Top e Flop, i protagonisti di venerdì 29 dicembre 2023

I fatti, i personaggi ed i protagonisti del 2023. Per capire cosa ci attende nell’anno che è ormai alle porte.

I fatti, i personaggi ed i protagonisti del 2023. Per capire cosa ci attende nell’anno che è ormai alle porte.

RICCARDO MASTRANGELI

Foto © Stefano Strani

Bifronte. Come l’aquila che campeggia sulle bandiere albanesi, oppure il dio greco Giano: una fronte che guarda in una direzione e l’altra in quella opposta. Il 2023 della giunta comunale del capoluogo ciociaro guidata dal sindaco Riccardo Mastrangeli ha due volti al tempo stesso. Uno è quello amministrativo, l’altro è quello politico. Si è snodato così l’anno che sta per chiudersi. Con immensa soddisfazione del sindaco, senza punta di dispiacere.

L’assenza di un’unicità tra politica ed amministrazione, per alcuni è un limite. Per Riccardo Mastrangeli è un’immenso vantaggio. Che gli consente di godersi le opere realizzate dal suo assessore ai Lavori Pubblici Angelo Retrosi, il risveglio del Centro Storico coccolato dall’assessore Rossella Testa, la graduale informatizzazione di attività e servizi guidata dall’assessore Alessandra Sardellitti, i Centri Anziani sempre pieni ed in attività sollecitati dall’assessore Fabio Tagliaferri. E al tempo stesso di lasciare i riottosi e gli scontenti, confinati in un recinto politico dentro il quale articolare i loro dubia ed i loro distinguo.

La scelta di Mastrangeli ad un certo punto è stata evidente: nella sua visione delle cose un parcheggio allo Scalo vale più di un’accesso agli atti con cui qualcuno della sua maggioranza cerca di metterlo in difficoltà; un teatro realizzato in Centro storico o l’appalto per i Piloni, valgono più di qualunque rischio di crisi.

Il 2023 della giunta comunale di Frosinone è stato caratterizzato dagli scontri in un’Aula nella quale a mettere in difficoltà l’amministrazione è stata più efficace la maggioranza stessa che l’opposizione. Con interrogazioni e voti mancati che hanno avuto sulla città lo stesso impatto di un ceffone assestato con una piuma. Perché nel frattempo i parcheggi sono stati aperti, il teatro Vittoria è stato ristrutturato e sta per essere aperto, il Nestor è stato appaltato e tra pochi giorni verrà affissa la tabella del cantiere, i Piloni dopo un quarto di secolo hanno visto sbloccato l’iter per il loro recupero, il centro Storico ha avuto il suo parco ed i suoi corsi universitari.

Alla gente interessa questo. E poco o nulla delle scintille innescate dalle aspirazioni di chi vorrebbe fare l’assessore al posto di qualcun’altra. Riccardo Mastrangeli lo ha capito. E nell’unica occasione in cui ha avuto l’impressione che la città non fosse d’accordo (la rivoluzione del traffico allo Scalo) è andato e ci ha messo la faccia. Incontrando i cittadini. Da solo. Senza tecnici e senza assessori. Perchè il messaggio è chiaro: il sindaco è lui.

Doppio spartito.

ENZO SALERA

Enzo Salera (Foto © Stefano Strani)

Ruvido. Più della carta vetrata passata sulle zone sensibili. Spigoloso. Senza alcun accenno di tondeggiamenti. Il sindaco di Cassino Enzo Salera è così: prendere o lasciare. Totalmente privo di ammortizzatori diplomatici, al limite del masochismo: nel 2023 ogni volta che avrebbe potuto dire qualcosa in grado di ammorbidire i rapporti con quelli che non stavano in sintonia con lui è riuscito a rendere più profonde le spaccature e più abissali le distanze. Tanto da far sospettare che avesse mutuato la tattica di Bush padre quando poteva evitare il conflitto con Saddam ed invece lo spinse con tutte e due le mani verso la guerra.

Mai omologato, estraneo ai giochi di squadra che non siano i suoi e disegnati da lui. Che però nel 2023 non gli sono mai riusciti. Ha iniziato l’anno muovendo guerra alla componente maggioritaria del Partito Democratico con l’obiettivo di ribaltare gli equilibri in Federazione. Ha concluso l’anno ritrovandosi il suo avversario Francesco De Angelis che guida il Partito su scala regionale, il suo candidato alle Politiche che ha raccolto un voto poco meno che insignificante, il suo candidato alle Provinciali sconfitto, il suo referente alle Regionali escluso per ora dai giri che contano. La conseguenza interna è stata una frattura profonda con una parte dei Consiglieri: dalla Presidente d’Aula Barbara Di Rollo all’area di Luca Fardelli; fratture che se avesse voluto avrebbe potuto colmare. Ma ha scelto la strategia di Bush con Saddam.

Per contro, Cassino per la prima volta dal dopoguerra sta cambiando volto e tornando ad avere una fisionomia urbanistica. Enzo Salera sta cambiando i connotati ad una città che fino ad oggi è stata un grigio incrocio tra il razionalismo fascista ed i tecnicismo della ricostruzione post bellica. Nulla a che vedere con la bellezza e la personalità della Cassino ante guerra. Ora invece c’è una piazza con fontana e giochi d’acqua, c’è un centro pedonalizzato trasformato in salotto: i negozi che secondo le previsioni degli avversari dovevano fallire invece stanno aprendo. I conti sono stati risanati portando a compimento il percorso avviato da Carlo Maria D’Alessandro e Cassino nel 2023 ha potuto per questo procedere a nuove assunzioni.

La simpatia è un accessorio, di fronte alla concretezza dei progetti che incideranno per i prossimi decenni. Enzo Salera ha deciso di puntare su di loro per le elezioni Comunali 2024, mettendo da parte le pubbliche relazioni ed accettando i rischi connessi alla perdita di alcuni pezzi della sua maggioranza. Coerentemente con se stesso.

Ruvido ma efficace.

ANTONIO POMPEO

Mancò la fortuna, non il valore” scolpirono su un masso i bersaglieri lungo la via per Alessandria d’Egitto. Anche il 2023 di Antonio Pompeo si è concluso a pochi chilometri da ogni traguardo. Se sia stata una questione di malasorte o mancata pianificazione è tema che dividerà a lungo le tifoserie.

Il 2023 lascia Antonio Pompeo con 15mila voti personali. Ma fuori dalla Regione Lazio alla quale non ha avuto accesso per appena 2mila voti di scarto. E pure fuori dalla Provincia di Frosinone che per due volte ha presieduto e dal Comune di Ferentino che per due mandati ha amministrato. In entrambi i casi ha scelto alleanze e percorsi che non sono stati vincenti: ma un distinguo va fatto.

Se Antonio Pompeo avesse voluto non gli sarebbe mancata la possibilità di raggiungere una sintesi ed evitare la conta che lo vede titolare d’una massa immensa di consenso ma non bastevole per governare. Il fatto è che quella conta l’ha voluta. Lui. Perché piuttosto che andare a fondersi e dividere, la visione politica di Pompeo è che ci si conta e se si vince allora si governa, se non si vince si è legittima opposizione ma lo si è dall’alto della propria forza elettorale. Una visione che è all’opposto della cinica concretezza secondo la quale è meglio essere minoritari all’interno di una maggioranza ma comunque avere così la possibilità di partecipare al cambiamento delle cose.

Per Antonio Pompeo la contaminazione è un difetto mentre per altri è il prezzo della sintesi. Punti di vista. Al netto delle filosofie: gli sarebbe bastato non litigare con lo storico vicesindaco Luigi Vittori per avere dalla sua parte quei 2mila voti che gli hanno chiuso i cancelli della Regione Lazio, quei pochi voti ponderati che in Provincia avrebbero fatto vincere il suo candidato presidente, partecipando all’elezione del sindaco suo successore a Ferentino.

Ma la politica non è solo cinismo, non è solo matematica. Non secondo la visione di Pompeo.

Visioni alternative

GIANCARLO GIORGETTI

Foto © Imagoeconomica

Poche luci e molte ombre nel 2023 di Giancarlo Giorgetti. Il ministro dell’Economia del governo Meloni aveva esordito sotto i migliori auspici. Era titolare di dicastero uscente. Cioè ed almeno in teoria uno talmente affidabile da essere riconfermato anche dopo l’avvento di un governo di destra in purezza.

In più, Giorgetti si era collocato nel tempo in quella “nicchia virtuosa” in cui stanno sereni e forti i leghisti governisti. Cioè coloro che sono più bravi ad amministrare che ad urlare e che sono candidati al dopo Salvini. La primavera aveva colto il titolare di Via XX Settembre in piena fregola da conti a posto.

Conti quadrati o quadrabili perché Giorgetti alla fine quello era più di tutto: il Ragioniere Ottimo Massimo di una Giorgia Meloni ibrida. L’uomo in Ue di una leader sovranista in piena e forzosa metamorfosi europeista che aveva bisogno dello sparring più affidabile di tutti nel settore più cruciale di tutti.

Poi è arrivata l’estate e con essa i grandi endorsement dei colleghi di Palazzo Chigi. Gli svarioni di Lollobrigida, Santanche’, Sangiuliano e Delmastro. Le ruvidezze di Piantedosi e Valditara e l’abulia mesta di Nordio avevano messo Giorgetti in pole.

Il più bravo di tutti senza macchia ed alla cloche del razzo più grosso: quello di soldi e UE. Cosa c’è di meglio? Il Mes, la mancata ratifica e la figuraccia di fine anno con quella Bruxelles di cui doveva essere jolly hanno quasi vanificato tutto.

E l‘anno di Giancarlo Giorgetti è passato da roba da almanacco a mezzo annus horribilis.

Peccato.

ELLY SCHLEIN

Elly Schlein (Foto: Giulia Palmigiani © Imagoeconomica)

È cominciato sotto i migliori auspici, perché in certe cose il calendario fa cose magistrali. Mette cioè in fila alcuni mesi come se la loro scansione dovesse andare di pari passo in escalation con l’inesorabile profilarsi all’orizzonte di donne e uomini “del destino”.

Ora, anche al netto delle esperienze amare di noi italiani con siffatta specie, c’è sempre un problema. Ed è un problema con cui Elly Schlein ha fatto i conti. Non è solo usura della gloria che ti si cuce addosso, quella è fisiologica, ma anche qualcos’altro.

Un anno esatto fa la vice presidente dell’Emilia Romagna diventa la possibile risposta alle cataratte dimostrate dagli “occhi della tigre” invocati dall’ultimo dei soriani: Enrico Letta. A settembre il PD era stato simbolo di una disfatta d’urna che aveva portato Giorgia Meloni a Palazzo Chigi. Febbraio era stato quindi il mese delle Primarie della riscossa e il 27 era stato un giorno particolare. Quello del “non ci hanno visti arrivare“.

Elly Schlein diventa Segretaria del Pd da non iscritta al Pd ed una promessa di massimalismo. Con lei i dem vogliono dire basta al cerchiobottismo di matrice margheritiana, alcuni sono felici, altri sono furiosi, altri ancora attendono. Cosa? Che la nuova rotta produca frutti, altrimenti come tutte le nuove rotte cadrà sotto la scure di chi il nuovo non lo voleva.

Poi qualcosa si inceppa, e non solo per usura. L’ortodossia di Schlein sembra affidata ad un lessico più da liceo che da strada e le sue battaglie sembrano più etiche che sociali. Con economia e lavoro nodi grossi al pettine è peccato mortale.

L’armocromia non buca i cuori e la intensa stagione sindacale mette la segretaria in ombra rispetto al ben più terragno Maurizio Landini. Il sogno di un 22% per fine dicembre è svanito sotto il 19, il M5s di Conte è ancora sparring astioso ed a tratti è Schlein sente un po’ di affanno.

Affanno per un anno nel quale il nuovo destino del PD non si è compiuto. Non ancora, almeno.

Ci hanno visti e come.