Il “melonicidio” di Giorgia e i fratricidi che Ruspandini ha dribblato a Cassino

Dagospia dà la premier come nervosa per un possibile esito negativo in Sardegna. Dove il modello Cassino del "carro senza impronte" non c'è

Piero Cima-Sognai

Ne elegantia abutere

Dagospia le sue cose le sa mettere bene, magari con un po’ troppo pimento da parlesia portuale, ma con spietata lucidità. Il senso è che la lista dei “melonicidi” è lunghetta. Il primo nome della lista è quello di Matteo Salvini se la Sardegna canterà il de profundis ad un voto che lo ha marginalizzato a Bruxelles, dove il Ppe potrebbe fagocitare tutto e tutti e i prog potrebbero non prendere l’auspicata batosta.

Un appuntamento d’urna che se non avrà accasato la giusta quota di Fratelli d’Italia potrebbe diventare l’ara funebre di una premier “Ursula” per dovere ma ursina dentro. E quindi poco premiata da un voto che le potrebbe “sgamare” il bluff.

Todde data in pole per il voto

Alessandra Todde (Foto: Paolo Cerroni / Imagoeconomica)

Il tema clou, soprattutto per timing, è quello della Sardegna. Dagospia fa sponda su alcuni “sondaggi riservati” ma attendibili che darebbero Alessandra Todde in vantaggio su Paolo Truzzu, cioè la candidata del campo largo Pd-M5s che le suonerebbe al candidato del destracentro.

E – attenzione ché qui si innesca il possibile melonicidio – Truzzu non è come noto il candidato somma delle istanze di tutti e tre gli alleati che governano l’Italia. No, Truzzu è la prova di forza vivente che Giorgia Meloni ha imposto a Matteo Salvini in barba all’uscente Christian Solinas, cioè l’uomo di Matteo Salvini in Sardegna.

Facile ipotizzare quindi che in caso di vittoria di Todde riemergerebbe prepotente la frattura mai sanata tra il Capitano e la premier. Che sono separati in casa anche per il voto Ue dove fanno riferimento ad aree contrapposte come tordi e doppietta.

Ruspandini che non lascia impronte

Insomma, la tesi è quella per cui quando scommetti su un candidato identitario e non sei in una posizione di forza ti giochi molto più che una casella politica, ma il tuo diritto ad occuparla come leader.

Una tecnica avventata che per esempio non ha adottato a Cassino Massimo Ruspandini. Per le elezioni amministrative in cui bisognerà frantumare un osso durissimo come Enzo Salera il deputato e presidente provinciale si è guardato bene dal lasciare impronte digitali dirette sullo sfidante del destracentro.

Con la complicità di una base locale più propensa alla “ammuina” che alla scrematura serena, Ruspandini alla fine ha capitolato in punto di identitarismo. E non ha indicato un candidato/a con tessera e pedigree. No, si è accodato alla scelta “paracadutata” che ha moncato le primarie in corso d’opera. Ed ha messo firma disincantata sotto al documento che indicava in Arturo Buongiovanni jr l’anti Salera del destra centro.

Perciò non ha fatto come Meloni in Sardegna pur vivendo una situazione quasi speculare a quella della sua leader. Così se vince sta sul carro ma se perde non diventa un target.

“Buongiovanni è sorprendente”

“Ho incontrato Arturo. Sempre più convinto che sia lui l’uomo giusto per conquistare Cassino”: lo ha scritto sui social, Ruspandini. “Buongiovanni è un candidato sorprendente. Un uomo che ha tanto da dare. E che saprà riportare la politica al centro di una città importante come Cassino liberandola da personalismi e lotte fratricide. Ce l’aveva con i suoi?

Insomma, dove ieri a malapena ci aveva parlato al telefono oggi ha capito tutto di lui, in profondità empatico-zen. E lui, il candidato: “Ti ringrazio, Massimo, per l’incontro profondo e proficuo. Per la stima e per il sostegno deciso alla mia candidatura a sindaco di Cassino”.

Come due tortorelle su un ramo di pesco quindi, ma in Sardegna è un’altra cosa, e non solo per il calibro di quello che c’è in gioco e di chi sta “giocando”.

L’atroce dubbio: Cosa farà Solinas-Salvini?

Matteo Salvini

Sul capo di Giorgia Meloni pesa anche un’altra incognita, sempre riconducibile al Salvini-sicario. Il Partito Sardo d’Azione, quello che guida il salviniano Solinas, voterà per Truzzu? Voterà per qualcun altr* o andrà a fare massa critica su quel 50% di elettori che non dovrebbero proprio andare a votare?

C’è di che essere nervosi dunque, ed il lessico insolitamente aspro che Meloni ha usato nel comizio di chiusura parrebbe confermarlo. Non che la premier non sia abituata a questo bipolarismo tra pacatezza istituzionale e sturm und drang partitico.

E’ solo che stavolta Giorgia pare aver indugiato un po’ troppo su toni e volume higt. Falsetti striduli che la Sabina Guzzanti che la imita pareva un’imitazione pessima, parabolette, domande retoriche. Poi mimica alla Maurizio Battista e battutine urticanti non sono solo lo startet pack di una politica che sa ammaliare le masse. No, se vai in upgrade quel registro comunicativo là declina la grammatica della paura. La paura che politicamente lì, in quell’isola, ti prenda una mazzata mortale.

Lessico e media: i due indicatori

Claudio Fazzone ed Antonio Tajani (Foto: Sara Minelli © Imagoeconomica)

Dagospia passa l’evidenziatore su altre chiavi di lettura. Non ultima quella di un racconto mediatico in cui la premier sia data come già a fine luna di miele. Perciò per la bisogna Meloni le caselle mediatiche se le è prese praticamente tutte.

Il calendario sa essere bastardo e proprio quando per fisiologia le cose non sono più perfette eccoti due test elettorali uno più delicato dell’altro.

E con due alleati che hanno rotte ben delineate che non sono le tue. Antonio Tajani, segretario ufficiale di Forza Italia, che per sua ammissione fa il Bruscolotti della situazione. E si sente “come in finale Champions ma senza Maradona”. E Matteo Salvini che ha capito che se canto del cigno dev’essere allora è meglio che il cigno al posto della remigante abbia un pugnale.

Cerchio “maggico” e media, a me

Arianna Meloni alle spalle della sorella Giorgia (Foto: Andrea Panegrossi © Imagoeconomica)

Mai come in questo periodo la presenza di due giannizzeri a 24 carati come Giovan Battista Fazzolari e Patrizia Scurti è indicativa. Lo è del fatto che alla premier serve il suo cerchio “maggico”. Stretto attorno a lei, pretoriano come mai prima, arcigno.

E mai come adesso la funzione della Sardegna di rielaborare, magari con un test positivo il campo largo Pd-M5s, potrebbe rappresentare due cose. Il ritorno su scala nazionale di un modello tafazzianamente cassato troppo in fretta dal centrosinistra. E l’inizio della fine del patto d’acciaio tra la Meloni che sta sempre nel giusto e chi a quella tesi ci crede. E vota di conseguenza, oltre che sdilinquirsi sui social.

Potrebbe essere la prima mossa di un “melonicidio” che non è ancora cronaca, ma che non è già più fantasy.