Trabocchi e trabocchetti abruzzesi: come funzionerà l’elmetto di Meloni

Il nuovo voto regionale che è un test bis per la maggioranza di governo. E il rischio che le elezioni in Abruzzo segnino la "fine" della Lega

Piero Cima-Sognai

Ne elegantia abutere

L’elmetto che indosserà Giorgia Meloni per le elezioni regionali in Abruzzo è il “Fritz”, quello mutuato dalla Wermacht germanica. E per carità di Dio non certo per foraggiare la mistica scema di chi a Meloni, non potendole togliere carisma, imputa mancate abiure. No, il “Fritz” è elmetto germanico di origine, ma tanto efficace da essere stato adottato nella versione in kevlar anche dallo Us Army. Ha il paranuca, quel coso, cioè ti copre dai colpi alle spalle e ti copre la parte più vulnerabile.

E il trabocchetto nella terra che in costa ha gli splendidi trabocchi la premier potrebbe ritrovarselo proprio alle terga, oltre che spadellato di fronte ad opera del campo “largo assai”. Campo largo che ha in bocca ancora il saporino sapido della vittoria sarda, di misura ma taumaturgica, e in speranzoso odor di diventare sintomo sistemico.

C’è un canto del cigno all’orizzonte

Matteo Salvini

Non sono pochi tra gli analisti studiati quelli che giurano come il voto di domenica possa rappresentare, tra le altre cose, anche il canto del cigno dell’amicizia-alleanza-comparaggio tra Meloni e Matteo Salvini. Simone Canettieri de Il Foglio cita infido un episodio avvenuto in occasione della coda al comizio sotto il diluvio di Pescara. “Al momento della foto di gruppo sotto le note dell’Inno Mameli non si trova Matteo Salvini. Ci sono Lupi e Cesa, Rotondi e Marsilio, Meloni e Tajani, ma lui, il leader della Lega è scomparso. ‘Aveva un impegno’, diranno balbettando qualcosa dalla Lega. Ma questa scomparsa di Salvini, apparso remissivo e non di buon umore, la dice lunga.

Il Capitano è insomma teso come una corda di violino e sente aria di fronda. Non da Avezzano, ma addirittura da quel di Pontida, cioè casa sua. E a questo punto non si sa se per broncio o calcolo a lui conviene non fare più troppo l’amicone in endorsement. Piuttosto l’alleato che non disdegna il sussiego dei veggenti, o dei sicari. In poco più di 20 minuti di comizio la premier ha tirato fuori uno starter pack di caratura meno goldoniana di quello esibito a Cagliari.

Giorgia: meno cabaret e temi locali

Giorgia Meloni

Non ha fatto troppe faccette ma ha zompato come una derviscia alla fine e Piazza Salotto ha gradito assai. Ha svisato giusto un attimo col falsetto (roba che ormai porta male e Meloni a ‘ste cose ci crede). Lo ha fatto, il numeretto da cabaret, quando ha ironizzato su un Marsilio amicone suo sparato in Abruzzo da Roma a fare l’uomo totem, più che il Presidente di Regione.

Il senso generale è quello per cui la premier e il destracentro nel suo complesso abbiano temi ficcanti per ogni regione e contesto territoriale, ma con quella patina artificiale che li rende più roba da spot che da polpa.

Ma la politica è così e la territorialità calibrata a puntino sono dogma da cui non si può derogare.

Il localismo utile: da Abbruzzese a Buongiovanni

Mario Abbruzzese

A livello locale lo dimostra al top di gamma Mario Abbruzzese per la Lega e nella sua corsa per Bruxelles. L’ex Presidente del Consiglio Regionale del Lazio si guarda bene dal concimare le distanze tra il suo leader e la sua premier e si presenta come uomo adatto perché skillato sui fatti della terra che lo esprime.

Più concreto? Qualche anno fa Abbruzzese fu impallinato sull’uscio di Montecitorio da un proiettile vagante che non era indirizzato a lui. Accadde che il centrosinistra candidò a Cassino come deputato il compianto avvocato Gianrico Ranaldi: tra le file del ‘campo largo ante litteram‘ ci fu chi intuì che una massa enorme di voti sul prof. ne avrebbe fatto il naturale candidato a sindaco di Cassino. Per non correre il rischio ci fu un consistente pacchetto di voti che venne riversato sulla sconosciuta candidata del Movimento 5 Stelle Ilaria Fontana. Che senza avere praticamente mai messo piede a Cassino ne divenne la deputata. Raramente s’è vista pure dopo e nessuna battaglia per il Cassinate è rimasta nella memoria.

Arturo Buongiovanni

Lo stesso percorso dell’uomo con le skill giuste per la sua terra si sta tentando, a livello ancor più locale ma sempre in contesto d’urna per le elezioni a Cassino. Cioè dove il civico di destra-centro Arturo Buongiovanni si è fatto un elenco laico di ogni cosa che stia appiccicata alla parte terrigena e praticona della Città Martire. E con quello in tasca gira per mercati, negozi, strade, abbaini e quartieri. Ed accreditandosi come perfettamente in grado di leggere e musicare lo spartito della località pignola.

La Roma-Pescara, per pescare bene

Meloni non fa certo eccezione e per l’Abruzzo ha tirato fuori la Roma-Pescara, come quando Abbruzzese puntava tutto sulla Termoli-San Vitttore.

La viabilità è uno dei gold-theme per allamare consenso: ha quel respiro funzionale e strutturale che piace a tutti… E che a ben vedere ha anche spodestato le competenze di Salvini, spiegando forse un malumore che appare comunque più profondo e sistemico. Il nodo abruzzese è doppio per il destra centro, cioè tien fuori Forza Italia che è in ripresa e che ha saldissime entrature storiche marsicane.

Da un lato Meloni deve vincere prima ancora e meglio ancora di quanto eventualmente vinca la compagine. Dall’altro Salvini non solo deve vincere, ma deve sperare in numeri che non diano – quelli sì – polpa sistemica al crash della sua Lega. Non della Lega, si badi, ma della Lega salviniana, e le due cose da tempo sono ormai su binari diversi.

I guai del Capitano: rischia di finire “arrosticino”

Foto: Giuliano Del Gatto © Imagoeconomica

Canettieri è aspide nella sua descrizione: “Il capo della Lega sa che domenica notte qui potrebbe passare un bruttissimo quarto d’ora quando inizierà lo spoglio. Dettaglio: bandiere della Lega contate in piazza due, quelle dell’Ucraina ben quattro. ‘Noi andremo in doppia cifra. La Lega? Io penso a Forza Italia’, gongola un rinato Antonio Tajani, pronto a scommettere una frittura a pranzo e un piatto di arrosticini a cena sulla vittoria di Marsilio”.

Gli arrosticini, si sa, a volerli fare in mood ortodosso si cuociono sui “canali” rovesciati, cioè sulle tegole. E ciò che Meloni deve evitare indossando appunto l’elmetto è proprio un tegola. Quella infida di una eventuale sconfitta che consegnerebbe l’Abruzzo al pacioso prof Luciano D’Amico, uno che la guerra non la usa manco come metafora lontana.

Tutti a fare sparring: si deve vincere

In terra abruzzese ci sono arrivati tutti, tra i giannizzeri del governo. Tutti a fare sparring alla coalizione che non può perdere e non solo per questioni numeriche. Ma per non perdere shining in attesa de voto europeo che è sotto scacco di un domino infido. Se inizi a buscarle in loop alle Regionali finisce che il vento muta quel tanto da non farti incassare il mezzo plebiscito Ue che ti aspettavi. E con il quale iniziare a trattare di sforamento dal Patto da una posizione di forza a partire dell’anno prossimo.

Giuseppe Conte

E sull’altro fonte, quello che ha messo assieme Carlo Calenda e Giuseppe Conte ma senza che il primo abbia rinunciato a cazziare metodicamente il secondo? “Le liste del centrosinistra sono tecnicamente più deboli rispetto a quelle del centrodestra”. Il mood del destracentro è il solito: a metà strada esatta fra cose locali e temi nazionali, in primis quello delle strusciate alla polizia malgrado le manganellate di Pisa.

Lessico da Colle, ma non è uguale per tutti

Con i giusti distinguo tra generale e particolare ci sta, e Meloni, che è tornata furba sul caso, difende ma senza latrare. E soprattutto riceve “con Tajani e Piantedosi i sindacati di polizia per discutere del rinnovo contrattuale”. E Salvini? A lui l’elmetto non interessa, lui alla guerra abruzzese ci andrà come i Comanche, coperto solo di piume e foga ribalda da ultima cavalcata a pelo. Perciò spiega: “Le parole di Mattarella sui manganelli? Le ho lette, ma non le commento”.

Matteo Salvini e Giorgia Meloni (Foto: Sergio Oliverio / Imagoeconomica)

Non è il momento di cazziare il Colle, questo, ma non è neanche il momento per scordarsi che con questo Colle qua Salvini non è mai stato burro e alici. Perciò ci si concentra sulla vittoria del destra centro. E sull’evitare la sconfitta di quella sua parte che teme di essere nuovamente doppiata dagli azzurri.

Ed in quel caso Meloni l’elmetto lo dovrà passare a Salvini. Forse, e se sì solo per cortesia.