Vannacci per caso o per progetto, quando essere di destra è utile

Nei giorni in cui alla Pisana riesplode il caso De Angelis non ci si è accorti che la sola cosa su cui si discute è un libro mediocre

Piero Cima-Sognai

Ne elegantia abutere

Di una cosa si può star certi: la vicenda che sta “appassionando” gli ultimi scampoli di questa estate 2023 non è nata per caso. Né per caso è diventata quel loop stanco ma ossessivo che ci sta guastando le ultime trollate sotto l’ombrellone. Messa meglio: il generale Roberto Vannacci non è un rigido militare che per caso, esercitando il sacrosanto diritto di buttar giù un libello mediocre, ha trovato le dighe di un’Italia “contro”. Non c’è spontaneismo se non nel dato per cui la sua “battaglia” ha perfino prodotto un sedicente movimento di cui lui però dice di non sapere nulla. Lo guiderebbe un tenente colonnello in pensione, Fabio Filomeni.

No, il generale Roberto Vannacci medesimo è un plastico militare che, nel buttar giù un opuscolo trascurabile, ha capito che quello era il momento buono per fare una somma algebrica. Tra cosa? Tra le sue skill, le sue idee e la cassa di risonanza che le stesse avrebbero innescato. In un Paese dove le divisioni ideologiche sono roba molto più di merito delle opportunità di eunomia Vannacci ha trovato il suo personale Graal. Grazie anche ad un’editoria farlocca come non mai.

Non persona ma personaggio: missione compiuta

Il generale Roberto Vannacci

E da quella coppa lui ci ha trincato fino a diventare esattamente quello che è oggi: un personaggio e non più una persona, oltre che un papabile totem della destra che alla fine potrebbe scegliere di scendere in campo in politica.

E tutto ciò è molto mesto perché perfino gli anfibi da lancio del generale Vannacci hanno capito che dall’inizio alla fine c’era un piano, non un caso fortuito. Mettere assieme i i pezzi non è solo congettura da cartesiani un tanto al chilo.

E’ roba talmente evidente che non vedere il disegno significa semplicemente stare comodi tra quelli che sul caso Vannacci si sono già polarizzati, “a prescindere”, come diceva Totò. Come al solito l’arena è doppia ma col comune denominatore della fuffa: i social e la politica. Roba che a pensarci bene a sua volta è accomunata dal fine di creare grossi blocchi di pensiero dominante, solo che i primi li sfruttano per creare clienti, la seconda per creare elettori.

Non chi è Vannacci, ma cosa simboleggia

Guido Crosetto (Foto: Leonardo Puccini © Imagoeconomica)

Il generale ex comandante del Nono è, appunto, un militare la cui figurazione da foglio matricolare rimanda a due cose: la mistica dell’Arditismo a cui il Col Moschin si ispira e quella del “soldato perfetto” che ha fatto egregiamente il suo dovere su teatri cruciali.

Guido Crosetto ha colto l’imbarazzo del contesto ed ha agito da saggio. Sono due cose che polarizzano con la stessa velocità con cui l’azoto raffredda, solo che qui l’azoto è diventato rovente. Immediatamente, quando è stato fatto scoppiare il caso, gli italiani si sono divisi, cioè hanno fatto la cosa che sanno fare meglio da secoli.

Da un lato quelli che sguinciavano truci il pregresso di un soldato nipote di una Storia che a suo tempo figliò un po’ di Ventennio, dall’altro quelli che contemplavano sereni un soldato che ha portato il nome dell’Italia su scenari orgogliosi. Insomma, Vannacci è diventato due cose a seconda di chi doveva usare il suo caso: un eroe o un massimalista di estrema destra. La sola cosa che Vannacci sembrerebbe essere, cioè un furbo di tre cotte che si è fatto l’orticello rigoglioso nel mainstream di una terra concimata ad arte, pare sia sfuggita a tutti.

Il fertilizzante della fuffa: il centro-sinistra

Elly Schlein (Foto: Andrea Calandra © Imagoeconomica)

Ma per fare questo, per perfezionare questa operazione di rendita ideologica, il generale aveva bisogno di una sponda, di un fertilizzante certo e grasso, di fosfati da vaso. Ecco, in Italia quelli non solo non mancano mai, ma addirittura a volte sono più della terra che devono concimare. Vivono questa fortunata condizione esistenziale perché il centrosinistra italiano è da sempre più attento a sbraitare sulle questioni di concetto che a ragionare su quelle di progetto. Perciò il gioco è andato a meta in pochissimo tempo e bene.

Tutti, ma proprio tutti, si sono schierati contro il libello scemo del generale, tutti si sono arrovellati tra i distinguo pelosi dell’articolo 21 della Costituzione (che peloso non è, sia chiaro). Poi tutti, ma proprio tutti, hanno scelto da che parte stare senza neanche valutare se vi fossero parti. Alla fine il professor Saraceni ha fatto il canonico pistolotto cui cretini che non sanno la Magna Carta ed è partita la giostra.

Di contro la massa critica delle “utility” che Vannacci ha affidato a quel libro sono arrivate a valanga, ed erano utility politiche, ovvio.

Tattica, strategia e gonzi: il mix perfetto

Roberto Fiore, leader di Forza Nuova (Foto: Carlo Lannutti / Imagoeconomica)

Il sunto è che Vannacci, che è molto intelligente, oggi sta facendo tesoro della sua preparazione militare. E dopo aver fatto tattica è passato al livello superiore e sta facendo strategia. Come?

Con questa equazione: lui non scenderà in campo in politica con i fabbri ferrai di Forza Nuova di Roberto Fiore ma non esclude che un domani possa scendere in campo in altri contesti. “Qualora avessi un domani intenzione di cambiare idea prenderò in esame tutte le opportunità che mi si preparano davanti. Set, gioco e quasi partita, a ben vedere, perché significa che Vannacci è uno dei candidati del destra centro alle Europee 2024, e non certo sotto egida di un partitino qualunque.

Ora però il problema è un altro: posto che una derapata politica in purezza della greca paraca sia da considerarsi una iattura (e non è detto) chi ha incentivato la “iattura” medesima? I media che tra cento romanzucoli sono andati a pescare il libello sindacale di Vannacci o quella sinistra che ne ha fatto un totem? E che lo ha fatto proprio perché ha voluto a tutti i costi indicare l’ennesimo nemico della democrazia invece che l’ennesimo fantino dell’opportunismo?

Il caso De Angelis alla Pisana che non vuole morire

Marcello De Angelis (Foto: Marco Ponzianelli © Imagoeonomica)

La risposta sta tutta in un altro caso, simile ma non eguale, quello dell’addetto alla comunicazione del presidente della Regione Lazio Marcello De Angelis, ex militante attivo di destra. E fegatoso postatore social che aveva espresso dubbi arcigni sui colpevoli effettivi della strage neo fascista di Bologna. L’apriti cielo era stato talmente vigoroso che De Angelis aveva dovuto correggere il tiro ma al tempo stesso aveva calato intonso l’asso di un diritto dubitativo che in democrazia ci sta anche quando esso è associato a cose orripilanti.

Il governatore della Pisana aveva resistito alle pressioni per mandare De Angelis dimesso e ad inizio agosto aveva detto che il suo addetto alla comunicazione sarebbe “restato al suo posto”. Caso cassato? No, perché a quel punto il centro sinistra, che su certe cose non volta pagina manco fosse monco di mano, ha trovato la soluzione per rinverdire il caso. Come? Riesumando il De Angelis “rocchettaro nero”, quello che con il gruppo 270-bis cantava sconcio di ebrei “mercanti e violentatori”. (Leggi qui: Top e Flop, i protagonisti di giovedì 24 agosto 2023)

E’ roba orribile ma è sbagliato il tempo verbale: era roba orribile, dato che la verve tra razzismo ed heavy metal di De Angelis non gli è tornata come la febbre quartana, è solo che oggi scavare nel passato di ognuno è molto più facile. Anche se la questione del candelabro Nazi più di qualche dubbio lo legittima. (Leggi qui: Top e Flop, i protagonisti di venerdì 25 agosto 2023).

Meloni “coatta” e la ricerca della macchia

Giorgia Meloni

E perciò corroborare una tesi antecedente con elementi ex post ma antecedenti l’antefatto è un’alchimia scema che viene molto meglio, posto che ci sia un’agenzia disposta a sollevare un caso-bis.

Un po’ come se a Giorgia Meloni si contestasse il fatto di essere stata protagonista di una canzonetta dei tempi di Azione Studentesca. Nel 1998 i rocchettari celtici degli Aurora le cantavano “Coatto antico ma quanto quanto sei coatto. Anche se hai quegli occhi da cerbiatto. Mi guardi e sorridi con i tuoi occhioni. Ma quando serve c’hai i coglioni quadri”. Nulla di razzista in quelle strofe, per carità, ma il sugo è quello.

E’ il sugo di una sinistra che a furia di riesumare e a volte impalcare miti negativi vorrebbe far credere di aver assolto alla sua mission primeva. De Angelis ha spiegato che oggi a rileggere quelle parole prova “imbarazzo e orrore”, ma non è servito. Non al punto da far desistere ad esempio la consigliera regionale del Lazio e coordinatrice della Segreteria nazionale Pd, Marta Bonafoni dal dire la sua.

Bonafoni all’attacco: “I nuovi particolari”

Marta Bonafoni

“L’ex leader del gruppo fascio-rock 270 bis non fa in tempo a fare pubblica ammenda per i suoi ex ideali nazisti che giurava di aver relegato ad un passato che non può cancellare, che si vengono oggi a scoprire nuovi particolari raccapriccianti”. Cosa non va? Non la la parola “Scoprire“: non è roba nuova per “caricare” le esternazioni su Bologna.

E in chiosa: “Solamente qualche mese fa, nella sua pagina di Instagram, compare la foto di un candelabro che sembrerebbe rievocare le gesta del criminale di guerra Heinrich Himmler’. Il pelo e contropelo, meglio di lei lo ha fatto l’ex deputato Emanuele Fiano, che ha avuto il padre sopravvissuto ai campi di sterminio. Lì il problema non è il candelabro ma la sua accensione in una particolare data che ha un ben preciso significato nazi.

Anche a contare le aberrazioni certe che il tema rimette in gioco, se fatta come Fiano ha senso, fatta come la fa Bonafoni è caccia al pelo, poco da fare: ed è caccia grossa e grossolana al tempo stesso.

La stessa caccia che oggi ha permesso al generale Vannacci ma con meccanismo converso, in positivo, di essere molto più delle sue qualità militari e di diventare esattamente quello che sperava di diventare. Con le librerie che decidendo di non vendere il suo libro e che facendolo sapere in orgasmo etico lo fanno vendere ancora di più da quelle che hanno deciso di venderlo in fregola opposta.

Un caso, un Cape Canaveral di notorietà che alla fine ha prodotto un solo vero sconcio: far diventare un libro brutto un mezzo best seller. Brutto ma utile. Utile a lui, utile a tutti. Utile ad un’Italia che cerca moventi per litigare e mai motivi per crescere. Poco colta, rissosa e senza speranza.