Un Fazzone “nucleare” per un dibattito surreale

Il dibattito innescato dalla recente proposta del senatore pontino Claudio Fazzone di tornare al nucleare. Con toni che rasentano il surreale. Ecco perché

Andrea Apruzzese

Inter sidera versor

Il nucleare, in Italia non c’è più. Dal 1987. Anzi c’è ancora, ma nel senso di scorie e di – ormai – vecchie centrali in dismissione. Sulle quali Sogin (Società di gestione degli impianti nucleari) ha impegnato tecnici, risorse e progetti lunghi e complessi per conto dello Stato. Perché costruire una centrale è un conto. Dismetterla è un altro paio di maniche. Soprattutto eliminare i cosiddetti noccioli, ormai irraggiati. Che non si potranno estrarre senza tecnologie adeguate. Tralasciando l’ampio dibattito sul sito nazionale dove stoccare i rifiuti nucleari (che sono di varia natura e di vario decadimento).

La proposta Fazzone

(Foto: Giulia Palmigiani © Imagoeconomica)

In tutto questo scenario, si inserisce il dibattito: tornare al nucleare o no? Dibattito alimentato dall’aumento dei costi generali dell’energia. È qui che, giorni fa, si inserisce una proposta di legge del senatore pontino Claudio Fazzone, coordinatore regionale del Lazio di Forza Italia e massimo esponente del Partito nella provincia pontina.

Provincia che, come si dice spesso, “ha già dato“, in materia nucleare. Borgo Sabotino, in particolare, fu la prima centrale d’Italia. Sviluppata su progetto britannico, realizzata in meno di cinque anni, entrata in funzione nel 1962, spenta dopo il referendum antinucleare del 1987 sulla spinta del disastro di Chernobyl di un anno prima. All’epoca della fondazione, fu un gioiello di tecnologia di un’Italia che risorgeva dalle ceneri della seconda guerra mondiale (e dal dissolvimento del gruppo dei ragazzi di via Panisperna). (Leggi qui: La centrale nucleare che fece la città).

Da anni, Sogin la sta smontando, letteralmente bullone per bullone. Ma Latina ha dato non una, bensì due volte: anche la centrale del Garigliano, formalmente in provincia di Caserta, sorge in un’ansa del fiume prossima più al pontino che al casertano. (Leggi qui: Addio all’ultima cattedrale nucleare d’Italia. E’ a Latina).

La riattivazione improbabile

La centrale nucleare di Latina

Secondo Fazzone però, al nucleare si deve tornare. Anche riattivando le ex centrali. Ormai mezze smontate. E comunque ormai obsolete. D’altronde, il titolo del suo disegno di legge depositato al Senato, non lascia dubbi: «Disposizioni per la riattivazione delle centrali nucleari esistenti sul territorio nazionale e la costruzione di nuovi impianti di produzione di energia nucleare».

Come non lascia dubbi una frase del testo: «Introdurre l’uso pacifico e civile dell’energia nucleare di nuova generazione, prevedendo la riattivazione degli impianti nucleari esistenti e la costruzione e la gestione di nuove centrali nucleari e del deposito nazionale per la sistemazione in sicurezza e lo stoccaggio dei rifiuti radioattivi».

Riattivazione degli impianti esistenti, dunque. Che però, secondo Sogin è non più di un’utopia fantascientifica. Semmai, si potrebbe ipotizzare di costruirne di nuove. In un Paese che dovrebbe superare il pronunciamento popolare del 1987. Ma non è solo questo il problema: l’Italia, rinunciando al nucleare, è rimasta indietro di tecnologia, progettazione, risorse umane destinate a ideare e gestire nuove centrali: tutto è destinato infatti allo smantellare l’esistente.

Il dibattito surreale

Renzo Scalco

In tutto questo, si scatena un dibattito che appare surreale: parlare di un nucleare che non c’è e che difficilmente ci sarà. A Fazzone risponde, con chiare contrapposizioni politiche, il consigliere comunale e provinciale Renzo Scalco. Che è di Fratelli d’Italia, Partito che negli ultimi giorni ha duramente battibeccato  (a livello provinciale) con Forza Italia, dopo il pronunciamento di quest’ultima formazione in favore del presidente della Provincia Gerardo Stefanelli.

Scalco parla di «battaglia di buon senso» a proposito del ritorno al nucleare, purché «di ultima generazione». «D’altra parte, legandomi alle parole dell’amministratore delegato di Sogin, Gianluca Artizzu, starei attento a fughe in avanti sulla possibilità di riutilizzare le centrali in dismissione. Borgo Sabotino come il Garigliano hanno fatto la loro parte. Bene quindi puntare sul nucleare ma con i giusti criteri e senza gravare su territori che ancora vivono un delicato processo di smantellamento». 

No di principio e tecnico

Omar Sarubbo

A Fazzone hanno risposto anche dal Pd pontino, con i due segretari, Comunale e Provinciale, Marco Cepollaro (appena eletto due settimana fa) e Omar Sarubbo. «La possibilità di riattivare le vecchie centrali ci vede contrari in modo netto – spiega Cepollaro – ma occorre specificare che risulterebbe comunque impossibile. La Sogin stessa è intervenuta sul punto, sottolineando come il livello del decommissioning della centrale nucleare di Latina sia ormai in fase avanzata. I lavori di smantellamento in corso e l’obsolescenza della struttura di Borgo Sabotino non consentono credibilmente una riattivazione sotto il profilo tecnico».

L’impianto di Latina è stato realizzato tra il 1958 ed il 1962 ed è composto da un unico reattore da 220 MW di potenza, alimentato ad uranio naturale moderato a grafite e raffreddato con anidride carbonica. D’altro canto, «costruire nuove centrali ha costi elevatissimi, al punto da rendere antieconomica la produzione di energia. Inoltre, i tempi di costruzione sono molto lunghi, potendo superare anche i dieci anni se si considera tutto l’iter autorizzativo, e sono incompatibili con le prescrizioni europee sulla decarbonizzazione».

«Inizio con il far presente al Senatore Claudio Fazzone ed altri esponenti del Governo Nazionale che, secondo i dati Terna, la produzione italiana di energia da fonti green nel 2023 ha raggiunto il 43,8% del totale», aggiunge Sarubbo: «Lo scorso anno la Germania ha chiuso l’ultima sua centrale nucleare: nel corso di un decennio ha dismesso tutte le sue centrali, che valevano oltre il 20% di produzione nazionale di energia».

Meglio, dunque, il Green Deal Europeo 2050, «i cui obiettivi sono raggiungibili velocemente con investimenti volti a intensificare la produzione di energia pulita».