«Da Calamandrei a Renzi, perché dico No al referendum»

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Achille Migliorelli

 

di ACHILLE MIGLIORELLI
(già dirigente provinciale Partito Comunista Italiano
e già sindaco di San Giorgio a Liri)

 

Consentitemi un ricordo. Il 25 aprile 1960 tenni il mio primo comizio, in piazza Dante, a San Giorgio a Liri. Parlai a lungo della Resistenza e della lotta di Liberazione. Fu naturale commentare qualche passo della Costituzione, che era stato il frutto più interessante della ricostruzione civile e morale del Paese e che aveva segnato la sconfitta del fascismo e condotto al ripristino della democrazia e della libertà. E lessi un passo del discorso, che Piero Calamandrei – il più illustre “cantore” dell’epopea partigiana – aveva tenuto a Milano, nel 1955.

Queste sono le parole più significative di quell’intervento: “Se volete andare in pellegrinaggio nel luogo dove è nata la nostra Costituzione, andate nelle montagne dove caddero i partigiani, nelle carceri dove furono imprigionati, nei campi dove furono impiccati. Dovunque è morto un italiano per riscattare la libertà e la dignità, andate lì, o giovani, col pensiero perchè lì è nata la nostra Costituzione“. Non potevo, in quel momento, anche solo pensare che sarei stato costretto – a distanza di quasi sessant’anni – a imbracciare … la penna per difendere la Carta costituzionale dall’assalto di legislatori incoerenti e ignoranti, oltre che impenitenti aspiranti ad un sistema politico autoritario.

Ci dicono che oggi è arrivato il momento di aggiornarla. Io dico No. E ci sono molteplici ragioni che mi inducono a dire un No forte e chiaro alla conferma della legge di revisione costituzionale, concordata nell’inciucio del Nazareno e imposta dal trio Renzi, Boschi, Verdini.

Mi si consenta di trattarne alcune. La prima ragione è uno degli aspetti più inquietanti della vicenda costituzionale. E’ la modalità con cui la legge è stata approvata. Sin dall’inizio, quella procedura ha suscitato la critica dei più prestigiosi costituzionalisti italiani, i quali hanno messo in risalto che quel progetto significava lo stravolgimento della nostra Costituzione. A mettere a punto il testo è stato un Parlamento delegittimato dalla sentenza della Corte Costituzionale n. 1 del 2014, con la quale era stata demolita e cancellata proprio la legge elettorale, in base alla quale quel Parlamento era stato eletto nel 2013. La sentenza non impediva indubbiamente alle Camere di operare (vedi principio della prorogatio dei poteri), ma non avrebbe dovuto consentire la permanenza alla guida del Paese di un governo (parimenti illegittimo), per un periodo tale da preparare ed approvare una legge costituzionale. Oggi si può, a ragione, affermare che, in spregio ad ogni norma e logica democratica, un Parlamento “abusivo” ha proceduto alla revisione – confusa e scritta come un regolamento di condominio (v. intervento del Senatore Tocci del 17 luglio 2014) – di ben 47 articoli della Carta Costituzionale.

Altro aspetto – di gravità assoluta – va individuato nel ricorso ad interferenze continue e ricattatorie del Governo, al fine di ottenere l’approvazione della legge, ora sottoposta al referendum confermativo dell’autunno prossimo, ai sensi dell’art. 138 Cost. Al riguardo è bene ricordare che, nel 1947, Piero Calamandrei, nel corso dei lavori per il varo della Costituzione – che di lì a qualche mese sarebbe nata – , ebbe a raccomandare: “Quando l’assemblea discuterà pubblicamente la nuova Costituzione i banchi del governo dovranno essere vuoti; estraneo del pari deve rimanere il governo alla formulazione del progetto, se si vuole che questo scaturisca interamente dalla libera determinazione dell’assemblea sovrana”. Ciò perché la Costituzione “dovrebbe essere la regola della convivenza tra tutti. Di tutti con tutti. Una garanzia reciproca”. Nel nostro caso, invece, il governo non si è mantenuto neutrale. Con ultimatum, ingerenze continue, sostituzione forzosa di componenti della commissione costituzionale non in linea con la posizione del Governo (vedi i casi dei senatori Mineo, Chiti e Mauro), vergognosi ricatti, l’utilizzo di super-canguri (allo scopo di neutralizzare le forze di opposizione) ed un uso spregiudicato dei regolamenti parlamentari (incompatibile con il procedimento costituzionale), ha pilotato dall’inizio alla fine la maggioranza parlamentare. Maggioranza raccogliticcia, frutto del trasformismo più becero e della transumanza politica, senza ritegno, di parlamentari, opportunisti e voltagabbana.

L’attenzione deve, infine, fermarsi sulla relazione perversa tra la legge di riforma costituzionale e la nuova legge elettorale, entrata in vigore da qualche giorno. Con la riforma del Senato il popolo viene privato del diritto di voto per la elezione dei propri rappresentanti. Saranno, infatti, i consiglieri regionali a scegliere chi, tra loro, andrà a ricoprire la carica di senatore part time. Ricordo che il “porcellum” venne dichiarato incostituzionale perché ledeva gravemente il principio di rappresentanza (con le liste bloccate e imposte dalle segreterie di partito) e di uguaglianza del voto. L’italicum riproduce (e, in taluni casi, la peggiora) l’antidemocraticità della legge caducata dalla Corte Costituzionale. Per questa ragione, con la vittoria del NO al referendum d’autunno, non si protegge solo la Costituzione, ma si ottiene la sconfitta del combinato disposto dell’Italicum e di una legge costituzionale scritta in modo maldestro e imposta da un governo eletto a seguito di una legge elettorale incostituzionale.

La prova elettorale d’autunno dovrà, dunque, segnare il riscatto della maggioranza degli italiani. .