Anche Zingaretti chiama Gentiloni: «Scendi in campo»

I Dem si riorganizzano in vista del voto bis, il modello a cui si guarda è un nuovo Ulivo. Calenda lancia il fronte Repubblicano. Nicola Zingaretti esorta Gentiloni a scendere in campo

CARLO BERTINI
per LA STAMPA

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Nel giorno del ritrovato protagonismo di Matteo Renzi, che torna nell’arena a combattere («le elezioni sono un’occasione di rivincita del Pd ma anche di salvataggio del Paese»), cresce il pressing del partito su Paolo Gentiloni.

Al premier e al suo entourage sono arrivati segnali diretti e precisi da vari big del Pd che lo invitano a scendere in campo e a prendere in mano la situazione prendendo il toro per le corna. Con Dario Franceschini in prima fila, che da mesi spinge per una leadership di Gentiloni, ci sono anche le telefonate dei vari Maurizio Martina, Andrea Orlando, Nicola Zingaretti e anche Graziano Delrio. Poi gli incontri con Walter Veltroni, Marco Minniti e Carlo Calenda. Tutti compatti a chiedergli di battere un colpo.

Che Gentiloni non ha intenzione di battere fino a che starà seduto sulla sua poltrona di Palazzo Chigi.

Ma poi, una volta consegnata la campanella a Cottarelli, dirà la sua: e non si tirerà indietro, dichiarandosi pronto ad affrontare la battaglia di autunno. Mettendo in campo una larga coalizione, che va «da Paolo Cento a Carlo Calenda», per usare una battuta di un suo stretto collaboratore. Ovvero, con il Pd in mezzo, una lista al centro e una alla sua sinistra, che possibilmente comprenda anche una parte dei fuoriusciti dal Pd che hanno dato vita a Leu.

Lo schema sarà quello di «un nuovo Ulivo» e la narrazione proverà a fare di Gentiloni «un nuovo Prodi» capace di assemblare culture politiche diverse. Ma non fino a lambire aperture a destra oltre l’immaginabile, come vorrebbe qualcuno.

 

Quando già tra le file dei renziani c’è chi evoca, con sfoggio di fantasia, un ticket Gentiloni-Tajani per guidare nella guerra delle urne «il fronte europeista» contro quello sovranista, ecco arrivare infatti la gelata di Silvio Berlusconi. Lesto a confermare l’alleanza con Salvini e la Meloni in una coalizione «destinata sicuramente a prevalere anche per la possibilità di una mia candidatura».

Ma Salvini che non dà per scontata l’alleanza con Forza Italia dà la stura a chi tra i renziani teorizza «l’obbligo di inventarsi qualcosa, forme di aggregazioni nuove» nel caso leghisti e grillini si coalizzassero col rischio di sbaragliare tutti nelle sfide dei collegi.

 

Calenda suggerisce al Pd la creazione di «un fronte repubblicano aperto a chi non vuole uscire dall’Ue». E se c’è chi spera nel ritorno di Renzi leader e chi spera in «san Paolo», per ora le fazioni del Pd mettono la sordina: e decidono di ritrovarsi in piazza il primo giugno a difesa di Mattarella.

«La base preme e va dato un segnale di reazione», convengono Marcucci, Orfini, Delrio e Martina chiusi in una stanza a decidere il da farsi. «Stanno giocando sulla pelle degli italiani. Noi abbiamo il dovere di reagire», sostiene Renzi, dicendosi pronto a stare in prima fila venerdì a Roma.

Intanto, malgrado lui dica che l’unica cosa che non può fare il Pd è dividersi, spuntano diverse visioni su cosa fare con il governo Cottarelli. «Non si può dare ragione a Salvini, non possiamo restare l’unico gruppo a votare sì», è la tesi prevalente. La paura è che votando la fiducia a Cottarelli si possa minare la neutralità che Mattarella vuol dare a questo governo. E dunque alla fine il Pd potrebbe astenersi per differenziarsi dagli altri.

 

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