Tra causa e crociata, con Hamas che fa ricompattare il centro destra

Un nemico comune che ha di nuovo equalizzato la narrazione politica di partiti che su altri temi iniziavano ad "andare ognuno per sé"

Piero Cima-Sognai

Ne elegantia abutere

Per il destra centro italiano Hamas è stato come il calcio scommesse con Fabrizio Corona tra Savonarola e Buscetta per sport e media: un collante. Collante a volte ipocrita, altre sentito in punto di purezza di pensiero ma comunque collante. Cioè occasione buona anche per rimettere assieme i cocci di perdute unità o di compattezze minate. Non cadremo nel trappolone letale di voler confezionare un’iperbole per il lettore medio italiano che certe cose proprio non le sa mettere a fuoco, ma il dato resta.

Il terribile attacco terroristico dei 30mila sunniti di Gaza contro il sud incandescente di Israele non ha avuto solo il potere agghiacciante di un’epifania dell’orrore, unanime e senza riserve. No, ha anche e per certi versi tutti nostri “soprattutto” rimesso i partiti del destra centro su una linea comune. Succede da sempre ed è successo ancora: che cioè quando all’orizzonte si profila un nemico comune esterno tutte le fratture interne prendono di silicone emergenziale. E la politica litigiosa delle coalizioni ne risente, traendone beneficio amato.

Il nuovo lessico d’emergenza e la “koinè”

Scontri nella striscia di Gaza

Cambia il lessico ed attraverso quella koinè ci si ricompone ad uno sputo dalla Crepa Grande, quella oltre la quale il dialogo diventa inutile. Spieghiamola meglio. E corriamo nel campo minato delle letture accessorie su cui grava tutto il “fumus etico” di un’Italia che in queste cose si indigna in maniera direttamente proporzionale alla sua ipocrisia.

Prima dell’attacco di Hamas contro i kibbutz israeliani del sud la situazione politica interna italiana era fratta assai. Con la complicità evidente della campagna elettorale per le Europee 2024 i tre principali partiti di maggioranza, FdI, Lega e FI, se le suonavano come fabbri su quasi tutti i temi-claim dell’agenda governativa.

Non era un picchiarsi “scozzese”, vale a dire sonoro, trucido e muscolare, piuttosto era uno stillicidio carsico di stilettate ad hoc. Dove Giorgia Meloni – che è volata in Egitto per il primo tavolo sul tema – equalizzava per duplice obbligo, di leader e premier, lì Matteo Salvini alzava il volume e si intestava cose ma in maniera più marcata fino ad appaltare il 4 Novembre in chiave anti islamica. Dove Matteo Salvini gridava in modalità derviscio sul banalume mainstreamAntonio Tajani piazzava briscole sagge di equilibrio.

Meloni, Tajani, Salvini e il Super Attak

Giorgia Meloni

Lo scopo era comune ma con interessi di bottega diversi e trini: far capire all’elettorato che al Parlamento Ue ci si doveva mandare la gente giusta ed il partito giusto. Quello bifronte della premier, quello “apache” del vicepremier uno e quello “bizantino” del vicepremier due. Su migranti, legge di bilancio, pensioni, rapporti con Francia e Germania e Mes i tre erano e sono in modalità ring. Ci stavano come i ragazzini di ghenga al parco, che fingono di darsele come amiconi ma che poi alla fine un po’ se le danno davvero perché sul muretto ci sono le ragazze a guardare e studiare come flettono i bicipiti.

Poi è arrivata una cosa immensa, troppo grande all’inizio per contenere queste piccinerie da strategia borgatara ma troppo invitanti in fase “tiepida” per non suggerire un utilizzo più bieco. Occhio: certe cose accadono più per fisiologia che per trucide bandierine piazzate scientemente sulla cartina, semplicemente succedono. Come quando con il Covid sembrò normale a tutti che Salvini facesse da compare a Giuseppe Conte.

Le cose “buone” che fanno le cose terribili

Antonio Tajani (Foto: Carlo Lannutti © Imagoeconomica)

Il fatto è che che quando ci sono cose immense e terribili a chiedere attenzione ai sistemi complessi gli stessi reagiscono come la testuggine romana. E sotto quegli scudi protesi a coprire le schiene di tutti ci si parla da bocca ad orecchio. Quei sistemi iniziano ad irrobustirsi, a trovare omogeneità dove prima c’era macedonia, a suturare i graffi per evitare gli squarci.

La politica non fa eccezione e von Clausewitz lo aveva detto illo tempore molto bene. Solo che quando accade scattano altre barriere che nel pensiero occidentale hanno avuto anch’esse il tempo di irrobustirsi. Sono quelle linguistiche ed eticheggianti per cui “questo è il momento della coesione e chiunque insinui strumentalismi è da ban”.

L’opportunità non cercata ma “gradita”

Non è così, non è mai stato così e così non sarà mai. Non può esserlo perché dove arriva, forte e rombante, il terrore lì, attaccato alla sua coda arriva anche il poltergeist dell’opportunità, che è sorella meschina dell’emergenza. Gli opinionisti che sul tema si dividono come il Mar Rosso sono solo specchio di una divisione più ampia.

Ecco che quindi il fronte comune contro Hamas, la repulsione preconcetta nei confronti del distinguo tra terroristi e palestinesi e l’incondizionato peana per Israele senza un briciolo di analisi critica hanno fatto da mastice.

Come alle crociate: “Deus Vult”, e pure l’Ue

E fatto al destra centro quello che il Super Attak fa alle suole delle scarpe low price quando si scollano dalla tomaia dopo pochi mesi di cammino ed un paio di calcetti a qualche gradino in metrò. E’ roba che dura poco ma dura il tempo che serve, giusto quello di passare il lapis sotto le “storture” di un centro sinistra che “osa” calare un poker di mozioni e non avere una visione univoca della questione. Ci si è blandamente avvicinati ad una ecumenica obiettività solo dopo la strage all’ospedale provocata da un razzo a cui tutti vogliono dare bandiera, non per capire, ma per corroborare quello che già hanno maturato come ferrea convinzione.

Matteo Salvini

Tutti irregimentati, tutti compatti, tutti uniti da un lessico che ha via via preso i toni in crescendo di una causa, o di una crociata. E proprio come accadde per quelle spedizioni bulle avviate con il “Deus vult” di Papa Urbano II all’improvviso tutto tornò a fuoco nella mistica della Gerusalemme da liberare.

La Chiesa trovò un fine, l’Europa trovò un mezzo e i cadetti trovarono un tornaconto. Così alla fine tutti furono felici, felici e liberi di continuare ad odiarsi, ma senza farlo sapere troppo ai nemici di dentro. Perché c’era un nemico fuori, e quella era stata una inaspettata fortuna anche per chi parlava di sventura. Un’occasione che non doveva capitare, ma già che ci siamo…