad una figurazione un po’ “stantia” della faccenda.

Ed ha perso l’occasione di dire il giusto con argomenti giusti dicendo il giusto con argomenti sbagliati.

Fantasmi inutili.

ELLY SCHLEIN

Elly Schlein (Foto: Andrea Panegrossi © Imagoeconomica)

Che abbia portato un’ondata di entusiasmo, nessuno potrà negarlo. Ma che il Nazareno fosse diventato un posto così lugubre che anche la famiglia Addams al confronto parrebbe simpatica come Checco Zalone, nemmeno si può negare. Ciò premesso, Elly Schlein sta rianimando un Partito asfittico ed in stato pre comatoso a causa del proprio genetico autolesionismo.

Ma dopo la respirazione bocca a bocca occorrerà un brodino caldo per il paziente. Magari pure con un po’ di bollito e purè di patate. La sostanza però non si vede. E nemmeno si intravede. Sui temi centrali, il Partito Democratico di oggi è esattamente cerchiobottista come quello di ieri che Elly Schlein è stata chiamata a liquidare.

Ad esempio: il termovalorizzatore per salvare Roma dai rifiuti lo facciamo o non lo facciamo? Che non è un tema secondario. Il sindaco della Capitale d’Italia è espressione del Partito Democratico ed ha avviato l’iter per farlo quell’impianto. È nel solco del Partito o rischia di venire sconfessato alla prima difficoltà?

Il Segretario cosa ne pensa? Giusto per farlo sapere a quegli elettori che hanno sostenuto il Partito anche per il si netto e sincero espresso da Alessio D’Amato alle recenti Regionali del Lazio. E sia chiaro: non è un tema solo romano o laziale ma è la linea del Partito Democratico sulla gestione dei rifiuti in Italia.

Risposte? Non pervenute. Il rischio è che tra pochi mesi anche Elly Schlein faccia la fine di Nicola Zingaretti e prima ancora di Matteo Renzi, issati in sella al Pd con un consenso stellare e disarcionati senza pietà quando la base si è accorta che tutto restava uguale a prima. Non basta l’ondata di giovanismo e di nuovismo: serve disperatamente la sostanza che il Pd da tempo non ha. E passare dal bollito al carrello dei bolliti è un attimo.

Niente cacicchi, ma almeno il caciucco